Più o meno tutti «coloro che sono coinvolti oggi nel mercato dell’arte – scrivono Colette Loll, Jennifer L. Mass e Natalie Zayne nel loro report per il Global Center of Innovation – ammetteranno che il sentimento dominante che circonda l’autenticazione, la vendita e la distribuzione dell’arte è l’ansia. E ciò ha delle buone ragioni: prezzi elevati, un mercato internazionale ampiamente privo di regole, la preponderanza di falsi ed errori umani – il tutto all’interno di una cultura del contenzioso molto allegra – fanno sì che nessuno sia immune da rischi». E così oggi, aggiungono le tre studiose, i collezionisti sono letteralmente «spaventati all’idea di inviare le proprie opere ad una Fondazione, per la paura di vederle marchiate in modo indelebile come false oltre che distrutte, non solo nella “reputazione”, ma anche fisicamente». Già, perché è questo uno dei rischi che corrono le opere ritenute false: essere distrutte come previsto dalla legge. Anche se, è bene precisarlo, raramente tale disposizione viene effettivamente applicata. Ma al di là di questo, sentirsi dire che la propria opera, acquistata come vera, è falsa credo sia il peggior incubo in cui possa incappare un collezionista. Anche perché spesso gli Archivi (o Fondazioni che dir si voglia) non sempre rilasciano spiegazioni chiare e rimane sempre il dubbio, quanto meno, di un possibile errore umano. Come muoversi, allora, quando un Archivio dice “No” alla nostra richiesta di autenticazione? Lo abbiamo chiesto agli avvocati Simone Morabito e Francesco Fabris di Art Lawyers.
Nicola Maggi: Quando si parla di autentiche, il panorama che si pone davanti ad un collezionista appare abbastanza complesso perché il mercato tende ad avere i suoi “autenticatori di riferimento”. Come deve muoversi un collezionista che abbia bisogno di farsi autenticare un’opera?
Simone Morabito: «Il panorama che si pone davanti al collezionista è sicuramente complesso. Per sgombrare il campo da confusioni, chiariamo che il certificato di autenticità è un documento cartaceo ufficiale che contiene le caratteristiche tecniche dell’opera esaminata e ne certifica l’autenticità. È composto da una relazione scritta con le indicazioni tecniche, critiche e biografiche (nel caso di opere firmate) e da foto indicative con i dettagli più rilevanti; vi sono poi in genere vari allegati (ad esempio: fotocopie di opere comparative, biografie desunte da pubblicazioni, altri expertise, titoli di acquisto, ecc). Elemento fondamentale è la firma del soggetto che l’ha rilasciato. Pertanto occorre farsi rilasciare il certificato di paternità dal venditore professionista che ha curato la vendita o direttamente dall’artista, nel caso in cui sia in vita. Diversamente, se l’artista è defunto, sarebbe preferibile ottenere l’autentica direttamente da un archivio di riferimento, se questo è stato costituito in vita dall’artista o per mezzo di disposizione testamentaria. In ogni caso è opportuno tenere a mente che è sempre buona norma ottenere tutte le informazioni necessarie relative allo stato di conservazione, alle avvenute pubblicazioni e alla accertata provenienza dell’opera. Infine, insieme al certificato di paternità, può essere sicuramente un valido suggerimento procurarsi anche una valutazione dell’opera». (Leggi -> Strumenti di valutazione per le opere d’arte: perizia, expertise e autentica)
N.M.: La proliferazione degli archivi d’artista è storia recente e fino a qualche decennio fa le opere erano spesso “autenticate” semplicemente con un’etichetta posta sul retro e firmata o dall’artista o dal gallerista. E’ ancora valida o è necessario farsene rilasciare una nuova?
