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Elisa Bollazzi: raccogliere in micro (e seminare in macro) come atto creativo

del

Cari amici dell’arte contemporanea, che ne dite se oggi lascio parlare direttamente un’artista collezionista? Ma vi avviso: quella che state per leggere non è la “classica” storia di un’artista che appende al muro le opere dei colleghi, no di certo. Elisa Bollazzi fa molto di più.

Alice Traforti: Cara Elisa, la tua è una storia particolare, perciò procediamo con ordine. Prima di dare vita alla tua Microcollection, eri prettamente una scultrice di tappeti. Vuoi raccontarci di questo tuo iniziale approccio al mondo dell’arte?

Elisa Bollazzi: «Creavo tappeti in argilla bianca su cui il pubblico, ingannato dalla loro verosimiglianza, non camminava per timore di sporcarli, finché un corto circuito mentale svelava loro l’impercettibilità della vita. Amavo osservare l’esatto momento della loro presa di coscienza, quei sorrisi sulle labbra e quello stupore negli occhi. Tuttavia, iniziavo a patire la fatica fisica della lavorazione della materia. Il desiderio di cambiamento era nell’aria e mi aggiravo nei sentieri della vita in attesa della grande svolta».

A.T.: Che cosa è successo quando hai iniziato a raccogliere i micro-frammenti di opere d’arte?

E.B.: «La mia vita è cambiata. Stavo ammirando le opere di Anish Kapoor alla Biennale di Venezia e d’un tratto ho notato per terra alcuni frammenti della pietra di cui era costituita una scultura… ricordo ancora i brividi scorrermi lungo il corpo e la mente illuminarsi.

Ho allungato una mano furtivamente, nel timore che il mio gesto di sottrazione all’oblio venisse scambiato per un oltraggio, e con delicatezza mi sono appropriata dell’invisibile, abbracciando quella nuova forma di creazione.

Un semplice gesto aveva dato il via a Microcollection e un nuovo slancio alla mia esistenza. Era il lontano 1990.

Identikit: Elisa Bollazzi, artista e Microcollection, Busto Arsizio (VA)
Identikit: Elisa Bollazzi, artista e Microcollection, Busto Arsizio (VA)

Ora centinaia di frammenti della collezione, catalogati e comodamente custoditi in un armadio, rappresentano limmensità della storia dell’arte contemporanea e sono visibili al microscopio durante i cosiddetti Cabinets de Regard itineranti nel mondo intero – un modo leggero di veicolare la mitologia dell’arte.

Per questo, sul sito web di Microcollection sono consultabili ulteriori materiali di approfondimento, anche attraverso la documentazione continua delle numerose tappe della collezione e delle novità espositive. La prossima, per esempio, sarà in Svizzera».

A.T.: C’è stato un periodo di incubazione lungo, parliamo di qualche anno, prima che tu decidessi di rendere pubblica e accessibile la tua collezione. Come è cambiato il tuo modo di collezionare, e quindi di fare arte, quando hai iniziato a diffondere e condividere la tua visione?

E.B.: «In realtà tra il 1992 e il 1994 alcune tracce della collezione sono state esposte in più occasioni sia in gallerie, prima da Luciano Inga-Pin a Milano e poi alla Galerie Arcade a Nizza, sia al Premio Internazionale Grancia d’Argento, riscuotendo ottimi riscontri.

Ciononostante, mi sono ritirata dalla scena espositiva perché ero alla ricerca della mia strada che sapevo di dover percorrere con cautela e in solitudine, mentre la collezione continuava comunque ad arricchirsi.

Utopia di un museo invisibile, 2010 - Castello di Jerago, Varese | @photo Miriam Broggini
Utopia di un museo invisibile, 2010 – Castello di Jerago, Varese | @photo Miriam Broggini

Sono stati anni di sedimentazione molto proficui che mi hanno consentito di dare a Microcollection una struttura solida con le sue sfaccettature: i Cabinet de Regard, le Semine d’Arte, le Visite Guidate, i Germogliatori, la Didattica e le fotografie dei frammenti, scattate con un microscopio ad altissima risoluzione.

Il ritorno alla scena artistica pubblica è avvenuto nel 2006, facilitato da internet e dai social. Ho iniziato a intrecciare preziose relazioni molto spesso amicali con artisti di tutto il mondo che, in modo spontaneo, si sono offerti di collaborare con Microcollection: chi donando particelle di opere d’arte loro o di altri, chi suggerendo nuovi percorsi, chi invitandomi a mostre o eventi. Da allora ho partecipato a Festival internazionali, esposizioni personali e collettive, residenze d’arte in Italia e all’estero. Un percorso veramente stimolante sia a livello artistico sia a livello umano».

A.T.: Tra le attività di Microcollection c’è un aspetto particolarmente interessante che non si è palesato subito, ma è subentrato nel tempo: la semina. Mentre in tutto il mondo (non solo agricolo) la semina precede il raccolto, le tue semine d’arte sono invece successive alla raccolta dei frammenti. In pratica, l’operazione consiste nel piantare nel terreno (giardini, aiuole, vasi, germinatoi …) alcuni frammenti selezionati dalla Microcollection, caricando quel perenne momento in attesa del primo germoglio con riflessioni non così scontate su ciò che germoglierà: concretamente nulla, ma utopisticamente l’idea dell’arte. Come vivi la separazione da quei frammenti che hai raccolto con cura nel tempo?

E.B.: «La vivo come una gioia immensa e come un arricchimento dei luoghi prescelti. La Semina d’arte è un dono che rende visibile l’invisibile, un’attesa benefica che stimola la creatività e apre spazi di pensiero nella contemplazione di opere d’arte in divenire.

