Trascorro molto tempo al telefono, a volte troppo, ma proprio durante una di queste conversazioni, tra un consiglio e un confronto, una parola detta per caso ha fatto sì che mi parlassero di Massimo Magurano e della sua collezione. E ora io sono felice di parlarne a tutti voi!
Alice Traforti: Caro Massimo, mi hai raccontato di come hai imparato a collezionare arte da tuo nonno. Partendo da questo incipit, riesci a ricordare anche il tuo primo acquisto e le motivazione alla base?
Massimo Magurano: «Ciao Alice, ti ringrazio per il riferimento a colui che mi ha fatto crescere tra il bello e le sensazioni che un bimbo di 8 anni può riceverne. Ho imparato da mio nonno, un uomo di grande cultura, il senso del sacrificio per una passione. Direi che probabilmente il primo acquisto è per me, come per chiunque abbia la passione di collezionare arte contemporanea, un ricordo che non mi abbandonerà mai, verso il quale provo sempre grande tenerezza ed emozione.
Un pomeriggio di febbraio del 1987, all’età di 16 anni, ricevetti in regalo dai miei genitori quella che al tempo era chiamata “paghetta”. Uscito di casa, mi recai da un corniciaio dove comprai un’opera di un artista del quale non ricordo assolutamente il nome, ma che avevo sempre ammirato dalla vetrina, ogni volta che passavo da lì. Oggi quella piccola tela è ancora in casa dei miei genitori: non vedo posto migliore per conservarla».
A.T.: Come è composta la tua collezione? Ambizioni, criteri, epoche e autori.
M.M.: «Come spesso capita, l’inizio di questa passione porta ad iniziare una collezione a propria insaputa, nel senso che non sapendo propriamente di iniziare un progetto collezionistico sei ovviamente indotto a compiere errori. Grazie a questi “errori” nel tempo ho dato più carattere alle mie scelte. Oggi è un percorso tra Informale, Concettuale, Street Art e Visual Poetry direi. Il tutto è un misto tra autori storicizzati al fianco di nuove generazioni italiane ed internazionali».
A.T.: Per capire dove e come compra un giovane collezionista oggi, non mi limito a chiedertelo direttamente. Vorrei sapere, in particolare, come si snoda il tuo rapporto con l’arte e intorno a cosa vertono le tue modalità e scelte d’acquisto.
M.M.: «Crescere in un contesto familiare di media borghesia mi è stato sicuramente utile, nel senso che le economie destinate ad una passione come questa devono essere tenute in grande considerazione. Studiare e fare ricerca praticamente da sempre, sicuramente aiuta ed affina il proprio “occhio”, il tutto seguito da momenti in cui puoi o non puoi, che spesso porta anche a frustrazioni collezionistiche. Sono proprio queste frustrazioni che ti danno carica e perseveranza nel possedere, prima o poi, il “pezzo” che desideri.
La conseguenza, quindi, è arrivare prima degli altri ed in questo caso, non potendo spesso acquistare in Gallerie, la ricerca si sposta attraverso le proposte che passano nelle aste praticamente di tutto il mondo. Senza alcuna velleità da profeta è forse questo il modo migliore per avere, a volte, il “capolavoro” sfuggito a qualcuno».
A.T.: Un aspetto che mi incuriosisce, e di cui non ho ancora mai parlato con nessuno, è la competizione che a volte si instaura tra amici collezionisti. Collezionare è una faccenda su cui confrontarsi a cose fatte, oppure c’è una fase precedente di confronto più aperto?
M.M.: «Collezionare Arte contemporanea è in fondo una “patologia”, probabilmente una “malattia” tra le migliori, ovviamente, ma che va presa dal verso giusto. Quando tra mille lotti che saranno battuti trovi quello che credi sia tra i più interessanti, non credo che nessun collezionista si confidi con un potenziale concorrente. Piuttosto, a giochi chiusi in un momento di incontro tra amici collezionisti si scoprono le carte senza alcuna presunzione, almeno per me, ma badando bene di non svelare le coordinate di questa o quella casa d’Aste dal quale l’opera proviene: è un gioco bello, fatto con sincera strategia».
