Nata nel 2008 da un’idea di Andrea Sirio Ortolani, Osart Gallery è una delle gallerie italiane più interessanti tra quelle di nuova generazione. Focalizzato sull’arte concettuale degli anni 60-70, in questi anni ha portato avanti un importante lavoro di riscoperta e di valorizzazione di artisti che hanno segnato la storia dell’arte attraverso la proposizione di tematiche e linguaggi innovativi. Un impegno che, dal 2008 ad oggi, gli ha dato la possibilità di presentare, a collezionisti ed appassionati, opere storiche tra le più significative di artisti accuratamente selezionati, come Vito Acconci, Vincenzo Agnetti, Shusaku Arakawa, Antonio Dias, Ketty La Rocca, Duane Michals, Claudio Parmiggiani, Aldo Tagliaferro, Franco Vaccari e Michele Zaza. In attesa dell’apertura della nuova sede in di Corso Plebisciti 12 a Milano, che avverrà a metà marzo con una personale di Vincenzo Agnetti, abbiamo incontrato il suo fondatore per conoscere meglio l’anima di Osart.
Nicola Maggi: Nove anni di Osart Gallery… come è iniziato tutto?
Andrea Sirio Ortolani: «Tutto nasce grazie alla mia formazione accademica. Sono laureato in Economia dei mercati e delle istituzioni finanziarie, CLEFIN in gergo bocconiano. Ho, in seguito, lavorato presso banche di investimento e società di consulenza internazionali. La passione per questo mondo la devo, però, al mio ambiente familiare che ha sempre lavorato nel mondo dell’arte. Mio nonno era Peppino Palazzoli, gallerista, tra gli altri, di Lucio Fontana, Alberto Burri e Emilio Vedova. Mia madre, invece, è Daniela Palazzoli, una critica d’arte che ha fatto la storia dell’arte, nonché direttrice dell’Accademia di Brera, membro del Consiglio di Amministrazione della Triennale di Milano e Assessore alla Cultura per diversi comuni. Mio padre invece, era uno dei più grandi esperti italiani di carte antiche, incunaboli ed incisioni. Dopo queste esperienze ho scelto di far diventare una mia grande passione un lavoro, pensando di poter sfruttare le competenze artistiche ereditate dalla mia famiglia e le competenze economiche derivanti dalla mia carriera accademica».
N.M.: Al centro della vostra attività c’è un attento lavoro di ricerca sull’arte concettuale degli anni Sessanta e Settanta. Come vi state muovendo per valorizzare e far ricoprire al collezionismo gli artisti che seguite?
A.S.O.: «Dal punto di vista artistico il lavoro viene sviluppato creando rapporti con critici, curatori, fondazioni e musei. Tutto ciò viene accompagnato da un’attività di galleria che, attraverso cataloghi ed un’attenta attività informativa, favorisce la conoscenza dell’opera di determinati artisti e di determinati movimenti storici. Tutto ciò chiaramente deve anche essere accompagnato da una attenta collaborazione con altre gallerie italiane e, soprattutto, internazionali per far sì che questa idea si sviluppi in maniera maggiore ed efficace».
N.M.: Un lavoro che, peraltro, vi ha portato alla scelta di realizzare ogni anno poche mostre…
A.S.O.: «Sì, anche se dal 2017 in poi vorremmo aumentare il numero di mostre. È anche vero che i progetti di qualità non sono sempre facilissimi da trovare e poi realizzare. Fortunatamente anche la programmazione per l’anno appena iniziato è già pronta e sarà un anno frizzante…».
N.M.: In un mercato dell’arte dove le “mode” dettano sempre un po’ legge nelle scelte del collezionismo, voi avete deciso di lavorare con artisti molto particolari… quasi di nicchia verrebbe da dire. Penso a Magdalo Mussio o Ketty La Rocca. Una bella sfida…
A.S.O.: «In generale l’idea è quella di lavorare con artisti che “sentiamo” fortemente, senza pensare al grande mercato. E’ chiaro che avendo una predilezione per un periodo storico, si tratta di artisti abbastanza vicini tra di loro. Ripensando solo a qualche anno fa anche Agnetti, Baruchello e Parmiggiani erano artisti di nicchia che adesso, invece, stanno avendo un grosso successo. Quindi, fondamentalmente, quello che ci interessa è seguire il nostro gusto, sperando che piaccia anche agli altri».
N.M.: In questi anni molte persone si stanno avvicinando all’acquisto d’arte, spesso spinte dall’idea dell’investimento. Come vede questo approccio molto “finanziario” al collezionismo? Che consigli vorrebbe dare a chi oggi sta pensando di comprare un’opera?
A.S.O.: «Penso che a nessuno faccia piacere perdere i propri soldi. E’ chiaro che l’arte venga vista sempre più anche come un bene rifugio con cui poter diversificare il proprio portafoglio. Ma se da un lato questo approccio può essere comunque positivo perché, da un lato, aumenta l’attenzione nei confronti del nostro mondo, dall’altro, penso che sia negativo perché rischia di appiattire quello che c’è di più puro nell’arte, ovvero la creatività, l’invenzione… Sono convinto, e lo faccio anche io, che per comprare un’opera si debba sentire qualcosa, o un appagamento estetico o uno stimolo intellettuale. E, se vuoi, questa cosa dovrebbe funzionare anche da un punto di vista finanziario, perché se compri un’azione o un’obbligazione, queste ti danno un dividendo o una cedola. Un’opera d’arte se la compri ti deve dare un dividendo estetico. Ribadendo che nessuno sia contento di perdere i propri soldi, sono anche ultra convinto che un’opera debba essere comprata perché trasmette ed emoziona».
N.M.: Il 2017, per Osart, si apre con una nuova sede e nuovi impegni. A cosa state lavorando per il prossimo anno?
A.S.O.: «Innanzitutto, tengo a precisare che la nuova sede di Osart Gallery sarà a Milano in una zona molto elegante della città, in un palazzo dell’inizio degli anni ’20 in Corso Plebisciti 12. Svelato il luogo, abbiamo già in mente le prossime mostre che organizzeremo. Diciamo che qui ti posso anticipare solo una di queste che sarà la mostra di apertura della nuova sede. Sarà una personale di Vincenzo Agnetti. In contemporanea, dopo Arte Fiera Bologna 2017, saremo e Miart 2017, dove presenteremo una solo show di Piero Fogliati».