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Luca Bravo: come collezionare Banksy e vivere felici

del

Cari lettori, oggi parliamo di Banksy insieme a Luca Bravo, suo affezionato collezionista e art consultant di professione, che è riuscito a raddoppiare il proprio patrimonio investendo su un unico artista.

Tutti conosciamo il fenomeno Banksy, senza però sapere che cosa implichi in realtà collezionare street art e chiudere un’arte nata per essere pubblica fra le mura domestiche o, come in questo caso, al sicuro in un caveau.

Personalmente, ammetto di non essere mai andata troppo oltre il valore della street art in chiave della finalità collettiva implicita nelle sue manifestazioni, e dire che per questo motivo la street art mi piace non è sufficiente per me.

Soprattutto questa mia necessità di approfondire è stata la motivazione che mi ha spinta a fare qualche domanda a Luca Bravo.

Ma partiamo dal principio della sua storia con l’arte contemporanea, come sempre

Banksy – Get out while you can – 2005

Alice Traforti: Come ti sei approcciato all’arte contemporanea?

Luca Bravo: «Tutto nacque nel lontano 2003 quando, da neo-avvocato, iniziai a condividere con la mia ex compagna la passione per questo eclettico mondo.

Iniziammo ad esplorare le Fiere d’arte contemporanea europee, fin da subito come espositori. Essendo lei molto più giovane di me, io occupavo inizialmente un ruolo da motivatore, quasi da coach mentale, e di pianificazione per superare i problemi e i famosi dilemmi coi genitori del “cosa farò da grande”.

Occorreva decidere di buttarsi in un mondo in cui vedevo grandi potenzialità, scontrandosi con le normali programmazioni di vita di due ragazzi che, dopo le rispettive Scuole, dovevano semplicemente scegliere di lasciare il certo per l’incerto. Anche se, ammetto, le certezze occorreva in ogni caso conquistarle.

Ecco, un talento che mi riconosco è sicuramente la lungimiranza, ossia l’averci visto bene, anche influenzando positivamente le scelte altrui. Di questo sono sicuro, Alice, la mia ex compagna mi ringrazia ancora oggi.

In pochi anni ci siamo sviluppati sui mercati esteri, specializzandoci sulla selezione di artisti italiani e internazionali, e sulla proposta artistica personalizzata a seconda di quale Fiera del mondo si decideva di frequentare.

Ho potuto notare fin dagli inizi che spesso le richieste, o i semplici gusti, potevano variare anche di molto a seconda di esporre opere in Asia piuttosto che in Europa. Anche all’interno di una visione più ampia, mi viene ancora da sorridere di quanto il figurativo classico venisse snobbato ad esempio a New York, o di quanto la fotografia venisse già apprezzata nei mercati inglesi e non ancora recepita da quelli di Hong Kong.

Gratificanti esperienze di crescita, economica e culturale, che mi hanno portato a una maturazione profonda sia in termini conoscitivi che di vera e propria vendita dell’opera d’arte. Ma la cosa che più mi affascinava, in questo atipico e stimolante cammino, è che mi divertivo lavorando.

Trovavo piacere in ogni viaggio, in ogni nuova città del mondo dove esponevo e scoprivo nuovi tratti caratteriali delle diverse culture. Sì, perché gestire un cliente cinese, non è assolutamente la stessa cosa di trattare con un acquirente americano.

Modi di essere, retaggi storico-culturali, contesti e società opposte, fanno sì che gli approcci devono essere decisamente diversi e drasticamente personalizzati. Anche questa penso sia un’arte nell’arte. Percorsi e destini di cui non ho potuto fare a meno. E così sono arrivato agli anni 2018/2019, dove il mio cammino artistico ha incontrato la Deodato Arte, una delle gallerie più prestigiose d’Italia. E sottolineo, in modo del tutto indipendente da obbiettivi o pianificazioni passate.

Come già dichiarato in altre interviste, ho una visione decisamente romantica della vita, sia privata che professionale. Possiamo porci qualunque obbiettivo quotidiano, sforzarci di perseguirlo ad ogni costo, cercare di tener in pugno qualcosa che invece sfugge, forzare il destino, ma poi occorre semplicemente esser spettatori di questo fiume in piena che è la vita.

Il mio esser diventato “art consultant”, specializzato in mercati esteri, discreto conoscitore di artisti emergenti e non, buon collezionista, ha fatto sì che in pochi mesi iniziassi la mia collezione privata con gli elementi più rappresentativi della street art mondiale. E di fatto, stupito dall’esser raggiunto da una popolarità così veloce sui media, per l’aver raddoppiato il mio patrimonio grazie ad azzeccati investimenti artistici, in particolar modo in Banksy».

Banksy – Napalm – 2004.jpg

A.T.: Vivi tra Parma e Piacenza. Puoi raccontarci il contesto artistico culturale della tua zona?

