I temuti effetti della Brexit da parte degli operatori si stanno manifestando in tutta la loro forza, con le importazioni di oggetti d’arte che continuano a precipitare, portando la quota globale del Regno Unito del mercato dell’arte in diminuzione del -17% lo scorso anno, il suo più basso in un decennio.
Sulla base degli ultimi dati pubblicati da HM Revenue and Customs, all’interno del rapporto Art Basel/UBS Global Art Market del 2022, il valore dei beni d’arte e di antiquariato importati nel Regno Unito nel 2020 è stato di 2,1 miliardi di dollari, in calo di un terzo rispetto al 2019. In particolare, le importazioni sono diminuite di un ulteriore 18% lo scorso anno, portandole a quasi la metà del valore conseguito nel 2019.
Si ritiene che la Brexit sia la ragione principale del brusco calo delle importazioni, ulteriormente ostacolato dalla pandemia.
In aggiunta, la fuoriuscita dell’Unione Europea ha comportato l’insorgere dell’obbligo di pagare l’IVA sull’importazioni quando si spostano gli oggetti d’arte dall’UE al Regno Unito nonché la necessità di predisporre la documentazione aggiuntiva.
Tali aggravi di natura amministrativa e fiscale hanno costretto molti collezionisti europei ad abbandonare il Regno Unito. A tale aspetto si aggiunge inoltre la perdita di valore della sterlina con il conseguente spostamento delle vendite più importanti a New York piuttosto che a Londra.
Partendo dall’analisi delle difficoltà di natura fiscale e amministrativa causate dalla Brexit, il presente contributo si pone l’obiettivo di fornire una panoramica delle principali opportunità anche per il mercato italiano.
Il prelievo fiscale nelle dinamiche del mercato dell’arte
Prima che il Regno Unito lasciasse l’UE nel 2020, i venditori europei potevano esportare le proprie opere nel Regno Unito senza tenere conto di extra costi in quanto gli scambi di opere d’arte tra gli Stati membri dell’UE erano esenti da tassazione (sia Import che export).
Attualmente, l’importazione è invece soggetta ad un prelievo pari 5%, sebbene il più basso dell’UE, dove i tassi variano dal 5,5% in Francia al 21% in Spagna, rappresenta un limite rispetto ai mercati USA e Cina, dove vi sono aliquote pari rispettivamente allo 0 % e al 3%.
La precedente esenzione rendeva Londra la scelta migliore per coloro che desideravano introdurre opere d’arte provenienti da paesi terzi (circa l’80% del valore del mercato britannico è costituito da scambi extracomunitari) e successivamente spedirli in altri paesi europei senza costi aggiuntivi.
L’incremento dei costi – stimati dagli operatori in circa 230 € ogni 1.000 € di valore – ha comportato il sorpasso della Cina ora al secondo posto, con il 20% della quota di mercato.
Hong Kong, che non beneficia di alcuna imposta sulle importazioni d’arte, nonché di ricchezza, dono, proprietà ed eventuali plusvalenze, sta diventando sempre più un luogo attraente per consegnare grandi opere all’asta, nonostante le continue repressioni di Pechino sul dissenso nella metropoli e le severe restrizioni dei Covid.
Di conseguenza, le case d’asta stanno rinforzando i loro dipartimenti come, ad esempio, Christie che ha in programma di trasferirsi nella nuova sede asiatica di Hong Kong nel 2024, mentre Phillips si trasferirà nella sua nuova sede in Asia nel distretto culturale di West Kowloon questo autunno.
Secondo il rapporto Art Basel/UBS, almeno 25 nuove imprese d’asta hanno aperto in Cina dal 2020, e circa 30 nuove gallerie sono state lanciate nel 2021.
Nuove opportunità per l’Italia?
Come detto, a livello fiscale, uno dei grandi vantaggi della Gran Bretagna era l’applicazione di un’aliquota IVA del 5% per l’importazione di opere d’arte di provenienza extra UE. In questo scenario l’Italia, che applica un’aliquota al 10%, la più alta in Europa assieme alla Spagna, è molto svantaggiata. Per garantire una maggiore competitività, perlomeno sul piano europeo dove l’attore principale sembra uscire di scena, una scelta vincente potrebbe essere la riduzione dell’aliquota al 5% in modo da stimolare l’utilizzo dell’Italia come hub alternativo alla Francia.