Nascono nel 2008, ero in treno e stavo ammirando dal finestrino le bellezze dei campi arati quando si è infiltrata nella mia mente l’idea di creare coltivazioni d’arte con frammenti di opere dai titoli ispirati al mondo vegetale quali Albero di 3 metri di Penone, Angurie di Gilardi, etc. ed ecco tracciato il solco di un’altra sfumatura di Microcollection, la restituzione di alcuni semi d’arte nel mondo intero pronti a germogliare nelle menti di un pubblico curioso.

Vivaio d’arte, 2014 (dettaglio) - Zooart, Cuneo
Vivaio d’arte, 2014 (dettaglio) – Zooart, Cuneo

Raccolgo l’invisibile e poi lo semino, il resto lo fa il fruitore. Mi ritrovo molto con le parole di Joan Mirò: “Più che il quadro in sé quello che conta è ciò che esso emana e diffonde nell’aria. Non ha importanza se il quadro viene distrutto. L’arte può anche morire; quello che conta è che abbia sparso semi sulla terra”».

A.T.: Rendere visibile l’invisibile, mi hai detto. Lo fai attraverso un microscopio, con i macro retroilluminati dei micro, seminando concetti in tutto il mondo, tessendo relazioni valoriali. Si può dire, quindi, che il tuo “invisibile” sia proprio ciò che non sappiamo più guardare?

E.B.: «L’invisibile è il non visto che prende forma grazie allo sguardo dell’artista. In Microcollection questo sguardo è amplificato dal microscopio a cui il pubblico si accosta con un senso di sacralità consapevole del privilegio di godere della vera essenza dell’arte. Le Semine completano la visione enfatizzando la percezione immaginifica dell’arte».

A.T.: Si potrebbe dire anche che la tua è una collezione di atti creativi che risulta essere a sua volta una grande installazione artistica. Quindi sei artista, sei collezionista o entrambe le cose?

E.B.: «È proprio così, ogni nuova acquisizione mi rimanda agli esordi e rinnova in me l’entusiasmo della creazione. Quindi sì, Microcollection è una collezione di atti creativi che nel complesso costituiscono un’opera d’arte immensa con diversi piani di lettura e intenti, che dilata i punti di vista e regala consapevolezza e libertà creativa. Ritengo di essere entrambe le cose, artista e collezionista in percentuali sbilanciate».

Jeunes Pousses d’Italie, 2013 con H. Renard - CDLA, Saint-Yrieix-La-Perche, Francia
Jeunes Pousses d’Italie, 2013 con H. Renard – CDLA, Saint-Yrieix-La-Perche, Francia

A.T.: Arrivate a questo punto, cara Elisa, non posso più tacere il fatto che altri collezionisti mi hanno confessato, con molta modestia e con diverse finalità, di sentirsi un po’ artisti nel dare forma, coerenza e identità alla propria collezione, collocandola in una precisa condizione esistenziale. Che cosa ne pensi tu, che ti trovi nella stessa situazione, anche se nella posizione opposta?

E.B.: «Senza dubbio sono un’artista, ma a volte mi sento come una ballerina della Scala che ondeggia sulle punte lungo il sottile filo di confine tra le due identità in quanto l’aspetto del collezionismo è molto evidente nella mia ricerca. Sono quindi un’artista collezionista che genera un percorso poetico su binari autonomi e utopistici».

A.T.: Qual è l’aspetto che lega maggiormente la tua ricerca al panorama attuale?

E.B.: «Il mio progetto è nato da un gesto personale che negli anni è diventato collettivo grazie a quella fitta rete di artisti, collezionisti, galleristi, amici che spontaneamente contribuiscono all’arricchimento della collezione.

Microcollection si nutre di queste relazioni magiche tipiche del panorama attuale, di più ampio valore, forse, perché accomunate dall’amore per l’arte.

Inoltre, pur avendo quasi 29 anni, Microcollection è molto attuale per la sua struttura snella e facilmente trasportabile, quasi fosse una memoria esterna di un computer dove vengono archiviati i dati, nel contesto le opere d’arte, finalmente liberate dal peso del proprio corpo».

Vivaio d’arte, 2014 - Zooart, Cuneo
Vivaio d’arte, 2014 – Zooart, Cuneo

A.T.: Perché c’è ancora tanto bisogno dell’arte nella vita di oggi?

E.B.: «Perché l’arte cambia la vita, sposta il punto di vista e aiuta a guardare con occhi più consapevoli la realtà, oggi così contraddittoria e accelerata».

A.T.: Infine, la domanda che solitamente è il mio punto di partenza: che cos’hai appeso alle pareti di casa tua e perchè?

E.B.: «Disegni di amici artisti, una litografia di Carol Rama, mie opere recenti e passate, campioni di moquette in argilla, qualche disegno, un microscopio con frammenti intercambiabili, un germogliatore, archivi, vasi con semine d’arte e le più recenti straordinarie fotografie dei frammenti visti al microscopio, che mi diverto ad accoppiare secondo un mio criterio personale, reinventando così le correnti dell’arte. Mi mettono di buon umore e mi ricordano che la realtà ha diverse facce, spesso inaspettate».

 

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Vi aspettavate, voi, di incontrare una collezion-artista dichiarata, un’arti-collezionista incallita… insomma: una seriale conservatrice di atti creativi che si impegna nel seminarli continuamente sotto nuove forme, in costante evoluzione?

Elisa Bollazzi ha fatto del collezionismo una forma d’arte amplificata oltre le etichette e i ruoli definiti, in una visione liquida dove il punto di vista è spostato sull’emanazione perpetua nella coscienza collettiva.

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