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Arte in Trust: la pianificazione fiscale per il vostro patrimonio artistico (Parte 1)

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Se il precedente intervento in tema di “Arte in Trust” ha suscitato la vostra curiosità circa l’opportunità di ricorrere al Trust quale strumento in grado di garantire protezione e valorizzazione al vostro patrimonio artistico, nonché di realizzare un’adeguata pianificazione successoria dello stesso, è assai probabile che vi sarete posti una delle prime domande che ogni Cliente rivolge ai nostri Studi quando prospettiamo simile soluzione: “Istituire un Trust, e disporvi al proprio interno il mio patrimonio, quanto costa?”. (Leggi anche –>Arte in Trust: il “futuro” della vostra collezione d’arte)

Non ritenendo appropriato, stante l’eterogeneità delle casistiche che si possono manifestare, entrare nel merito di un’ipotetica quantificazione degli onorari professionali concernenti la redazione di un atto istitutivo di Trust e rinviando ad un successivo intervento su queste pagine la materia della fiscalità diretta, ritengo sia opportuno, per ragioni di rilevanza sistematica e potenziale interesse per il collezionista o l’artista che si accinga a valutare l’opportunità di istituire un Trust, muovere la disamina dalla materia della fiscalità indiretta.

In considerazione della natura di bene mobile dei patrimoni artistici oggetto di ipotetica disposizione in Trust, incentreremo la nostra analisi prevalentemente sull’imposta di successione e donazione, ricoprendo le imposte ipotecarie e catastali, rilevanti in caso di disposizione in Trust di beni immobili,  un ruolo marginale nell’ottica di nostro interesse.

Prendiamo le mosse da una doverosa e necessaria considerazione, ad oggi, il nostro ordinamento, non prevede alcuna disposizione legislativa volta a disciplinare il corretto trattamento fiscale degli atti di disposizione in Trust con riferimento all’imposizione indiretta. Il trattamento deve essere pertanto desunto in via interpretativa dalle norme esistenti e, soprattutto, sulla base della maggioritaria giurisprudenza tributaria in merito. Giurisprudenza che, negli ultimi anni, ha dimostrato essere copiosa, di pari passo con il crescente utilizzo del Trust quale strumento polimorfo e duttile nel soddisfare molteplici ed eterogenee esigenze. Giurisprudenza che, infine, come vedremo successivamente, pare ormai essersi assestata su di un unitario e solido schema interpretativo degli atti di dotazione in Trust.

Non è scopo del presente intervento quello di effettuare una puntuale ricostruzione del susseguirsi di interpretazioni e pareri dell’Agenzia delle Entrate da un lato e pronunce giurisprudenziali dall’altro che hanno portato al consolidarsi dell’attuale e condivisibile interpretazione maggioritaria. Può tuttavia essere utile a fini di maggiori chiarezza tracciare brevemente il percorso che ci ha condotti, sino ad oggi, da ultima, alla sentenza 15455/2019 della Corte di Cassazione.

La Legge 286/2006 ha reintrodotto nel nostro ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni e, contestualmente, ha disposto l’applicazione di tale imposta anche “alla costituzione di vincoli di destinazione”. L’Agenzia delle Entrate, assimilando sin da subito l’istituzione di un Trust alla costituzione di un vincolo di destinazione, ha ritenuto che la stessa avvenga sin dall’origine, dal momento istitutivo del Trust. Ne discendeva pertanto, quale conseguenza, l’assoggettamento dell’atto dispositivo dei beni in Trust all’imposta proporzionale sulle successioni e donazioni, applicando aliquote e franchigie in funzione del rapporto di parentela intercorrente tra il Disponente ed i Beneficiari al momento della costituzione del vincolo, e cioè al momento del trasferimento dei beni in Trust. A fronte di ciò, al termine finale della Durata del Trust, la devoluzione del patrimonio residuo nel Fondo in Trust ai Beneficiari non avrebbe realizzato ulteriore presupposto impositivo ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.

