Dopo il successo newyorchese dello scorso anno con la retrospettiva I was not new e quello londinese di Oscuramento: The Wars of Fabio Mauri, attualmente in corso presso la galleria Hauser&Wirth, prosegue anche nel 2016 la riscoperta dell’opera di Fabio Mauri, uno dei principali protagonisti dell’avanguardia
2012-2016: cronistoria di una riscoperta
La notizia che un suo Schermo – la versione di Mauri del monocromo – è stato venduto a New York per un milione di dollari la dice lunga sull’interesse che questo artista sta suscitando tra i collezionisti internazionali. Anche se durante la sua carriera a Mauri non sono mai mancati i riconoscimenti, il suo mercato, infatti, è stato sempre molto debole, con aggiudicazioni in asta che, dal 1993 ad oggi, hanno raramente superato i 10.000 euro. Una debolezza dovuta, in primo luogo, alla peculiarità dei suoi lavori: mai ripetitivi e soprattutto pieni di contenuti. Caratteristica questa che se, da un lato, ne determina la loro inesauribile attualità, dall’altro li rende “scomodi” in un mondo dell’arte non sempre molto “profondo”. Ma la scarsa presenza di Mauri sul mercato è anche, e soprattutto, dovuta ad un suo palese disinteresse per questo e per le sue logiche. Disinteresse che ne ha certamente limitato la diffusione geografica anche in termini di conoscenza da parte del grande pubblico.
Invitato alla Biennale di Venezia nel 1954, 1974, 1978, 1993, 2003, Mauri durante la sua carriera – iniziata nel 1955 con la prima personale alla Galleria Aureliana di Roma – ha esposto raramente all’estero e quasi mai da solo. E per avere una sua retrospettiva si è dovuto attendere, addirittura, il 1994 quando la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ha organizzato la mostra Fabio Mauri. Opere e Azioni 1954-1994, a cui ne sono seguite una seconda nel 1997, alla Kunsthalle di Klagenfurt e una terza, nel 2003, a Le Fresnoy (Lille). Ma è solo dopo il 2009, anno della sua scomparsa all’età di 83 anni, che le cose sono iniziate a cambiare e, in particolare, nel 2012, quando è cominciato un vero e proprio processo di riscoperta della sua opera. Prima con The End, la grande retrospettiva allestita negli spazi di Palazzo Reale a Milano e, poi, con la presenza a dOCUMENTA (13).
Nel 2013, Mauri è stato tra i pochi artisti italiani presenti alla Biennale di Venezia curata da Massimiliano Gioni, mentre nel 2014, a Buenos Aires, presso la Fundación PROA, gli è stata dedicata una retrospettiva di grandissimo successo. Si arriva così al 2015 e all’accordo tra lo Studio Fabio Mauri e la galleria internazionale Hauser&Wirth i cui fondatori, i galleristi svizzeri Iwan e Manuela Wirth, sono considerati i più influenti del mondo dell’arte. Una collaborazione che, dopo 40 anni, ha riportato Mauri negli Stati Uniti con la mostra Fabio Mauri. I was not new, e ha permesso, per la prima volta, una sua personale a Londra con Oscuramento: The Wars of Fabio Mauri. Due mostre accolte con entusiasmo sia dal collezionismo che dalla stampa, che gli ha dedicato ampio spazio. In primo luogo New York Times e Financial Times.
Nuovamente protagonista all’ultima Biennale di Venezia, dove Okwui Enwezor gli ha riservato un’intera sala del Padiglione centrale, e presente per la prima volta alla Biennale di Istanbul, l’opera di Fabio Mauri nel 2015 è entrata a far parte della mostra permanente del Museo di Rivoli. Mentre altri lavori sono stati acquisiti dal Centre Pompidou di Parigi e dalla Collezione Pinault di Punta della Dogana che li esporrà, come detto, in occasione della mostra Accrochage. E sempre ne
Fabio Mauri e il mercato
Allo Studio Fabio Mauri lo conservano quasi come una reliquia: è un assegno in bianco che, molti anni fa, una coppia di collezionisti aveva lasciato all’artista romano per l’acquisto di alcune opere. Mauri non lo compilò mai e quella vendita non vide mai la luce. Un’avventura simile capitò ad un gallerista milanese che avendo solo uno Schermo, ma tre pretendenti, andò dall’artista per acquistarne altri due. Beh, se ne torno a casa senza opere, perché l’artista alla fine si comprò anche quell’unico che possedeva. Basterebbero questi due aneddoti per capire il totale disinteresse di Fabio Mauri per gli aspetti commerciali del suo lavoro di artista. Un disinteresse che, in parte, gli era permesso da una certa agiatezza economica che gli derivava dall’essere, all’epoca, presidente delle Messaggerie Italiane e della casa editrice Garzanti, ma che, in primo luogo, era una necessità. La necessità di essere libero dai dettami di un mercato che spesso imbriglia la creatività degli artisti. «Quasi tutti hanno voglia di brand – spiegava qualche anno fa Achille Mauri, fratello di Fabio, a Repubblica -, di segni di riconoscimento, come per esempio Fontana, che è molto facile da identificare, vedi un taglio e puoi dire “guarda qui, ho un Fontana”. Mio fratello Fabio non si è mai piegato a una idea di commercio, si è sempre dedicato appassionatamente alle sue idee, ai contenuti, li elaborava».
