Nata alla fine del 2023 dall’incontro tra Paolo Bonacina, Edoardo Koelliker e Massimo Vecchia, BKV Fine Art è una galleria che unisce la passione per i dipinti di antichi maestri all’interesse per gli artisti italiani e internazionali del XX secolo. BKV Fine Art nasce non solo come spazio espositivo, ma anche come luogo di incontro e di scambio, fucina di progetti che abbracciano i molteplici linguaggi della contemporaneità. In questa intervista Paolo Bonacina ci racconta in che modo la galleria intende proporsi come punto di riferimento per chi cerca un’esperienza culturale e collezionistica profonda e curata.
M.M.: Qual è stata la visione che ha portato alla nascita di BKV Fine Art?
P.B.: Io ho studiato Storia dell’Arte all’Università Cattolica di Milano, laureandomi con una tesi sull’arte del Seicento. Durante il percorso universitario avevo fatto uno stage da Robilant + Voena, importante galleria con sedi a Londra, Milano, New York, Parigi e St. Moritz. Conclusa quest’esperienza sono rimasto a lavorare lì, crescendo professionalmente fino a diventare direttore della sede di Milano. Parallelamente mi sono occupato della collezione Koelliker, gestendo i beni di Luigi Koelliker, dapprima concentrandomi sui quadri antichi e successivamente sull’arte moderna degli anni ’60 e ’70. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di seguire anche altri collezionisti importanti, come la famiglia Etro, aiutandoli e indirizzandoli nelle nuove acquisizioni per ampliare le loro raccolte.
Poi è arrivato il Covid, che ha cambiato le prospettive per tutti, e dopo oltre dieci anni in galleria ho sentito che era il momento di percorrere una nuova fase: avevo imparato moltissimo, ma non c’era più un orizzonte di crescita per me. Così ho deciso di investire nella collaborazione che avevo con Massimo Vecchia. Ci conoscevamo da anni, avevamo iniziato entrambi giovanissimi, io da Voena e lui da Lampertico: due percorsi paralleli che ci hanno permesso di costruire un linguaggio comune fin dagli albori.
Edoardo Koelliker si è aggiunto al nostro progetto come una forza nuova e complementare. Anche lui ha studiato Storia dell’Arte, ma soprattutto è cresciuto in una famiglia di collezionisti: fin da bambino ha visto quadri antichi e moderni arrivare e partire, ha conosciuto commercianti e artisti. È come se fosse stato “immerso” nell’arte fin da piccolo. Il suo entusiasmo e il suo sguardo sulle nuove generazioni di collezionisti hanno dato una direzione fresca al lavoro. Nasce così, alla fine del 2023, BKV Fine Art.
M.M.: Avete trovato da subito questo spazio in via Fontana 16: come lo avete pensato e trasformato?
P.B.: Questo spazio è stato per anni il luogo che ha ospitato la sede di Robilant+Voena, perciò ne conoscevo le potenzialità, ma allo stesso tempo abbiamo sentito la necessità di dargli una nuova identità e staccarlo dalla memoria della galleria precedente. Abbiamo voluto aprire l’ingresso: lì dove prima c’erano due stanze divise la nostra idea era quella di creare un open space. Non siamo riusciti in pieno per questioni strutturali – tubature e cavi ci hanno imposto dei limiti – ma abbiamo comunque realizzato una sala iniziale che restituisse un senso di apertura e accoglienza. Abbiamo modificato le boiserie, aperto una nuova sala e, nel corso del primo anno, abbiamo continuato a ripensare e adattare gli spazi per rispecchiare la nostra visione. È un work in progress, ma già oggi la galleria racconta molto di ciò che siamo e vogliamo diventare.

M.M.: Se dovessi elencare alcune caratteristiche che vi distinguono dalle altre gallerie in Italia quali sarebbero?
P.B.: Secondo me la differenza sta proprio nel nostro approccio curatoriale. Fin dall’apertura con la mostra di Giorgio Marconi, abbiamo voluto dar voce a dei dialoghi tra opere antiche e lavori moderni, dando vita a un nuovo concept curatoriale non ancora comune in Italia. Questa contaminazione, questo attraversare i secoli e la bellezza, è un elemento che rende unica l’esperienza per chi entra nella nostra galleria.
