In Italia è risaputo, Faenza (e il suo circondario) è terra di tradizioni ceramiste. Proprio per questo non poteva mancare il laboratorio e il museo di un artista come Carlo Zauli.
Siamo arrivati in città in una giornata grigia, umida, che aveva ancora le tracce della triste alluvione che ha colpito la Romagna questa primavera. Non è facile abbandonare i ricordi di una fatica così ingombrante e significativa.
Abbiamo incontrato Monica, figlia di Zauli, in via della Croce all’interno delle stanze del museo. Qui ci ha raccontato la storia di suo papà, la passione per la scultura in ceramica coltivata fin dagli anni della scuola, le sue sperimentazioni tra gres e maioliche per poter guardare oltre i confini italiani.
Dal 2002, anno della morte dell’artista, l’intera collezione è stata organizzata in due grandi aree, con l’obiettivo di rispettare il più possibile quello che era l’ambiente originale in cui Zauli ha sviluppato il suo linguaggio e la sua poetica. L’idea è sempre stata quella di non interrompere la produzione artistica. Infatti ancora oggi, il museo ospita progetti come residenze d’artista e laboratori attivi di ceramica.
Per parlare di ciò che contiene la collezione, bisogna distinguere due sezioni: un gruppo di opere appartenenti alla famiglia e quindi opere storiche; e un secondo gruppo più contemporaneo che ha contato numeri in crescita e che vede opere di artisti giovani.
Attualmente, non è così facile scoprire la collezione prodotta e messa insieme a partire dal lavoro di Carlo Zauli. Il museo è oggi chiuso a seguito appunto dell’alluvione di maggio 2023, ma i laboratori d’artista stanno proseguendo e la voglia dell’intero staff di mettere di nuovo a nuovo gli spazi e rendere di nuovo agibile il museo è così forte, che siamo certi non si dovrà aspettare ancora molto.
Ascoltare il racconto di Monica ci tele trasporta in quegli spazi e ci rende ancora più curiosi.