All’inizio fu Paolo Masi, il suo primo amore artistico, quello che gli ha aperto le porte dell’arte e del collezionismo e poi… Guarneri, Griffa, Pinelli, Cotani, Dolla, Marchegiani e chi più ne ha, più ne metta. Nonostante la giovanissima età – appena 28 anni compiuti il 6 luglio scorso – Gian Marco Casini ti travolge con la sua passione per l’arte. Staresti ore ad ascoltarlo, mentre ti parla dei suoi artisti, di quella pittura analitica che ha iniziato ad acquistare assieme al padre Alessandro, con il quale condivide il “morbo” del collezionismo. Dell’artista fiorentino ha amato, fin da subito, le Polaroid realizzate a New York a partire dal 1974. «Sono opere geniali – mi dice -, a cui non è mai stato dato il peso che meritavano». Naturale, allora, che proprio da Masi sia iniziato anche il suo cammino di gallerista.
Sì, perché Gian Marco, neo-laureato in Ingegneria Gestionale presso l’Università di Pisa, all’inizio di questo 2017 ha mollato tutto per inaugurare una delle giovani gallerie d’arte più interessanti della Toscana: la Gian Marco Casini Gallery di Livorno. Pochi metri quadri di vera passione, al numero 52 di Via Francesco Crispi; a due passi, per intenderci, da quel Fosso Reale che fu “epicentro” della famosa beffa delle teste di Modigliani. Una scelta radicale che mi racconta con la proverbiale ironia dei livornesi: «L’idea della galleria, in realtà, era di mio padre che ha sempre detto di volerne aprire una appena fosse andato in pensione. Io avrei dovuto laurearmi e poi, semmai, affiancarmi a lui se, lavorativamente, le cose non fossero andate bene e… e invece ho deciso di aprire da solo. Pensa che i soldi che ho investito per iniziare erano quelli che mi aveva dato per comprare i mobili della casa dove sto per andare a vivere con la mia compagna». Il suo sguardo si illumina e con un sorriso sornione aggiunge: «Però ho scelto di inaugurare con i moduli di Masi, perché modularità è la parola chiave dell’ingegneria gestionale così, mi sono detto, un tocco della mia formazione ce lo metto».
Così su due piedi si potrebbe pensare ad un gesto affrettato, specie in un mondo in cui i giovani non sempre ci appaiono con le idee chiare e un po’ troppo interessati da guadagni facili e rapidi. Ma Gian Marco Casini è di tutt’altra pasta e lo si capisce immediatamente quando, vinta la sua iniziate timidezza, inizia a raccontarti come è iniziato tutto. «La mia attenzione per Masi e per gli artisti della cosiddetta Pittura Analitica può far pensare ad un mio tentativo di seguire le mode del momento, ma non è così. Ho sempre amato questo tipo di arte. Pensa che, dopo Masi, Elio Marchegiani è stato il secondo artista ad entrare nella mia collezione, in tempi assolutamente non sospetti. Una passione che condivido con mio padre». «Le prime mostre che ho realizzato in galleria – aggiunge – le avevo già in testa da tantissimo tempo come quella che ho dedicato a Giorgio Griffa e dove ho scelto di esporre, tra gli altri, alcuni lavori su carta tratti dalla serie Tre linee con arabesco che, installate insieme, creano una sorta di composizione musicale che ho messo in relazione con la musica di Miles Davis».
Leggerezza di un segno era il titolo della mostra, la seconda in ordine di tempo, perché questo è ciò che Gian Marco ha pensato quando ha visto, per la prima volta, un’opera del 1968 di Giorgio Griffa. «In uno dei suoi scritti – mi spiega -l’artista dice di “appoggiare il colore dentro la tela”, ecco dice “appoggiare” che rimanda subito ad una tenuità del gesto, differente da quello degli Espressionisti astratti, lasciando un segno anonimo sulla tela libera. Segno anonimo, perché Griffa non vuole sovrapporre la sua memoria a quella della pittura, che dura da decine di migliaia di anni, un segno che appartiene a tutti, lasciandolo incompiuto. Segno incompiuto, per non fissare l’opera d’arte nel passato, che continua a vivere, come la pittura, data per morta, ma che poi continua e continuerà nella storia delle arti. Leggerezza, memoria e incompiuto sono, per me, i tre temi principali dell’opera di Giorgio Griffa».
E dopo Griffa il Rosa, mostra collettiva che ha visto insieme le opere di tredici artisti che hanno utilizzato come colore principale il rosa, appunto, ognuno di essi attraverso i propri materiali e il proprio linguaggio: Pablo Atchugarry, Enrico Bertelli, Enzo Cacciola, CCH, Vincenzo Cecchini, Salvatore Emblema, Maurizio Faleni, Giorgio Griffa, Paolo Masi, Michela Nosiglia, Mauro Panichella, Rudy Pulcinelli, Antonio Scaccabarozzi e Lorenzo Taini. Una diversità di personalità artistiche e di suggestioni che ci fanno subito capire l’ampiezza di vedute di questo giovane gallerista e il disegno preciso che sta dietro ad ogni sua mossa.
