Cari amici dell’arte, quella di oggi è un’intervista doppia, a due fratelli che condividono un’impresa, una collezione di famiglia e un legame indissolubile con l’arte che li ha portati naturalmente a sviluppare una collezione personale e, inoltre, a condividere il desiderio di contaminazione tra arte e impresa con la collettività.
Una vicenda collezionistica che ha fatto storia e che ha saputo innestarsi sulle vicende famigliari come un seme, che è cresciuto e continua a crescere con rinnovato vigore, di generazione in generazione, costruendo un solido ponte tra tradizione e innovazione, per accompagnare le speranze del presente verso il futuro.
Le visite sono aperte alla Fattoria di Celle (su appuntamento) e all’Arte in Fabbrica (in orario aziendale). Ci vediamo lì!
Alice Traforti: Il nome Gori è legato all’arte contemporanea fin dagli anni ’50 con la collezione di famiglia, il cui nucleo ha dato origine negli anni ’70 alla Fattoria di Celle, a Santomato di Pistoia, prestigiosa collezione di Arte Ambientale e site-specific dislocata tra il parco e gli edifici storici, aperta al pubblico gratuitamente dal 1982. Che cosa vi è rimasto particolarmente impresso di quel primo periodo?
Paolo Gori: «Abbiamo vissuto da sempre l’arte come una presenza amicale inscindibile dalla quotidianità».
Fabio Gori: «Un evento naturale che non poteva prescindere dal nostro modo di vivere, incontrare e confrontarsi con artisti, è stato un po’ il nostro modo di intendere la vita e l’arte».
A.T.: Quando e perché avete iniziato a costruire una collezione personale, indipendente dai progetti di famiglia?
F.G.: «Quando ho formato la mia famiglia e mi sono trovato a ristrutturare la casa in cui tutt’ora abito, mi è venuto spontaneo coinvolgere amici artisti per suggerimenti e interazioni. E’ così che mi ritrovo a vivere come avevo sempre desiderato contornato da opere che sono diventate strutturali della casa. Qualche esempio? Il pavimento di Sol Lewitt , il lucernario di Piero Dorazio, la ringhiera di Gianni Ruffi e tanti altri lavori che fanno parte integrante della casa e della mia vita».
P.G.: «Anch’io ho cominciato a sentire il bisogno di una mia collezione quando, sposandomi oramai 35 anni fa, ho cominciato a vivere nella nuova casa. Non riuscivo a sentirla mia una casa in cui le pareti che non avevano appeso dei quadri. Così l’amicizia degli artisti e il contatto diretto con il mondo dell’arte hanno pian piano colmato quella lacuna».
A.T.: Che cosa vi piace collezionare?
F.G.: «Immagino la mia vita come un viaggio dove si incontrano molte persone e alcune di queste ti lasciano indelebili ricordi, da qui nasce il desiderio, se sono artisti, di segnalare questi momenti con le loro opere d’arte. Ogni opera collezionata mi dona ogni giorno sensazioni molteplici».
P.G.: «Non ho in mente un modo organico di collezionare, forse mi riconosco nell’aforisma di H. Boll “io sono un clown e faccio raccolta di attimi”. Mi piace pensare di vivere all’interno di situazioni dalle quali cerco di portare con me dei segni che aiutino i ricordi. Ci sono due tipi di oggetti che maggiormente mi inducono in tentazione i libri e le ceramiche».
A.T.: Vi propongo un confronto in stile “Iene” sulle vostre abitudini di collezionisti e sulla routine quotidiana che dedicate all’arte: come vi tenete informati, con chi vi confrontate, dove e quando frequentate…
P.G.: «Il primo confronto è interno tra noi “di famiglia”, infatti cerchiamo di parlare il più possibile delle nostre esperienze e siccome le finalità e il modo di intendere l’arte è simile riusciamo a vivere molte esperienze condividendole».
F.G.: «Gli spunti sono veramente in ogni dove dal mattino con i bollettini dei giornali online, la visita agli studi degli artisti, i confronti con gli esponenti del mondo dell’arte, le mostre, e per finire i talk e le conferenze. Comunque le migliori intuizioni e la comprensione del mondo dell’arte avviene sempre quando sei a contatto con gli artisti».
A.T.: Come avete visto cambiare il ruolo dell’arte nella società fino ad oggi?