S.M.: «Dipende. Se la cosiddetta autentica è rilasciata direttamente dall’artista e costui è ancora in vita può essere sufficiente. Se tuttavia l’autore dell’opera non è in vita potrebbe essere necessario rivolgersi all’archivio di riferimento. Nondimeno è bene essere chiari sin da subito sul punto: non esiste una certificazione definitiva in merito alla paternità di un’opera. Infatti, anche professionisti esperti d’arte indipendenti possono confermare o disconoscere la paternità di un’opera d’arte, nonostante le affermazioni di un archivio».
N.M.: Nel caso un collezionista abbia l’autentica del gallerista questa può essere disconosciuta da un archivio? Se sì, è possibile anche nel caso in cui questo sia nato dopo la vendita dell’opera in questione?
S.M.: «E infatti è proprio questo uno dei casi più comuni: è possibile il disconoscimento da parte dell’archivio, anche se questo è stato istituito successivamente alla vendita, in quanto tali affermazioni potrebbero essere confutabili. Oltre al fatto che l’autentica, anche nel caso in cui sia posta direttamente sull’opera, potrebbe essere stata apposta successivamente o artefatta».
N.M.: Nel caso in cui un archivio neghi il certificato di autenticità, cosa può fare un collezionista?
Francesco Fabris: «Il collezionista dovrebbe innanzitutto procurarsi, a suffragio dell’autenticità, un expertise da parte di un perito esperto. Ottenuto questo, è possibile instaurare un giudizio nei confronti dell’archivio/fondazione per sentire accertata giudizialmente – attraverso apposita consulenza tecnica da perito terzo nominato dal Tribunale – l’autenticità dell’opera. La domanda potrebbe essere accompagnata, nell’ipotesi in cui il diniego dell’autenticità da parte dell’archivio fosse stato determinato da dolo o colpa grave, da una domanda di risarcimento del danno procurato per l’erronea dichiarazione di non autenticità».
N.M.: Gli archivi hanno l’obbligo di motivare dettagliatamente il loro diniego, o posso agire arbitrariamente?
F.F.: «Sarebbe buona regola attendersi una valutazione approfondita dell’opera e dunque un diniego circostanziato e motivato. L’esperienza, però, ci dice che le cose vanno in un altro senso e spesso gli archivi si limitano a comunicare tramite formule assai stringate, standard e poco limpide, che si limitano a contestare la riferibilità dell’opera a quella del maestro in questione».
N.M.: L’autentica ha un effetto sia sul valore artistico che su quello economico di un’opera. Andare per vie legali che rischi comporta?
F.F.: «La domanda è molto pertinente e mi impone di essere molto sincero. Da un punto di vista prettamente formale, la dichiarazione di autenticità e dunque magari l’inclusione dell’opera nell’archivio ad opera del provvedimento dell’Autorità deve essere eseguita, sicché l’archivio soccombente dovrà provvedere precisando che l’autenticità è stata sancita dal Tribunale. Da un punto di vista formale, dunque, l’opera avrà la medesima dignità di tutte le altre contenute nell’archivio ma, sotto il profilo strettamente commerciale, perderà un po’ di appeal. L’inclusione ad opera dell’Autorità, infatti, “testimonia” l’esistenza di vedute difformi da parte degli esperti circa l’autenticità».
N.M.: Ci sono vie alternative che un collezionista può percorrere per far rivedere ad un Archivio la sua posizione, senza per forza passare da un tribunale?
F.F.: «Il confronto tecnico-scientifico è ovviamente sempre possibile, rendendosi però necessario per il collezionista raccogliere e documentare adeguatamente le proprie ragioni, magari ripercorrendo – secondo l’apprezzato modello americano – la storia dell’opera. Ricordiamo infatti che, fermo restando quanto detto, l’attività di expertise è comunque libera e può essere compiuta da qualsiasi soggetto accreditato. In caso di conflitto di opinioni insanabile, volendo comunque procurarsi l’avallo dell’archivio, è possibile ricorrere oggi anche ad organismi di mediazione sorti ad hoc per dirimere tali controversie».