«Quando studiavo – mi racconta Gian Marco durante la nostra chiacchierata – ho avuto modo di seguire da vicino l’attività della Galleria 21 di Gianni Schiavon, che è qui a Livorno. Non ci ho mai lavorato nel senso stretto della parola, ma accompagnandolo in fiera, assistendolo e aiutandolo negli allestimenti, ho avuto modo di capire come funziona questo mondo. Ed è grazie a lui, e all’esperienza fatta insieme alla fiera di Bergamo, che ho “scoperto” che il contatto con i collezionisti mi piace, in particolare con quelli che acquistano un’arte diversa da quella che acquisto io. E’ interessante confrontarsi, parlare e questo mi ha spinto a cambiare completamente approccio con le persone». «Da collezionista – prosegue – ho sempre vissuto l’arte in modo molto intimo. Rientravo a casa dall’Università e mi immergevo nei libri, nei cataloghi spinto dal desiderio di saperne sempre di più. Ma tutto ciò è sempre stato separato dal mondo che mi circondava. Se guardi i miei canali social, ad esempio, vedrai che non ho mai condiviso molto di questa mia passione con gli altri. Anche perché con gli amici non avevo molte occasioni per parlare di arte e quando lo facevo, spesso partendo un po’ all’improvviso, mi guardavano sempre perplessi… e non ti dico i miei compagni di ingegneria (ride)».
«Da quando ho aperto la galleria, invece, tutto ciò è cambiato – va avanti – ho iniziato a condividere molto di più e come missione della galleria mi sono dato quella di far conoscere ai miei coetanei, e ai collezionisti che oggi si interessano di altre forme d’arte, quello che artisticamente è successo in Italia negli anni Sessanta e Settanta; facendogli incontrare, quando possibile, gli artisti, così da preparare i giovani ed avvicinarli all’arte e, se non proprio al collezionismo, almeno ad un primo acquisto». «Una missione ambiziosa, ma quello che ho vissuto durante l’inaugurazione mi ha fatto capire che è realizzabile. All’apertura c’erano più di 200 persone – racconta -, tutte venute non tanto per farmi piacere ma sinceramente incuriosite. La presenza di Masi ha fatto il resto. Poter parlare direttamente all’artista, farsi firmare il catalogo ha creato qualcosa di unico e alla fine nessuno se ne voleva più andare, i miei amici, i miei compagni di corso e tutti gli altri. E non sono mancate le vendite».
«Nel mondo in cui viviamo – aggiunge, facendosi più serio – siamo costantemente spinti a spendere cifre assurde per beni non durevoli, fatti apposta per durare un paio d’anni e po sono da gettare. Nel collezionismo è diverso: anche per noi ogni poco sbuca un artista nuovo da inserire in collezione, ma non per questo getti il resto; tengo Masi e prendo anche Griffa. E’ un continuo arricchimento culturale ed artistico, fatto di opere, libri, cataloghi, ricerca. Ma quando esce l’iPhone 7, il 6 lo butti. E’ proprio una questione di cultura da creare. I giovani vanno coinvolti, perché l’amore per l’arte può scattare in qualsiasi momento se adeguatamente stimolato. Non occorre nascere in una famiglia di appassionati».
E parlando della sua impostazione di gallerista mi spiega: «In casa siamo piccoli collezionisti e come gallerista sono partito con pochissimi fondi: so bene come i prezzi dell’arte possano sembrare sempre alti, specie ad un giovane che sta solo iniziando ad avvicinarsi a questo mondo. E questo a prescindere che siano cifre realmente alte o prezzi accessibili. Se però gli fai capire che lo può pagare 200 euro al mese le cose magari cambiano. Anche perché noi oggi siamo abituati a spenderli in tante sciocchezze. Non sempre è un problema di “possibilità”, ma di cultura: è più facile che un giovane sia disposto a spendere 350 euro al mese per la rata del BMW o 6-700 euro in uno smartphone che non in un’opera. Ed è su questo aspetto che voglio lavorare. Devo coinvolgere i giovani, in primis della mia città, dove una volta esisteva un passione collezionistica che, però, si è persa nel passaggio generazionale».
«Per questo – conclude – il mio obiettivo è quello di fare mostre, ma anche incontri con gli artisti. E poi ogni mostra deve avere il suo catalogo, con testi curati, interviste: uno strumento fondamentale per la diffusione dell’arte. Perché oggi lo prendi e lo metti distrattamente in libreria, poi tra qualche anno, quando sei più maturo, riordinando, lo ritrovi e scatta magari qualcosa. Oltre al fatto che metto sempre a disposizione i miei libri e miei cataloghi in modo che nessuno torni mai a casa a mani vuote ma con una memoria non solo visiva di quello che hanno ammirato». E per il futuro? Dopo i nomi storici dell’analitica è la volta di un giovane che in qualche modo si ricollega a quelle ricerche: Lorenzo Taini, la cui personale – Tempi Sospesi – è stata inaugurata il 16 settembre scorso. Poi arriveranno gli esponenti italiani di Fluxus e la Poesia Visiva, mi anticipa. Insomma, una giovane galleria da tenere sott’occhio, perché ci riserverà certamente qualche bella sorpresa.