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La nuova ArteFiera e il futuro di un settore in costante evoluzione

del

Secondo l’indagine sul collezionismo globale condotta da Clare McAndrew, fondatrice di Arts Economics, in collaborazione con UBS (A Survey of Global Collecting in 2022), nel primo semestre del 2022 il 74% dei grandi collezionisti mondiali ha fatto acquisti in una fiera d’arte (erano il 54% nel 2021).

Dato, questo, che conferma l’importanza di questo canale di vendita per il mondo dei dealer che, attraverso di esso, realizzano circa il 30% dei propri affari, oltre a gettare le basi per quelli che si concludono direttamente tra le mura della galleria.

Un mondo, quello delle fiere d’arte, in costante evoluzione ma le cui dinamiche più attuali rischiano di mettere in pericolo lo stesso ecosistema dell’arte. Ne abbiamo parlato con il presidente dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea (ANGAMC), Andrea Sirio Ortolani.

Nicola Maggi: Iniziamo con un bilancio, come sono andate le ultime edizioni di ArtVerona e Artissima?

Andrea Sirio Ortolani: “ArtVerona è andata abbastanza bene, direi, ma ha pagato il fatto di essersi svolta in date fin troppo piene, dal punto di vista degli appuntamenti fieristici. Negli stessi giorni, infatti, a Londra c’era Frieze e la settimana dopo, a Parigi, Paris+. È vero che il target di queste due fiere è diverso da quello di ArtVerona, ma certamente il cliente italiano, che magari era a Londra per lavoro, anche se avesse avuto voglia di farsi un giro a Verona non poteva esserci. Quella veronese è però una fiera che si dà da fare; l’organizzazione è molto attenta a quelle che sono le necessità delle gallerie e quindi non le possiamo certo rimproverare niente. Certo è che in futuro si dovrà stare un po’ più attenti al calendario fieristico perché la situazione sta diventando veramente troppo caotica. Torino, invece, stando ai feedback avuti dai colleghi presenti, è andata molto bene”.

N.M.: L’anno non è ancora finito, ma è già tempo di guardare al futuro. Proprio in questi giorni ArteFiera ha annunciato la nascita di un tavolo di collaborazione permanente che, di fatto, rilancia il dialogo tra la fiera bolognese e ANGAMC. Ci racconti brevemente come è nata questa iniziativa?

A.S.O.: “Il rapporto tra l’Associazione e ArteFiera è da sempre molto stretto, basti pensare che attorno al 70% delle gallerie che vi partecipano è costituito da nostre associate. Con la pandemia, però, questo legame si è involontariamente allentato e questo ha portato anche a delle incomprensioni. Da qui la nascita del tavolo e la volontà dell’Associazione di far sentire in maniera molto convinta la propria voce, perché Bologna è una fiera importante per le gallerie italiane ed era necessario un dialogo più serrato, anche per rispondere ad una evidente necessità di rinnovamento per un appuntamento che, negli anni, era rimasto troppo ancorato al passato”.

N.M.: Quali risultati avete ottenuto in vista dell’edizione 2023?

A.S.O.: “Abbiamo avuto un confronto molto franco e devo dire che il nuovo Direttore della Business Unit, Domenico Lunghi e il nuovo Direttore Operativo, Enea Righi, ci hanno fatto vedere un business plan molto convincente, con investimenti enormi rispetto al passato, in particolare per quanto riguarda la comunicazione. Abbiamo poi ottenuto importanti garanzie sui cambiamenti che l’Associazione aveva richiesto. In primo luogo di tornare ad essere la prima fiera dell’anno e di allestire gli stand negli storici padiglioni 25 e 26, che avevano un certo tipo di presentazione e di respiro, con un ingresso molto più raggiungibile. Ma il nuovo business plan prevede anche un rafforzamento del piano VIP e di tutto quello che riguarda la ricettività della fiera così da permettere un’accoglienza di qualità superiore. Soprattutto però, abbiamo ottenuto maggior mano libera per le gallerie, ovviamente sempre sotto la regia del Direttore Artistico, Simone Menegoi, e del Comitato scientifico per quanto riguarda la qualità del progetto, ma non più su cose stringenti come la possibilità di esporre solo tre artisti negli stand di 32 mq o sei in quelli 64 mq…”.

