In principio fu BeAdvisor, società di consulenza fiscale e legale, poi nel 2015 è nata BeArt online, la prima piattaforma web di crowdfunding esclusivamente dedicata al supporto di progetti di arte contemporanea che, recentemente, ha lanciato un’opportunità innovativa e unica in Italia: il corporate crowdfunding, ovvero campagne di raccolta fondi online per la realizzazione di progetti culturali rivolte alle aziende, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese. Oltre a da altri progetti molto innovativi ci cui ci parla, in questa intervista, Mauro Mattei, CEO di BeArt, curatore e collezionista.
Nicola Maggi: Come è nata l’idea di dar vita ad una piattaforma di crowdfunding dedicata ai progetti di arte contemporanea?
Mauro Mattei: «La mia formazione è da tributarista e da esperto di trust, prima in Italia e poi nel Regno Unito, ma la passione per l’arte contemporanea è sempre stata molto viva tra i miei interessi. Intorno al 2005 ho iniziato a collezionare e a far parte di progetti legati all’arte contemporanea, prima nel mondo del no-profit con una associazione dedicata a progetti di ricerca sperimentali, poi con una agenzia di promozione di eventi culturali che si è cimentata anche nelle prime produzioni di video arte. Dopo una esperienza come assistant curator di Jerome Sans per una grande mostra realizzata in Triennale a Milano e qualche tempo come resident curator di una neonata galleria, nel mio percorso di Commercialista mi sono trovato ad assistere una delle prime, e oggi tra le più di successo, realtà del crowdfunding italiano in campo musicale. Avendo dovuto approfondire un tema come il crowdfunding che 5 anni fa era ancora agli albori, mi sono convinto che avesse delle enormi opportunità nel campo dell’arte, dove a qualsiasi livello il fundraising è un tema molto sentito e particolarmente critico.
Vivendo a Londra mi sono reso conto che il crowdfunding era già molto più evoluto rispetto al panorama italiano e per questo mi sono convinto che BeArt dovesse nascere in quel contesto. Motivo per cui ho raccolto intorno a me altri due soci fondatori e nel 2015 è nata BeART, la prima piattaforma dedicata esclusivamente al supporto di progetti di arte contemporanea. I soci di BeArt sono, oltre al sottoscritto, Jessica Tanghetti (dottore di ricerca in materia di investimenti delle aziende nell’arte contemporanea, art advisor e partner culturale in residence presso il King’s College di Londra, Facoltà Arts&Humanities, si occupa inoltre dello sviluppo di progetti culturali tra Londra e Milano) e Giorgio Bartoli, fondatore dell’agenzia di comunicazione internazionale GoLab. L’idea è stata quella di dare vita ad una piattaforma digitale semplice da usare creando progetti di arte contemporanea ed, al contempo, far crescere un nuovo tipo di mecenatismo e di collezionismo».
N.M.: Ma, funziona veramente il crowdfunding per l’arte? Quanti sono i moderni “mecenati” che usano questi strumenti?
M.M.: «Il crowdfunding per l’arte è uno strumento semplice ed efficace per la realizzazione dei progetti, ma il vero segreto è l’attività di promozione combinata dei progetti da parte di chi attiva la campagna (creators). II successo dipende, infatti, in gran parte dalle forze dei creators nel coinvolgere i loro potenziali sostenitori e la loro community online e offline: una campagna di crowdfunding è infatti fatta di una intensa attività relazionale sia personale che digitale. Un altro dei segreti del crowdfunding per una campagna di successo sono i rewards, ovvero le ricompense che i sostenitori (backers) ricevono per aver supportato la campagna: i rewards possono essere materiale (cataloghi, edizioni limitate, opere uniche, opere su commissione) o immateriali (studio visit, guided tours di fiere e musei, esperienze dirette con gli artisti etc)».
N.M.: Ad esempio…
M.M.: «Gli esempi di rewards esclusivi sono molti: mi piace però citare quello della campagna di Patrick Tuttofuoco che ha finanziato con il crowdfunding la sua installazione monumentale alla scorsa Quadriennale di Roma tramite BeArt. Uno dei reward in palio era una opera unica su commissione: il backer poteva mandare una propria foto a Patrick alla quale sarebbe seguita una telefonata in Skype per conoscersi meglio e in base a quanto emerso dalla telefonata Patrick realizzava una opera che veniva poi spedita al backer. Una occasione davvero unica per avere con una cifra modesta un lavoro di un’artista consolidato come Tuttofuoco. Quanto più i rewards sono interessanti, pensati appositamente per la campagna ed esclusivi, tanto più suscitano l’interesse dei backers che possono scegliere di contribuire con somme che vanno mediamente dai 5 fino ai 5.000 Euro.