Inoltre per noi è fondamentale anche la ricerca scientifica, intesa anche come new diligence. Con la mostra su Mario Schifano, in collaborazione con l’Archivio Schifano, abbiamo costruito un progetto espositivo con un rigoroso lavoro scientifico e un catalogo di grande qualità. Trattiamo l’arte moderna degli anni Sessanta con lo stesso rispetto e la stessa attenzione filologica che dedicheremmo a un quadro del Seicento. Lo studio, come testimonia la vasta biblioteca che abbiamo al piano inferiore, è il fulcro della nostra attività: non seguiamo le mode, ma costruiamo mostre con una base storica e critica solida. Questo è ciò che ci guida e che, credo, ci distingue.
Inoltre, siamo riusciti anche nell’intento di dare importanza alla letteratura, stringendo un legame intellettuale con il poeta Gabriele Tinti. Che ha scelto – ben due volte – la nostra galleria per esibirsi nella lettura delle sue poesie con la speciale partecipazione di attori quali: Abel Ferrara e Kevin Spacey.
M.M.: Quali sono le criticità di fare questo mestiere oggi?
P.B.: Oggi ci sono molte sfide. In questi giorni tutti esultano per il 5% di IVA sulle opere d’arte, ma nessuno ha ancora capito davvero come sarà applicato: sembra che il settore debba risorgere, ma ci sono ancora troppe incertezze nelle normative. Inoltre, il contesto globale – tra guerre e crisi economiche – ha creato una grande instabilità anche nel mercato dell’arte e del lusso. Molti collezionisti che prima compravano con regolarità ora sono più cauti, rimangono in attesa e osservano.
In Italia nello specifico è diventato più difficile vendere opere di un certo valore. Per vendere un quadro antico oggi occorrono pubblicazioni specifiche, una ampia bibliografia, una provenienza illustre: il collezionista cerca garanzie forti. Il segmento di prezzo più basso, invece, tiene meglio: per esempio a The Phair abbiamo venduto diverse fotografie di Schifano tra 1.500 e 2.500 euro, testimonianza del fatto che opere di qualità e a un prezzo accessibile si muovono ancora.
Poi c’è il tema delle esportazioni che complica ulteriormente le cose. In sintesi, il mercato c’è ma è molto più selettivo e richiede uno sforzo maggiore.

M.M.: Hai notato un cambiamento nel profilo del collezionista da quando hai iniziato?
P.B.: Sì, secondo me c’è stato un deterioramento culturale. I primi collezionisti con cui ho lavorato erano persone che vivevano per l’arte: seguivano tutte le aste, visitavano ogni mostra, collezionavano cataloghi. Erano conoscitori appassionati, veri collezionisti con la “C” maiuscola. Oggi questa profondità di interesse si è persa: è più frequente incontrare persone che acquistano per arredare una “casa da rivista” o per alimentare una certa estetica, ma senza un percorso di conoscenza approfondita alle spalle.
C’è ancora qualcuno che compra per passione, per fortuna, altrimenti non avrebbe senso fare questo mestiere, ma sempre più spesso vedo acquisti motivati dall’investimento. Questo ha creato anche bolle economiche: mode che hanno gonfiato artisti come Scheggi, Bonalumi, Boetti o Salvo, seguite da crolli improvvisi. Non è solo colpa di chi compra: anche noi operatori di mercato siamo responsabili di certe dinamiche. Il denaro influisce e distorce. Per questo credo sia importante tornare a un collezionismo fondato su conoscenza e passione autentica.
M.M.: Come vi comportate riguardo alla comunicazione digitale e alla vendita online?
P.B.: Attualmente abbiamo un accordo con un ufficio stampa che si occupa della nostra comunicazione ed in particolare ci supporta anche nella gestione di un calendario editoriale per i nostri canali social.
Tramite il nostro sito riceviamo spesso richieste d’informazioni, soprattutto sul prezzo delle opere, ma finora non abbiamo mai realizzato una vendita online vera e propria. È molto difficile vendere online un quadro antico, inoltre crediamo molto nel contatto diretto con il collezionista, preferiamo invitarlo in galleria, raccontargli di persona chi sono gli artisti e quali sono i nostri progetti. Questo ci permette di instaurare un rapporto più solido e autentico che incentiva all’acquisto. Il mondo sta sicuramente andando verso modelli più digitali e di vendita online, ma noi manteniamo una filosofia più tradizionalista. In sostanza, preferiamo privilegiare la qualità rispetto alla quantità: parlare con un pubblico davvero interessato e costruire un dialogo vero, piuttosto che puntare a un’audience più ampia ma meno coinvolta.