Stand ANGAMC, ArteFiera, Bologna, 2021

N.M.: …sì, ricordo che questa scelta fu molto criticata in particolare da chi lavorava con gli artisti storicizzati…

A.S.O.: “Esattamente e infatti è stata tolta proprio per andare incontro a loro e la trovo, sinceramente, una cosa giusta, anche perché stiamo comunque parlando di gallerie che partecipano alla fiera in quanto accettate da un comitato che ne ha evidentemente riconosciuto la qualità e la serietà. Anche questo scoglio, comunque, è stato superato. Diciamo che ArteFiera, in questo, ha recepito a pieno le nostre istanze come lo ha fatto anche sul fronte dei costi: hanno aumentato, seppur di poco, lo sconto per le gallerie, ma soprattutto hanno concesso la possibilità di dilazionare per un anno, a tasso zero, il pagamento del 60% della quota di partecipazione. Possibilità che prima non c’era. Come Associazione che lavora nell’interesse delle gallerie devo dire che, in questo momento, non potevamo chiedere di più, anche in considerazione dell’investimento importante che gli organizzatori della fiera stanno facendo. Il nostro obiettivo, congiunto, d’altronde, è che Bologna torni ad essere una fiera attrattiva di alta qualità”.

N.M.: Quello sperimentato con Bologna è un modello di collaborazione che intendete replicare anche con altri eventi fieristici?

A.S.O.: “Non in tutti i casi è possibile avere un rapporto così stretto come quello che l’Associazione ha con ArteFiera. Sicuramente, però, è fondamentale stabilire un dialogo continuativo, almeno con le principali fiere italiane, per far sapere loro quali sono le esigenze delle gallerie. D’altronde noi siamo i loro clienti finali e credo sia giusto essere anche i protagonisti delle decisioni che vengono prese. In molti casi, peraltro, è già così anche se, come è naturale che sia, ci sono realtà più dialoganti, che hanno capito il ruolo e l’importanza della nostra Associazione anche come tramite verso le gallerie, e altre meno. Anche se queste ultime sono veramente dei casi isolati”.

N.M.: A più riprese, negli anni, si è ripetuto che il format classico della fiera d’arte è ormai superato, aprendo a tentativi di rinnovamento più o meno tecnologici. A livello internazionale esiste una formula che vi convince più di altre e a cui l’Italia dovrebbe guardare con maggior attenzione o i problemi, anche all’estero, sono più o meno gli stessi? Fatte salve, ovviamente, fiere come Art Basel che sono realtà a sé stanti…

A.S.O.: “Una fiera, oltre che dalle capacità organizzative di chi la realizza, dipende molto dal tessuto in cui è installata. Per cui ci sono nazioni più privilegiate, che hanno un’economia forte e delle strutture solide alla base, e Paesi che fanno, onestamente, più fatica. Un’altra cosa da considerare è poi il numero di fiere che ci sono in un anno e quante, invece, ne può supportare e sopportare un Paese. Su questo sarebbe necessario fare una riflessione profonda, perché il rischio è di andare verso la saturazione del mercato. Un altro problema è il fenomeno delle Super-Fiere, sempre più dilagante e che rischia di trasformare questo mercato in un monopolio, mettendo a rischio la tenuta stessa della filiera”.

N.M.: Direi che, in questo, il caso di Parigi, con la cancellazione della storica FIAC per far spazio alla nuovissima Paris+ par Art Basel, è esemplare…

A.S.O.: “Assolutamente e questo fenomeno è un problema enorme. Fiere come Art Basel sono certamente appuntamenti dove vanno solo le grandi gallerie, ma il rischio è che, questa loro continua espansione, tolga ossigeno a tutte le altre realtà, fondamentali, che fanno ricerca. Perché, sia chiaro, in questo mondo sono le gallerie più piccole che si rimboccano le maniche per scoprire quei nuovi artisti che poi le super gallerie trasformano, semmai, in star del mercato. Procedendo in questo modo si rischia di creare un vuoto. Se queste spariscono, un artista giovane, appena uscito dall’Università, come fa a farsi notare? Non può certamente saltare dalle aule accademiche a Gagosian, tanto per fare un nome. Deve crescere gradualmente e per questo ci vogliono le realtà più piccole e poi quelle intermedie; gallerie coraggiose, che tutti i giorni stanno sul filo del rasoio e che permettono ai nuovi talenti di emergere. La posta in gioco è altissima; se queste realtà non hanno più canali per farsi conoscere e sopravvivere ci troveremo ad affrontare un problema molto grosso. Ma qui agire è molto più difficile e non si può trovare una soluzione così, su due piedi, occorrerebbe una strategia di sviluppo sovranazionale…”

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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