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Il collezionista sfortunato e la galleria belga

del

Per me l’arte è sempre stata uno strumento di conoscenza. Il mio modo di osservare e capire il mondo. Quando dipingo, dialogo con la realtà e cerco la sua verità più profonda. E sempre – anche nei giorni in cui prendo il pennello per crogiolarmi nella mia tristezza – mi trovo a riconoscere che in fondo a ogni cosa – anche la più insignificante, anche la più volgare, la più grigia – c’è bellezza.

Quando vendetti il mio primo quadro, mista all’euforia – per qualcuno la mia arte aveva un valore! – una profonda tristezza. Ma… questi soldi sono davvero il giusto prezzo per il mio dipinto? E’ davvero possibile assegnare un valore economico a un’opera d’arte?

Questa domanda ai giorni nostri sembra veramente oziosa e non è proposito di questo articolo darle una risposta. Tutt’altro. I miei studi di giurisprudenza mi hanno insegnato ad essere pratica e ad applicare al mio sguardo trasognato sul mondo il composto e squadrato filtro del giurista. Così, mi appresto a indossare i miei occhiali di avvocato dell’arte per annoiarvi un po’ sull’appassionante tematica del certificato di autenticità.

Siamo in Belgio, in una cittadina della provincia fiamminga delle Fiandre Orientali, dove, affacciata allo Schelda, si trova una galleria d’arte non poco nota. Le sue vetrine attirano l’attenzione degli amanti dell’arte contemporanea e del dopo guerra. Per qualche mese è in corso un’esposizione sullo scultore minimalista Donald Judd, del quale la galleria si pregia di essere uno specialista.

Dall’altra parte del mondo, a San Francisco, un appassionato d’arte concettuale, nonché consulente finanziario – a cui daremo il nome fittizio di Mr. Willy – decide di investire in un’opera di Judd. Non ha molta familiarità con il mercato dell’arte, ma sa che il meracato dell’artista americano, sebbene nel tempo abbia avuto un andamento altalenante, da quando ha interrotto la sua produzione artistica è in ascesa.

Alba a San Francisco, città natale del collezionista protagonista della nostra storia.

Dopo un tira e molla di un paio di settimane, arrivano a un accordo: per 45.000 dollari, la scultura sará di Mr. Willy. Del resto, secondo le stime, il suo valore oscilla tra i 50.000 e i 70.000 dollari. Cosí, tutto sommato, Mr. Willy è soddisfatto, anche se l’ultimo prezzo di vendita é stato di soli 25.000 dollari.

Prima di chiudere, peró, si fa mandare dal gallerista un’immagine del certificato di autenticità, consapevole del fatto che, senza questo documento, l’opera perde moltissimo valore e soprattutto non vale niente come investimento. Riceve un documento contenente i seguenti dati: il nome dell’artista, una fotografía della scultura, il titolo, le dimensioni, le tecniche e i materiali utilizzati, la data di creazione, l’ID dell’opera, la sua provenienza, la firma dell’artista e la data di spedizione del certificato. Perfetto. L’opera viene mandata a spese del venditore e Mr. Willy la mette nel suo studio, dove anche i suoi colleghi e clienti possono contemplarla.

Passa un anno e Mr. Willy decide di farsi registrare presso la fondazione Donald Judd come legittimo propietario dell’opera. Ma, sorpresa! La fondazione risponde negativamente alla sua richiesta: il documento che accompagna l’opera da lui acquistata non è un certificato d’autenticità, ma un certificato di archiviazione che attesta la sua presenza nel Registro.

Gli archivi della fondazione, infatti, segnalano l’esistenza di un certificato di autenticità che non corrisponde con quello presentato da Mr. Willy. Il certificato autentico sarebbe stato stilato sul dorso di una fotografia dell’opera. Dunque due sono le opzioni per il nostro collezionista sfortunato: o effettivamente rinviene il suddetto certificato o, nel caso si dimostri la distruzione o perdita di quest’ultimo, se ne fa dare uno nuovo dall’artista.

Quest’ultima possibilità è assai remota. Sarebbe molto rischioso emettere un certificato sustitutivo: in qualunque momento quello originale può venire fuori e creare seri problemi nel mercato. Dunque, non resta che cercare di rintracciare l’originale, ripercorrendo passo per passo tutte le transazioni di cui l’opera in questione è stata oggetto. Oppure passare ad azioni legali.

