Spesso i nostri giudizi sono fuorviati dalle nostre aspettative, così quando ti trovi in mano un corposo libro di una personalità nota da anni nel mondo fotografico italiano con un titolo che suona “definitivo” come: Capire la fotografia contemporanea. Guida pratica all’arte del futuro, ti aspetti di trovare una disamina approfondita e “difficile”, qualcosa in cui mettere impegno; anche perché i suoi testi precedenti avevano già affrontato in modo esaustivo argomenti di gestione e valorizzazione fotografica e quindi veniva da presumere che ci fossero riflessioni ulteriori.
Mi sembra invece che il testo nasca da un’urgenza intima dell’autore che aveva bisogno di fare un punto sulla sua vita professionale, di riconoscersi come parte attiva in una narrazione delle vicende fotografiche avvenute in Italia negli ultimi 30 anni; senza però ammettere un taglio fortemente biografico al tutto, anzi mantenendo sempre uno sguardo leggero che a tratti annoia.
Il testo, edito per i tipi di Marsilio, si articola in quattro grandi sezioni: una biografica, una sulla storia della fotografia, una sui grandi fotografi e una sulle dinamiche del mercato; sezioni che a me pare poco si leghino le une alle altre.
La prima narrazione personale procede per date, nomi e qualche aneddoto su mostre o allestimenti da lui gestiti; un racconto che non riesce ad essere totalmente autobiografico e che quindi, a parte i resoconti di varie esperienze lavorative, risulta asettico.
La seconda ripercorre in maniera riassuntiva la consueta storia della fotografia da Niepce, Daguerre, Bayard e via dicendo proseguendo a volo d’uccello su epoche, stili e nomi in una sorta di bignami raramente illuminante.
La terza è strutturata come piccole biografie di grandi maestri che l’autore ha conosciuto o trattato nella sua attività professionale, ciò però che ci trasmette non è uno sguardo inedito sul personaggio, non ho trovato mai una forte riflessione personale, anche negativa, su questi protagonisti della fotografia.
Anzi, pur nella mia conoscenza poco approfondita di molte vicende della fotografia dell’ultimo secolo, mi ha stupito che Curti passasse ancora come buone certe narrazioni mitiche, una su tutte la storia delle “magnificent eleven” le uniche foto di Capa sullo sbarco in Normandia.
Caso ha voluto che mentre leggevo il brano con un po’ senso di “la solita vecchia storia” sulle pagine de il Corriere della Sera a Roberto Saviano venisse affidata una rubrica di fotografia e che trattasse per l’appunto la vicenda di Capa e delle sue undici foto sullo sbarco su cui lo scrittore ha espresso un serie di opinioni prese dal “sentito dire”.
Opinioni che subito hanno scatenato le proteste e il rammarico di autori appassionati e attenti come Smargiassi che in un commento sul profilo facebook di Fotocrazia (post del 29 gennaio2021) ha tenuto a sottolineare come l’aneddoto dei rullino “bruciati” in fase di sviluppo fosse già stato smontato da un’inchiesta di A.D. Coleman del 2014 (Robert Capa on D-Day « Photocritic International – nearbycafe.com) e che era umanamente concepibile che nella concitazione del momento forse Capa era riuscito solo, e per fortuna, a scattare quelle 11 foto “slightly out of focus”.
Ecco, sicura che Curti conosca meglio di me tutta la vicenda, mi chiedo perché dilungarsi in dettagli non veri, foraggiando un mito ormai destituito. Spesso mi è parso di leggere un testo di fotografia agè, come quei manuali che si comprano sulle bancarelle più per senso di romanticismo che per utilità.
L’ultima parte è una rielaborazione di un suo precedente lavoro su come viene gestito il mondo delle gallerie e dei fotografi che si affidano ad esse con alcune incursioni aneddotiche nel mondo delle aste.
Avvicinare neofiti al mondo della fotografia non è semplice, Curti cerca di affrontare il nodo del non unicum della fotografia con tirature e dimensioni e citando un po’ troppo spesso l’ aura di Benjamin del suo L’ opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica; ecco credo che la sensibilità odierna abbia fatto passi avanti anche in questo senso, anche perché non è solo la fotografia ad essere riproducibile, si pensi alle opere di Koons.
Alla fine mi sono trovata a leggere tutte cose che sapevo già e che se avessi voluto rivedere avrei preferito scegliere testi più mirati ed aggiornati.
Forse davvero l’errore sta nel titolo, se si fosse chiamato “la mia vita in mezzo alla fotografia contemporanea” lo avrei apprezzato di più e forse l’autore avrebbe avuto anche il coraggio di indagare maggiormente sul sistema della fotografia in Italia visto dall’interno, non per ultima la penosa vicenda della Casa dei Tre Oci a Venezia, di cui è direttore artistico.