I mecenati, o backers, sono principalmente collezionisti o appassionati che sono mossi da due driver coincidenti: da un lato, la spinta mecenatistica, che li porta a voler supportare un progetto d’arte e identificarsi con esso, dall’altro, il desiderio e la volontà di acquisire nuove opere o esperienze che non troverebbero in alcun modo normalmente sul mercato proprio perché pensate esclusivamente per quella specifica campagna. Talvolta l’intento solidaristico è stato il principale motore delle campagne, come nel caso di Artists for Ian lanciata nel 2016 per aiutare l’artista Ian Tweedy in un delicato intervento chirurgico. La campagna ha incontrato la solidarietà dell’intera comunità artistica, la cui donazione di opere a sostegno e l’intervento dei collezionisti ha dato modo di raccogliere più di 90mila euro in poche settimane».
N.M.: Che cosa differenzia BeArt da altre piattaforme di crowdfunding come Kickstarter o Indiegogo…
M.M.: «BeArt è la prima piattaforma di crowdfunding esclusivamente dedicata al supporto di progetti di arte contemporanea. Mentre BeArt è “verticale” sul mondo dell’arte i principali competitor sono invece piattaforme generaliste che si occupano di progetti di ogni tipo, dai video games, alla musica, al cibo, non necessariamente relativi all’arte e pertanto meno specializzati anche in termini di community di riferimento. Nelle sezioni “Arte” delle piattaforme generaliste, inoltre, non è prevista una selezione curatoriale dei progetti, al contrario di quello che fa BeArt con l’intento di premiare i progetti che abbiano caratteristiche artistiche di consistenza e credibilità ben riconoscibili».
N.M.: Come vengono selezionati i progetti da inserire sulla vostra piattaforma?
M.M.: «I progetti di arte contemporanea vengono selezionati da un team interno di esperti: ogni forma di progettualità è ben accetta, a condizione che sia pertinente al mondo dell’arte e dimostri qualità e credibilità. Per qualsiasi progetto valutiamo il percorso dell’artista, il suo curriculum, ne individuiamo le potenzialità e la coerenza nonché la fattibilità economico finanziaria dell’intero progetto. Il prossimo obiettivo è dotarci di un comitato scientifico vero e proprio che sia dedicato alla selezione dei progetti che puntano non sulla quantità ma sulla qualità».
N.M.: Tra le ultime campagne che avete lanciato, quella per il FEA Lisboa, il primo festival degli spazi d’artista in programma nella capitale portoghese in concomitanza con la fiera ARCO. Come è andata?
M.M.: «FEA Lisboa è un progetto che mira a coinvolgere artisti disposti a collaborare con altri artisti, nella creazione all’interno dei propri Studi di mostre, performance ed eventi, con il fine di promuovere l’autonomia artistica e di rinnovare il sistema dell’arte, trovando alternative caratterizzate da una prospettiva collaborativa. La prima edizione di FEA si è svolta dal 18 al 20 maggio 2018, ed ha coinvolto 20 spazi, tra studi d’artista, artist run spaces e spazi indipendenti, nei quali più di 50 artisti, sia portoghesi che internazionali, hanno collaborato per dare vita a questo progetto.
È stato estremamente interessante scoprire quanto sia vivace la scena artistica di Lisbona. Ci ha sorpreso soprattutto la risposta al Festival da parte degli artisti coinvolti, ma anche dei collezionisti e del pubblico. Possiamo senza ombra di dubbio dire che la prima edizione di FEA sia stato un successo e stiamo già lavorando alla prossima edizione, che verrà svolta con la stessa filosofia, quella di creare un festival collaborativo fatto dagli artisti, per gli artisti. Nonostante la campagna di crowdfunding per questa prima edizione non abbia raggiunto l’obiettivo predeterminato, possiamo ritenerci soddisfatti della risposta sulle potenzialità del crowdfunding anche in Portogallo: stiamo già lavorando per la prossima edizione, puntando ad individuare e coinvolgere aziende locali, concentrandoci quindi sul corporate crowdfunding, che a mio parere potrebbe dare dei risultati significativi».
N.M.: Oltre alla realizzazione dei progetti, il vostro obiettivo è quello di trasformare la semplice passione per l’arte in collezionismo. Perché un appassionato d’arte dovrebbe entrare nella comunità di BeArt?
M.M.: «Uno dei principali obiettivi di BeART è promuovere e facilitare il “mecenatismo 2.0” ed una nuova forma di collezionismo, attraverso una piattaforma trasparente e semplice da usare. Il backer è incentivato a donare dalla possibilità di ricevere delle ricompense esclusive. I numeri dell’online art market crescono in doppia cifra ormai da qualche anno in maniera costante: siamo convinti di stare cavalcando un boom dove l’acquisto di opere on line non è più un taboo ma sta diventando la regola. Siamo anche convinti che il mercato dell’arte on line non sostituirà quello fisico, ma sicuramente avrà un ruolo chiave per le nuove generazioni, sia in termini di “scoperta” di nuovi artisti sia in termini di collezionismo. Mi viene in mente la campagna più recente che abbiamo lanciato e che è in questo momento attiva sulla nostra piattaforma (Straperetana) e per la quale sono disponibili come reward opere e stampe di una serie di artisti italiani: Elisabetta Benassi, Simone e Lorenzo Camerlengo, Michela De Mattei, Corinna Gosmaro, Sissi, Matteo Fato, Alfredo Pirri, Lupo Borgonovo e Francesco Arena».