Ma se questa sua libertà gli ha permesso una produzione estremamente varia dove, «appena “azzeccava” un segno né cercava e inventava altri», dall’altra gli ha precluso, specie in tarda età, quella visibilità internazionale che il suo lavoro certamente meritava. Basti pensare, che in trent’anni, sono state solo 62 le sue opere passate in asta e che la maggior parte dei suoi lavori fanno parte di collezioni italiane e solo in rari casi sono presenti in raccolte estere. Allo stesso tempo, però, questa situazione ha permesso allo Studio Fabio Mauri, che ne cura il lascito, di avere a disposizione moltissime opere storiche che sono oggi alla base di un intenso lavoro sia di rivalutazione storico-artistica attraverso retrospettive in tutto il mondo, sia di riposizionamento sul mercato. Ed è qui che si inserisce la stretta collaborazione con la Hauser&Wirth che sta già dando i suoi primi frutti. Basti pensare che durante la mostra newyorchese dello scorso anno uno degli Schermi di Mauri è stato venduto a circa 1 milione di dollari quando, cinque anni fa, queste opere si vendevano in galleria tra i 90 e i 95 mila. Mentre in asta il suo record è di appena 45.000 euro, stabilito, sempre da uno Schermo, il 26 maggio 2008 da Christie’s Milano.
Fabio Mauri: conoscerne la vita per capirne l’opera
Come ha scritto Francesco Tedeschi, «Fabio Mauri è stato un protagonista singolare dell’arte e della cultura del Ventesimo secolo, un secolo forse “breve”, che Mauri ha osservato e interpretato secondo una duplice focale, in cui le vicende collettive si rispecchiano in quelle individuali e viceversa». Dalle tele bianche degli anni 50, alle performance teatrali, sino alle installazioni e alle proiezioni su supporti sempre diversi. Tutta la poetica di Mauri, di altissimo valore etico oltre che estetico, estrae, dal flusso ininterrotto della storia, oggetti che divengono memoria indelebile della nostra esistenza. Storia personale e collettiva, quella storia che ha segnato profondamente la vita e l’opera di questo artista che vive in prima persona il dramma della Seconda Guerra Mondiale e della Shoah. La fame, la morte, gli amici deportati e mai più tornati lo gettano, alla fine del conflitto, in uno stato di costernazione tale da autoescludersi dal mondo, rinchiudendosi in un silenzio profondo. Smise di scrivere, di dipingere e di frequentare gli amici e per lui si aprirono le porte dei manicomi. Mauri fece trentatré elettroshock, due volte il ciclo delle cure del sonno, due volte quello dell’insulina.
Poi il lento risorgere da questa inguaribile angoscia che si fa, con la maturità, analisi critica o poetica, dando vita ad un lavoro complesso ed imprevedibile ma, soprattutto, sempre di grandissima attualità. E proprio parlando della sua ricerca artistica Mauri commenterà: «Ho ripensato la mia biografia e ho pensato che avevo conosciuto una realtà storica forte. Avevo rimosso come un grande incidente tutto questo dolore, l’ho riaffrontato». E nella sua opere, infatti, arte e storia si intrecciano come luoghi dell’identità da cui trarre grandiose immagini, tramite continue commistioni di mezzi e materiali. Come nel caso di una delle sue opere più note, esposte anche all’ultima Biennale di Venezia: Il Muro Occidentale o del Pianto (1993). Un muro di quattro metri, composto da una catasta di valigie di cuoio, di legno, di varie dimensioni, emblema della divisione del mondo, dell’esilio, della fuga, dell’esodo forzato. Valigie che altro non sono se non il bagaglio di individui, anche immigrati o emigranti, non necessariamente vittime dell’Olocausto. Un’opera, quella di Mauri, dove è centrale il tema delle ideologie, del rapporto tra i meccanismi del pensiero e del potere, e la loro applicazione nei momenti del reale che possono confermarne o metterne in crisi le certezze.