Luca Bravo: «Domanda bellissima, ma mi ci vorrebbero ore a rispondere. Qui mi limito a citare per Piacenza, oltre al Museo Civico, la famosa Galleria d’arte moderna Ricci Oddi nata da una collezione privata di un nobile Piacentino, dove possiamo ammirare opere di grande rilievo sia dell’Ottocento che del Novecento (Hayez, Carnovali, Signorini, Campigli, Fontanesi, Mancini, Bruzzi, Klimt e molti atri). L’intera collezione è stata donata alla città di Piacenza. Non posso non citare poi il Collegio Alberoni e la Fondazione Gazzola.

Per quanto riguarda Parma invece, tutti ormai conosciamo il patrimonio della Galleria Nazionale di Parma, in piazza della Pilotta, relativo a opere dei più grandi. Da Leonardo da Vinci a Beato Angelico, Canaletto, Parmigianino, Tintoretto, Correggio e Botticelli. Camminando per la città, tappe obbligate sono i numerosi monumenti presenti, nonché le diverse opere di Correggio in Conventi, Chiese, fino ad arrivare alla Cupola del Duomo, una delle mie preferite in Italia, dove troviamo la stupenda Assunzione della Vergine (anni 1525-1530)».

Banksy – Trolley Colour – 2006

A.T.: Quando e perché ti sei appassionato di street art e, in particolare, di Banksy?

L.B.: «Qui devo esser molto sincero e onesto con me stesso. Fino a pochi anni fa valutavo la street art come manifestazione d’arte istintiva, immediata, semplice, e in certi casi piuttosto antiestetica. Poi guardai per curiosità il famoso documentario “Exit through the gift shop”, attribuito a Banksy, in cui si narrano le vicende e le avventure urbane non solo di Banksy ma anche degli altri street artist top al mondo, tra cui Shepard Fairey, Invader e Mr. Brainwash.

Da quel momento iniziò una vera e propria dipendenza emozionale dalla street, abbinata all’incontro della Deodato Arte sulla mia strada professionale. Consiglio a tutti la visione di quel film documentario, anche solamente per entrare nei panni e negli stili di vita di quei ragazzi, diventati poi i personaggi più influenti nel panorama contemporaneo mondiale.

Per quanto riguarda invece in dettaglio Banksy, per cogliere appieno il suo fascino, occorre aggiungere la sua scioccante popolarità e personalità raggiunta in pochissimi anni. Un’icona, un fenomeno sociale, un simbolo in cui le persone credono e che sostengono. Lui ha cambiato radicalmente il modo di fare arte.

Lo street artist che tutti conoscono è stato nominato tra le 100 persone più influenti al mondo sul “Time”, in mezzo a Barack Obama, Bill Clinton e Sarah Palin. Lui stimola l’interesse di chiunque al mondo dell’arte, proprio per questo in molti parlano oggi del famoso “effetto Banksy”. Di Banksy amiamo la sua contraddizione, idolificato a livello internazionale ma ancora totalmente sconosciuto.

Oggi è considerato la forma più redditizia di investimento e guadagno dai maggiori investitori nel mondo. Solo nel 2020 ha fatto un +125% rispetto al 2019».

Banksy – No ball games – 2009

A.T.: Che cosa significa collezionare street art oggi?

L.B.: «Oggi certamente collezionare street art è diventato fenomeno cool. È un collezionismo d’avanguardia, che ha avuto il grande merito di avvicinare al mondo dell’arte anche una fetta di popolazione sovente distante o scettica al contesto tradizionale dei mercati dell’arte. Oggi vedo giovani che investono in Obey e Mr. Brainwash con una facilità e un entusiasmo disarmante. Attratti, calamitati a questo nuovo modo di fare arte con la bomboletta spray, lo stencil ed i collage.

Stiamo finalmente entrando in un’epoca nuova. Prima collezionismo era sinonimo di investimento in Picasso, Bacon, Basquiat, Burri, Fontana, Warhol; oggi è arrivato un tizio di nome Banksy. Ed a seguire le mode, i trend puramente estetici vanno spesso in direzione dell’arte urbana e dell’opera irriverente, quasi presuntuosa. Io stesso, sostenitore di un figurativo ancorato al tradizionale, sono stato travolto da questo passaggio che accolgo e descrivo quotidianamente con stupore ed emozione».

A.T.: Parliamo un po’ di Banksy e del suo anonimato. Come riesci ad avere un rapporto sincero con l’opera senza poterlo instaurare con l’artista?