N.M.: A febbraio peraltro, avete, allargato il vostro target lanciano il corporate crowdfunding, ovvero campagne di raccolta fondi online per la realizzazione di progetti culturali rivolte alle aziende. In questo caso puntando addirittura a sostenere lo sviluppo di una nuova forma di collezionismo…
M.M.: «Esattamente. Abbiamo realizzato che accanto al crowdfunding tradizionale, il quale coinvolge principalmente persone fisiche nel supporto di progetti, le aziende sono un nuovo soggetto a cui rivolgersi per il sostegno di progetti culturali. Le aziende stesse, infatti, mostrano un decisivo interesse per le possibilità offerte dal legame con il mondo dell’arte: il trend è quello di una crescente ricerca di uno strumento che consenta loro di veicolare i propri valori ed identità aziendali associandoli all’arte contemporanea, democratizzandone l’investimento e dando espressione ai propri programmi di Corporate Social Responsibility, attraverso Corporate Reward personalizzati. Il fine ultimo è promuovere e facilitare un dialogo attivo tra impresa e cultura. Se da un lato le imprese multinazionali sono già attive in questo senso, le PMI italiane sono ancora alla ricerca di tale opportunità… e qui è entrata in gioco BeArt Corporate Crowdfunding».
N.M.: Tra le tante attività che ruotano attorno alla vostra piattaforma c’è Preview, un format molto particolare…
M.M.: «Preview è nato dalla collaborazione di lungo periodo con Giorgio Bartoli, co-fondatore di BeArt e fondatore di GoLab. Preview è un format espositivo ideato da BeAdvisors nel quale gallerie internazionali vengono invitate a confrontarsi e collaborare, condividendo uno spazio non convenzionale e proponendo esclusivamente ai collezionisti i lavori di artisti giovani del loro portfolio. Questo format vuole essere il dispositivo attraverso il quale le gallerie invitate hanno la possibilità di confrontarsi e collaborare e vuole fornire una visione laterale rispetto al mondo della fruizione dell’arte contemporanea, offrendo una narrazione alternativa alle dinamiche espositive galleristiche consolidate sia in termini spaziali, che temporali.
La location in cui si svolge Preview è una villa del ‘500, nascosta dietro una palazzina di Via Fatebenefratelli, dove BeAdvisors, BeArt e GoLab collaborano strettamente da anni su progetti legati al mondo dell’arte contemporanea e della comunicazione. L’idea è quella di poter sfruttare gli spazi quasi museali della villa a fini espositivi e proporre nuove modalità di coinvolgimento attivo per collezionisti e appassionati. Nella prima edizione, in occasione di Miart, abbiamo presentato le opere degli artisti Tobias Kaspar (presentato dalla Galerie Peter Kilchmann – Zurigo) e Peter Linde Busk (presentato da Monitor – Roma e Lisbona). Stiamo in questo momento organizzando la secondo edizione, che si terrà il 12 luglio e vedrà coinvolte gallerie italiane ed artisti italiani o che siano attivi in Italia. L’idea è quella di sostenere un rinnovamento sul mercato dell’arte italiano, promuovendo differenti politiche di visibilità e vendita che vadano incontro alle necessità degli artisti e delle gallerie».
N.M.: Cosa c’è nel futuro prossimo di BeArt?
M.M.: «Oltre al consolidamento del corporate crowdfunding e della presenza sul territorio portoghese con un nuovo progetto di arte pubblica da finanziare a Lisbona, tra i nuovi progetti stiamo per avviare il BeArt Cross Fair Program. Sempre nella nostra ottica mecenatistica e di supporto fattivo all’arte, abbiamo spostato il nostro focus dagli artisti, curatori e istituzioni per raggiungere il mondo fieristico e quello dei collezionisti e fornire uno strumento nuovo di sviluppo e supporto degli artisti. BeArt Cross Fair Program è infatti il primo programma “cross-fair” nato con l’intento di promuovere la cooperazione e lo scambio tra collezionisti di paesi diversi: l’obiettivo del programma è quello di favorire il rapporto tra diverse fiere d’arte internazionali nell’ottica di implementare le opportunità commerciali, di comunicazione e di business development delle fiere coinvolte e, di conseguenza, delle città che le ospitano e la loro comunità artistica. Il Programma prevede anche l’acquisizione di opere con un focus sugli artisti under 35 e annunceremo a brevissimo quali saranno le città e le fiere coinvolte».