C’è un luogo magico a Montecchio Maggiore, in provincia della bella Vicenza, a pochi chilometri da dove abito io. Avete presente quei luoghi che non vi aspettate di trovare, quelli di cui non credete possa essere possibile l’esistenza nemmeno quando si offrono al vostro sguardo in tutta la loro sconfinata presenza?
Fondazione Bisazza è proprio così: un’oasi di pace e armonia nel caos quotidiano, con atmosfere fuori dal tempo e dallo spazio che ti fanno sentire altrove e a casa nello stesso momento. Per capire meglio il legame di questo spazio con il collezionismo, sono andata a fare qualche domanda al collezionista Piero Bisazza.
Alice Traforti: Nel 2012 apre al pubblico la Fondazione Bisazza, presentando le opere di architetti e designer internazionali realizzate con i mosaici Bisazza. Come nasce l’idea di creare prima una collezione e poi una Fondazione?
Piero Bisazza: «L’idea di istituire una Fondazione è nata parecchi anni fa, nel 2005, quando ci siamo resi conto di aver raccolto negli anni una collezione significativa di opere firmate da autorevoli designer e di voler poi approfondire la ricerca nell’ambito dell’architettura e del design, organizzando delle mostre. Abbiamo deciso di ristrutturare alcuni padiglioni dell’azienda – una superficie di circa 8500 mq – convertendoli in sale espositive.
La Fondazione è stata inaugurata nel 2012 e in questi sei anni di attività sono state organizzate mostre e incontri, coinvolgendo architetti e artisti di fama internazionale: da Alessandro Mendini, Sandro Chia a Paladino, da Richard Meier a John Pawson, da Marcel Wanders a Patricia Urquiola…».
A.T.: Il rapporto tra arte e design è sempre molto delicato e discusso, ma assume in Fondazione Bisazza una connessione quasi identitaria. Che cosa significano per te?
P.B.: «Il confine tra arte e design è diventato sempre più sottile. In effetti il connubio tra arte e design è ben percepibile nelle sale della Fondazione, dove l’interpretazione del mosaico da parte dei designer è espressa in modo originale e totalmente libera dai vincoli del prodotto seriale. Inoltre credo che il mosaico, per la sua natura artistica e decorativa, sia un mezzo espressivo con il quale i designer e gli artisti amino confrontarsi».
A.T.: Parlando sempre di legami, come si connota invece il rapporto con gli artisti?
P.B.: «Da anni Bisazza dialoga con artisti e progettisti di fama internazionale, ai quali chiediamo di immaginare inedite applicazioni del mosaico. Diamo sempre massima libertà agli artisti di esprimere il loro estro creativo. Una collezione di pezzi unici, opere e installazioni, di grandi dimensioni, è andata così ad arricchire la Collezione Permanente».
A.T.: La Fondazione accoglie al proprio interno anche un caveau dedicato alla fotografia di architettura, rivelando un collezionismo di diversa natura, più personale, distaccato dal mosaico. In questa scelta prevale il collezionista o la Fondazione?
P.B.: «Sicuramente convivono entrambi! Certo la mia passione per la fotografia d’autore e l’essere io stesso un collezionista, hanno influenzato la scelta delle opere esposte nella sezione “Fotografia di Architettura“, firmate da autori come Hiroshi Sugimoto, Candida Höfer, Gabriele Basilico, Roland Fischer e Julius Shulman… Al fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, è stata dedicata recentemente una sala, dove è esposta una serie di foto inedite, commissionate dalla Fondazione Bisazza».
A.T.: Che cosa pensi dell’arte contemporanea?
P.B.: «Premetto che, per formazione e per mio gusto personale, prediligo l’arte classica. Credo che in generale l’arte contemporanea sia sopravvalutata, tuttavia seguo con molto interesse alcuni artisti contemporanei di indubbio valore e originalità».
A.T.: Quale futuro per la Fondazione?
P.B.: «L’intento della Fondazione è quello di arricchire nel futuro la Collezione con nuove opere commissionate espressamente ad autori, oltre ad accogliere mostre temporanee».
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In Fondazione Bisazza convive un collezionismo di duplice natura, pubblica e privata, che confluisce in un’unica anima: tracciare, per condividere, una traiettoria fra le parole design, architettura e fotografia.
Insomma, tutto ciò che non è considerato arte in senso stretto, ma che si è guadagnato questo titolo slegandosi dalle dinamiche della produzione seriale nel panorama contemporaneo, in una cornice creata apposta per fermarsi a riflettere sul concetto di limite, in bilico tra arte design architettura e fotografia, e sulla vita.