L.B.: «Ti rispondo dicendo che nella mia vita professionale in questo mondo eclettico dell’arte contemporanea, mi è capitato raramente di stabilire rapporti sinceri o perlomeno virtuali con l’artista inteso come persona ben identificabile. Un po’ come leggere un libro grandioso, su cui è stato girato il relativo film, e si ha spesso il timore (comprensibilmente giustificato) che il film non soddisfi pienamente le aspettative che ci auto-somministriamo. A me piace pensare che l’opera sia la vera faccia dell’artista. Voglio che siano un tutt’uno, in completa simbiosi. E, parlando di Banksy, ammetto che se dovessi esprimere un desiderio, vorrei non svelasse mai la sua identità. È tutto semplicemente perfetto, geniale, diabolico, così. Chiudo con una frase di Banksy stesso: “Non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticano che l’invisibilità è un super potere”».

Angelo Accardi, “Blend”, cm 100×70, tecnica mista su tela, 2018

A.T.: Oltre alle 6 opere di Banksy, quali altri artisti sono presenti nella tua collezione privata?

L.B.: «Domanda molto delicata, in quanto della mia collezione privata sono stato sempre geloso e piuttosto protettivo. Fa parte anche del mio carattere. Ma per “Collezione da Tiffany” voglio fare un’eccezione. Diciamo che mi sono capitati per le mani tantissimi artisti, ma oggi la mia collezione è fatta di tre nomi: Banksy, Mr. Brainwash e Angelo Accardi. Di Banksy abbiamo già ampiamente parlato, e penso non ci sia più nulla da aggiungere.

Per ciò che riguarda Mr. Brainwash, il documentario di cui parlavo “Exit through the gift shop” spiega meglio di ogni recensione pubblica o privata la sua dinamicità e la sua presenza ormai definitiva nella street art mondiale, oggi con soggetti ed opere che riportano con intelligenza segnali d’amore e speranza. Le mie preferite, “Not Guilty” e “Juxtapose”.

Infine finalmente un italiano. Un talento dalle potenzialità estetico/artistiche/economiche a mio modo di vedere altissime. Oggi trattato in esclusiva da una delle Gallerie più rappresentative al mondo. Angelo Accardi è espressione di irriverenza, ironia graffiante, personalità con la “P” maiuscola. Osservare una sua opera è puro godimento estetico, riesce ad abbinare il suo simbolo, lo struzzo, a contesti museali pop, scenari urbani, fornendo al fruitore dell’opera un insieme equilibrato di elementi che mai nessuno, in Italia, a mia opinione, era stato mai in grado di ottenere. L’opera di Accardi, in mio possesso, di cui sono più innamorato è sicuramente l’omaggio a Cattelan ed a… Banksy!»

 

Angelo Accardi, “Omaggio a Banksy e Cattelan”, cm 120×80, 2018.

A.T.: Sei stato gallerista, oggi art consultant. Ci racconti come fai dialogare il fattore professionale e quello personale sulla stessa area di interesse?

L.B.: «Diciamo che un fattore aiuta l’altro. E non il contrario. L’esser stato Gallerista mi ha formato, mi ha introdotto, mi ha plasmato. Non ho mai separato la mia persona dall’esser nel mondo dell’arte professionalmente. La sera visito blog, leggo riviste di settore e, ammetto, soprattutto negli ultimi mesi, di pari passo con questa popolarità inaspettata, parlo troppo di Banksy. È ora di ricominciare a guardare una sana partita di calcio con gli amici».

Mr Brainwash – Not Guilty.

A.T.: Da addetto ai lavori, puoi condividere una riflessione sul momento storico che l’arte contemporanea sta attraversando?

L.B.: «Sicuramente la risposta più inflazionata, e facile, sarebbe che abbiamo davanti tempi duri, essendo comunque il mercato dell’arte per definizione stessa un mercato. E come tutti i mercati risentirà di questa ondata di peggioramento generalizzato dell’occupazione, dell’economia. Ma io voglio andare contro corrente. Non per fare notizia, eco o quant’altro. Ma perché lo credo veramente. E parto da una frase di Bertold Brecht (drammaturgo tedesco della prima metà del 900): “L’arte non è uno specchio su cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo”.

Sono sicuro che i veri valori artistico economici verranno ancor più fuori, e verranno ancor più apprezzati in questi periodi così bui per l’umanità, periodi in cui nelle nostre case forse si ha più tempo per riflettere. Si può tornare un attimo a ciò che veramente conta, e ci emoziona, in questo mondo forse andato troppo veloce negli ultimi anni, che si è dimenticato dell’arte intesa come piacere-emozione. Certo, ci sarà una selezione sia degli operatori del settore che degli artisti stessi, soprattutto di quelli definiti emergenti. Sarà molto più difficile per loro. Prevedo anche che le piattaforme di vendita digitali potrebbero svolgere un ruolo sempre più vitale nel futuro del collezionismo d’arte. Questa la mia netta previsione. Ma rimango ottimista, nonostante non lo sia particolarmente di natura».

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