F.G.: «È cambiato senz’altro il rapporto con il tempo. Il mercato dell’arte e i nuovi mezzi di comunicazione hanno imposto un ritmo serrato, che spesso soprammette idee nuove a idee seminuove senza lasciare lo spazio alla sedimentazione che è così importante in ogni processo umano. Ai posteri l’ardua sentenza di manzoniana memoria si è trasformata in ognuno sarà famoso per quindici minuti di Andy Warhol».
P.G.: «Soltanto ieri parlare di arte e in special modo di arte contemporanea era considerato un vezzo, una stranezza. Oggi no, è diventato di moda. Questa è la differenza maggiore, nel mondo dell’arte si sono riversati gli interessi di tanti che sperano di fare investimenti, oppure di coloro che cercano argomenti da salotto. Questo è il cambiamento sociale che è avvenuto negli ultimi 15/20 anni. Bisogna continuare come abbiamo sempre fatto: andare sotto la superficie, per trovare gli aspetti più genuini del mondo dell’arte».
A.T.: Che cosa vorreste invece cambiare del sistema attuale?
P.G.: «L’arte trova da sé i propri correttivi, come la vita, bisogna darle il tempo. Sicuramente questo nuovo interesse, dimostrato ampiamente dal successo di pubblico delle mostre di cassetta non è un fenomeno da sottovalutare ma allo stesso tempo non è la strada per crescere all’interno dell’arte. Quindi vorrei cambiare il modo di approcciarsi all’arte fin da ragazzi. Reputo che metodi di insegnamento meno ingessati e più aperti potrebbero formare delle classi più intelligentemente interessate a una crescita culturale che stimolerebbe nuove prospettive».
F.G.: «Una maggior attenzione da parte delle istituzioni ai sentimenti e ai movimenti che i giovani portano avanti. Quindi delle professionalità, a partire dal corpo insegnanti fino al Ministero in grado di preparare a recepire le grandi innovazioni tecnologiche e di pensiero che sono alla base dei cambiamenti di questi giorni. I cambiamenti che viviamo sono repentini e non possiamo credere di intercettarli se non velocizziamo il processo di attualizzazione dell’insegnamento».
A.T.: Quest’anno avete inaugurato il progetto “Arte in Fabbrica” con l’esposizione di Vittorio Corsini “Environments” in uno spazio appositamente dedicato all’interno della Gori Tessuti & Casa. Volete parlarci delle motivazioni che stanno alla base di questo progetto e dei vostri sogni al riguardo?
F. e P.G.: «Lavoriamo insieme da oltre quarant’anni, passando la maggior parte del nostro tempo all’interno dell’azienda a contatto con i nostri collaboratori e con un pubblico che spesso si rivolge a noi per scambi di informazioni sull’arte. Da questa prospettiva abbiamo deciso di dedicare un bello spazio all’arte. Se consideriamo l’arte parte integrante della vita non potevamo lasciarla fuori dal nostro spazio. Volevamo anche essere propositivi, mostrare qualcosa che fosse al di fuori dei normali schemi commerciali. Per questo abbiamo coinvolto Vittorio Corsini che ha compreso appieno questo nostro progetto e non si è risparmiato né in invenzione che in realizzazione. Il risultato è qua davanti agli occhi e, essendo aperto in orario di lavoro, lo possiamo vivere quotidianamente».
A.T.: Quali saranno le prossime proposte per “Arte in Fabbrica”?
P.G.: «La prima esperienza non è ancora conclusa perché Arte in Fabbrica vive anche di altri momenti non solo quello espositivo, all’interno della mostra abbiamo proiettato il film Metallo Umano ideato da Gianfranco Pampaloni, sono in programma anche due avvenimenti musicali legati al contemporaneo con performance direttamente fatte e create per lo spazio».
A. T.: Che cosa consigliereste ai giovani collezionisti di oggi?
F.G.: «Vivete il mondo dell’arte con il cuore aperto, siate curiosi, non accontentatevi delle proposte di moda. Affiancatevi alle grandi e piccole istituzioni culturali che sono il vero motore dell’arte, partecipate agli eventi a voi culturalmente vicini, mostre, conferenze, piece teatrali. Confrontatevi e approfondite, superate il primo strato superficiale ed entrate in questo mondo meraviglioso».