Mr. Willy è restio a fare causa alla galleria. Vuole a tutti costi conservare l’opera. Pensa che sia un ottimo investimento e spera di riuscire a scovare il certificato. Prende contatto con le gallerie e i collezionisti che l’hanno posseduta in passato, con le sale in cui è stata esposta… Niente. Nessuno sa niente del benedetto certificato. Inoltre, la galleria non collabora in modo risoluto e trasparente. Comincia a nascere il sospetto che in realtà questa sapesse fin dall’inizio dell’irregolarità del documento e abbia agito in mala fede.

 

Una vista di Judd, la spettacolare retropettiva dedicata a Donald Judd attualmente in corso al MoMA di New York

Affidato il caso al nostro studio legale, l’incertezza sul da farsi si protrae per svariate settimane. Lettere di avvertimento alla galleria, ultimi tentativi di rintracciare il certificato, che sembra irreperibile. Nell’attesa di un qualche esito, informiamo Mr. Willy delle possibili azioni legali che si potrebbero intraprendere contro la galleria.

La prima cosa da fare è stabilire qual è la legge applicabile, dato che la compravendita è internazionale. Semplice: trovandosi il venditore in Belgio, il contratto è retto dalla legislazione belga. In quanto ai rimedi civili di cui Mr. Willy dispone, questi sono sostanzialmente quattro.

Il primo e più frequentemente invocato nell’ambito del nostro problema è l’azione di nullità per errore di sostanza, sancita dall’articolo 1110 del Codice Civile belga. L’errore è invocabile purchè riunisca una serie di caratteristiche. In primo luogo l’errore deve essere essenziale, ossia determinante del consenso di Mr. Willy”. 

Nel nostro caso è facilmente argomentabile che Mr. Willy non avrebbe concluso la compravendita se avesse saputo quale era la natura del documento che accompagnava l’opera. Il nostro investitore era ben consapevole del fatto che l’assenza del certificato di autenticità sottrae valore al pezzo, ne rende quasi impossibile la rivendita e del tutto chimerica l’inclusione in un catalogo ragionato. Che la presenza del certificato fosse essenziale per Mr. Willy è confermato, peraltro, dal suo volere assicurarsi della sua esistenza prima di firmare il contratto.

L’errore è determinante, inoltre, anche perché riguarda una qualità essenziale dell’oggetto contrattuale. È infatti generalmente riconosciuto, sia nella dottrina sia nella giurisprudenza belga, che l’autenticità costituisce un elemento sostanziale dell’opera d’arte.

Mr. Willy, però, deve anche provare che l’errore è comune, cioè che è sostanziale sia per il gallerista che per il cliente. Il carattere sostanziale del documento d’autenticità deve essere stato compreso come tale nella comune intenzione delle due parti contraenti. Infine, si dovrà provare che l’errore è scusabile, cioè che lo avrebbe potuto commettere qualsiasi persona ragionevole nelle stesse circostanze di Mr. Willy.

In questo senso, Mr. Willy, nella sua veste di collezionista non professionale, ha scambiato il documento rilasciatogli per un certificato di autenticità, fidandosi del gallerista, che invece è un professionista del mercato dell’arte.

Inoltre, la ricevuta della compravendita indicava espressamente che il certificato sarebbe stato trasferito al compratore dopo il pagamento del prezzo completo. Anche il prezzo della scultura contribuisce a confermare la sua certificata autenticità: 45.000 dollari corrisponde al valore al quale sarebbe stata venduta solo se accompagnata dal certificato.

 

L’artista americano Donald Judd (1928-1994)

Come se non bastasse, il venditore non era una galleria sconosciuta, ma una piuttosto rinomata nel suo ambito e si presentava come esperta nell’opera dello scultore americano. Alla luce di queste circostanze, non pare che si possa esigere da nessun acquirente ragionevole di condurre un’indagine relativa all’autenticità dell’opera.

In secondo luogo, si potrebbe esercitare la stessa azione di nullità, non per errore, ma per frode. Secondo l’articolo 1116 del Codice Civile belga, a differenza dell’errore, nella frode, la discrepanza tra la volontà reale e quella dichiarata è causata da manovre fraudolente messe in atto, nel nostro caso, dal venditore.

Perché un’azione di questo genere abbia possibilità di prosperare, si devono avere una serie di condizioni, che, premettiamo, non è semplice provare.

Mr. Willy dovrebbe provare che il gallerista ha compiuto manovre fraudolente con l’intenzione di fargli credere che il documento venduto con la scultura era il certificato originale. Come provare che il gallerista era a conoscenza della vera natura del documento? É infatti possibile che a sua volta sia stato ingannato o che abbia fatto affidamento sul parere di un terzo esperto.