M.M.: Come funziona la programmazione espositiva di BKV Fine Art?
P.B.: Al momento ci concentriamo principalmente su due grandi mostre all’anno. La prima solitamente inaugura a febbraio e rimane aperta fino a Miart, mentre la seconda si tiene in autunno, tra ottobre e novembre. Queste due esposizioni rappresentano il cuore della nostra offerta culturale, ci lavoriamo con attenzione, realizzando anche pubblicazioni di ricerca dedicate ai progetti curatoriali.
Da quando in galleria abbiamo aperto un ulteriore spazio espositivo, stiamo iniziando a realizzare anche mostre più piccole, ma molto interessanti, con una selezione di 10-12 opere per esplorare diversi segmenti e nuovi artisti. Per esempio questo maggio e giugno abbiamo organizzato con questo ideale la mostra: La seduzione delle forme.Umberto Mariani, Oggetti Allarmanti dove erano esposte opere realizzate tra il 1968 e il 1972, abbinate ad alcune sedute dell’epoca ideate da importanti designer internazionali.

M.M.: Per le fiere?
P.B.: Per quanto riguarda le fiere, dato che abbiamo aperto solo un anno fa, non siamo ancora accreditati per eventi come Arte Fiera Bologna o Miart, che richiedono un programma consolidato e uno storico di partecipazioni. Lo scorso anno abbiamo partecipato a Roma Arte in Nuvola e quest’anno puntiamo ad ArtVerona. Inoltre, saremo sicuramente presenti ad Amart al Museo della Permanente di Milano e vorremmo aprirci al pubblico internazionale sperimentando la partecipazione ad un evento ospitato in un bellissimo edificio liberty a Barcellona.
M.M.: Se dovessi fare un bilancio del 2024, come lo descriveresti?
P.B.: Direi che è stato un anno soddisfacente. Le aspettative economiche sono state raggiunte, anche se all’inizio avevamo immaginato cifre più ambiziose. Col tempo, e osservando l’andamento generale del mercato – che non riguarda solo la nostra realtà ma l’intero settore – abbiamo capito che certi obiettivi erano difficili da raggiungere.
Le nostre mostre hanno avuto sempre un grande successo di pubblico. Penso, ad esempio, a Perdere la testa, che ha avuto una risonanza mediatica enorme, con articoli su praticamente tutti i principali giornali. A livello commerciale, però, quella mostra ha registrato poche vendite poiché i soggetti erano piuttosto complessi e richiedevano un collezionista con una sensibilità molto specifica per apprezzarli. Ciò che ci conforta è il fatto che il lavoro svolto, sia sulle esposizioni sia sulle attività collaterali, è stato riconosciuto e apprezzato da tutti. Abbiamo ricevuto molti complimenti e questo ci conferma che la strada intrapresa è quella giusta.

M.M.: Ci sono novità in programma per la fine del 2025 e l’inizio del 2026?
P.B.: Sì, stiamo lavorando a una mostra molto interessante per ottobre, che prevederà un dialogo tra Piero Manzoni e Bernardo Strozzi. Inizialmente volevo fare una mostra dedicata a Bernardo Strozzi, un pittore barocco che apprezzo molto. È un artista che, pur non avendo una formazione accademica, dipinge in modo molto veloce e moderno, con pennellate libere, quasi spontanee. Questo suo modo di dipingere lo rende molto interessante anche per un pubblico contemporaneo, perché si allontana dal ritratto ufficiale e formale. Studiando Bernardo Strozzi ci siamo poi resi conto di come il suo utilizzo delle pennellate bianche avesse un richiamo visivo a Piero Manzoni, quindi abbiamo pensato di metterli a confronto in questa esposizione.
Per il 2026, invece, vorremmo celebrare il centenario della nascita di Vincenzo Agnetti. Stiamo pensando, in collaborazione con l’Archivio Agnetti, una sorta di contaminazione tra il lavoro di Agnetti e altre opere: per esempio, i suoi Feltri, che l’artista stesso definisce ritratti, saranno accostati a dipinti antichi. Sarà un omaggio culturale significativo, non solo per il centenario di un artista milanese, ma anche perché abbiamo in collezione alcune sue opere. Agnetti non è facile da vendere oggi — ha attraversato periodi di speculazione e momenti di oblio — ma il 2026 vedrà la pubblicazione di una monografia importante su di lui e conseguentemente questa mostra può diventare un’occasione culturale e commerciale rilevante.