Tale impostazione, benché criticata unanimemente dalla più autorevole dottrina, è stata avvallata dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione con svariate sentenze, le ultime delle quali pronunciate a cavallo degli anni 2015 e 2016.

La chiave di volta, in grado di fornire una corretta e quanto mai attesa interpretazione, sistematica e fiscale, degli atti dispositivi di beni in Trust, è stata fornita dalla sentenza 21614/2016 della Corte di Cassazione, la quale, ha inaugurato un nuovo e, ad oggi, inconfutato percorso ermeneutico.

Per la prima volta la Giurisprudenza di legittimità ha sancito quanto in dottrina si è sempre sostenuto: l’atto di disposizione dei beni in Trust non realizza alcun arricchimento concreto ed attuale, né in capo ai soggetti Beneficiari, titolari di una posizione di mera aspettativa giuridica circa i diritti patrimoniali ad essi spettanti in funzione dell’istituzione del Trust né, tantomeno, in capo al Trustee, figura strumentale avente funzione gestoria del patrimonio disposto in Trust dal Settlor. Di conseguenza, il trasferimento liberale, l’effettivo arricchimento, presupposto impositivo ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni non si realizza all’atto di dotazione dei beni in Trust, il quale sconterà pertanto l’imposta in misura fissa, ma bensì al termine finale della Durata del Trust, momento nel quale i Beneficiari entreranno concretamente in possesso del patrimonio residuo destinato nel Fondo in Trust. Solo in quest’ultimo momento, pertanto, potrà essere applicata l’imposta in misura proporzionale, tenendo in considerazione le franchigie e le aliquote in funzione del rapporto di parentela intercorrente tra Disponente e Beneficiari.

Come sopra accennato, il percorso intrapreso dalla sentenza 21614/2016 della Corte di Cassazione rappresenta la via condivisa, sino ad oggi, dalla pressoché totalità delle Commissioni Tributarie di ogni grado e dalla giurisprudenza di legittimità stessa.

Tracciato questo breve percorso giuridico – dottrinale che ci ha portati sino alla più recente interpretazione fiscale degli atti dispositivi in Trust, siamo ora in grado di affermare che, accanto alle opportunità di protezione e pianificazione patrimoniale sotto il profilo giuridico descritte nel precedente intervento, l’istituzione di un Trust è in grado di consentire al collezionista ovvero all’artista desideroso di garantire un futuro certo e predeterminato al proprio patrimonio artistico, un’altrettanto ampia e flessibile pianificazione sotto il profilo fiscale.

Pensiamo, ad esempio, al collezionista in possesso di un patrimonio artistico di ragguardevole valore al quale intenda garantire la doverosa protezione e del quale intenda predeterminarne le sorti mediante l’istituzione di un Trust. Questi, stante l’ingente capitale immobilizzato nelle opere acquisite nel corso del tempo, potrebbe trovarsi in difficoltà nel sostenere, oggi, l’esborso necessario al fine di assolvere l’imposizione proporzionale sulle successioni e donazioni. Ipotizzando che lo stesso collezionista intenda far beneficiare del proprio patrimonio, secondo le proprie volontà, una successiva generazione della famiglia, è oggi in grado di rinviare il momento impositivo all’atto di devoluzione finale del patrimonio ai propri discendenti, evitando pertanto di privarsi oggi della propria liquidità.

La discrezionalità nella determinazione del momento più opportuno nel quale assoggettare all’imposizione sulle successioni e donazioni l’atto di disposizione del proprio patrimonio è in grado di garantire al collezionista una facoltà di arbitraggio fiscale difficilmente rinvenibile nella pressoché totalità degli strumenti ordinariamente messi a disposizione dal nostro ordinamento, conferendo al Trust un ulteriore peculiarità in grado di renderlo certamente un unicum nel panorama degli strumenti di protezione e pianificazione patrimoniale.

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