Oltre a ciò, il collezionista dovrebbe provare l’esistenza di manovre volte a ingannare,  che queste sono state determinanti per ottenere il consenso del compratore. Cioè che in assenza di quelle manovre, Mr. Willy non avrebbe mai acquistato l’opera.

Come accennato, di solito è difficile provare l’esistenza di frode, in particolare quando non ci sono prove tangibili e materiali della malafede o dell’intento fraudolento del venditore. Per questo, la frode viene invocata solo raramente nel contesto del nostro problema. L’azione di nullità per errore è generalmente preferito a questo rimedio. Come consiglio, conviene sempre invocare entrambe le figure, lasciando al giudice la scelta del rimedio più adatto al caso.

Entrambe le azioni sono esercitabili fino a dieci anni dopo la scoperta dell’errore o della frode. L’ annullamento del contratto può essere accompagnato da un risarcimento dei danni in base all’articolo 1382 del codice civile, ma di norma non è previsto per la perdita di profitto o di opportunità mancate.

La sede della Donald Judd Foundation a New York. Foto: Sando Naglia

Altra azione esercitabile è la rescissione per non conformità. L’opera d’arte non solo deve essere consegnata, ma lo deve essere – come stabilito dall’articolo 1604 del Codice Civile belga – in conformità con quanto stabilito nel contratto. Se l’oggetto di vendita è la scultura di Donald Judd e il suo certificato d’autenticità e poi il compratore si ritrova solo con la prima, la vendita non è avvenuta in modo conforme e ciò mette l’acquirente nella condizione di poter esigere la rescissione del contratto.

Come regola generale, ricade sul compratore il dovere di controllare, al momento della ricezione dell’oggetto d’arte, se questo è conforme o no a quanto stipulato. Tuttavia, i tribunali belgi sono tradizionalmente indulgenti verso gli acquirenti se le qualità e le caratteristiche dell’oggetto venduto richiedono una conoscenza specializzata che non è richiesta al compratore, e se per il controllo della conformità dopo la consegna fosse necessario chiamare un esperto.

Per tanto, chiaramente Mr. Willy è sollevato da quest’onere e può tranquillamente invocare l’istituzione della non conformità per far valere la sua causa. Quest’azione è invocabile per un periodo di due anni dalla scoperta della non conformità.

Infine, Mr. Willy puó avvalersi dell’azione inibitoria o estimativa per difetti latenti. Si può, infatti, considerare l’assenza del certificato come un difetto invisibile al momento della vendita e scoperto solo dopo. Secondo il Codice, l’acquirente che scopre il difetto deve agire legalmente in un breve periodo di tempo e può scegliere tra l’azione redibitoria (o risoluzione) e l’azione estimatoria (riduzione del prezzo). In entrambi i casi potrà richiedere un risarcimento, purchè risulti provata la malafede del venditore.

Sono passati due mesi e la galleria non ha ancora dimostrato di volere collaborare seriamente per ritrovare il certificato. Ormai abbiamo contattato tutti i precedenti propietari e nessuno ha traccia del documento. La cosa più probabile è che sia andato perso quando il nostro gallerista lo acquistó nel 2008 in un’asta di Dorotheum.

Mr. Willy è stanco di aspettare. Mandiamo l’ultima lettera di avvertimento, pronti a presentare il nostro reclamo, ormai quasi ultimato. Questa volta la galleria ci prende sul serio e, dopo settimane in cui pareva irreperibile, telefona promettendo di restituire la totalità del prezzo pagato dal nostro povero Mr. Willy.

Morale della favola? Quando investite in opere d’arte, siate più diligenti di quanto la legge vi esiga. Non sará pure vostro dovere controllare se ciò che vi vendono come certificato di autenticità e proprio tale, ma farlo vi risparmierà eventuali futuri problemi legali, possibili e ingenti perdite di tempo e denaro e, soprattutto, una dose considerevole di stress e insonnia.

E se alla fine, pur prendendo tutte le precauzioni, siete vittima di errore o frode… lasciate che l’arte, quella che non comprate, quella che vale solo per l’umanità e la bellezza che ha dentro, poco a poco vi risani. Scusate! Ho sfilato i miei occhiali da avvocato prima ancora di chiudere l’articolo… e non vedo altro che pennelli e colori dappertutto!

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