A.T.: Il collezionismo ha un ruolo sempre più centrale e, come ho potuto spesso constatare, emerge con maggior frequenza la volontà di “restituire” (e qui cito esplicitamente Donata Pizzi e il suo “collezionare per restituire”) l’arte alla vita pubblica, in un moto di condivisione della sua utilità. Il collezionismo si manifesta così attivo, al di là del semplice acquisto. In questo contesto si inserisce la tua avventura all’interno di Art Adoption. Di che cosa si tratta?
M.M.: «Riguardo la prima parte della tua domanda nel restituire l’Arte alla vita condivido in pieno, nel senso che ho sempre, qualora richiesto, prestato parte delle opere in favore di progetti di pubblica esposizione: è un principio questo che non mi abbandonerà mai. Proprio perché credo fortemente nella utilità pubblica e sociale dell’Arte, il progetto Art Adoption nasce sulla base della democratica diffusione della cultura. Non abbiamo scoperto nulla, ovviamente, ma forse lo abbiamo attuato nel suo principio più basilare.
Ogni anno in dicembre realizziamo in Toscana, e precisamente a Cortona, una tra le mostre più grandi e complicate possibili ed è quella di far arrivare centinaia di opere da grandi collezioni, fondazioni o archivi e Musei e di inserirle all’interno di tutto il territorio cittadino, attraverso luoghi pubblici o istituzionali. Bello è, per farti un esempio, entrare in un caffè, ristorante o diversamente gioielleria ecc… e trovarsi di fronte un’opera di Sam Francis proveniente da una grande collezione americana, o diversamente un Giuseppe Chiari o Tancredi Parmeggiani di provenienza museale, accostati agli emergenti da noi selezionati. Il tutto, eseguito con discrezione e senza alcuna invadenza verso il pubblico, è come dire: “io te lo mostro, è lì appeso, poi fai te, ma comunque te l’ho portato…” (ridendo)».
A.T.: Come ha influito Art Adoption sul tuo modo di collezionare?
M.M.: «Non direi influenzato, nel senso che è un progetto nato di conseguenza. Collezionando Arte contemporanea abbiamo quindi attenzione ai linguaggi di oggi, dei tempi in cui noi viviamo. Cerchiamo con Art Adoption di portare i linguaggi artistici attuali verso il pubblico che, per vari motivi, probabilmente non ha modo di visitare musei, mostre ecc… Certo, comunque è interessante per me che colleziono arte vedere e sapere quale reazione e considerazione trae il visitatore arguto o inconsapevole verso questa o quella forma d’Arte contemporanea».
A.T.: Vorrei chiudere con un tuo pensiero sulla produzione attuale dell’arte contemporanea, sia emergente che affermata.
M.M.: «Sono abbastanza sensibile nei miei giudizi. Mi spiego meglio, il mio è spesso un pensiero radicale se parliamo dell’Italia: ci sono milioni di artisti, con la nostra tradizione siamo molto sensibili verso l’Arte in generale. Detto questo, i linguaggi e le espressioni d’Arte visiva sono immensi in senso di produzione ed il problema per me è proprio questo. Sono tutti fenomeni e grandi artisti, si pensa di saltare la “gavetta”, si vuole spesso arrivare subito senza alcun talento. Il mercato spesso non aiuta a divulgare il pensiero del sacrificio o dello studio, della ricerca. Trovare un artista davvero genuino, impegnato ed autentico oggi non è proprio una passeggiata».
A.T.: In conclusione…
M.M.: «Per me lo spirito con cui collezionare Arte contemporanea non va confuso con il possedere o meno il denaro per farlo. Illustri predecessori hanno acquistato quelli che oggi sono autori milionari con poco denaro. Credo ci voglia sensibilità, certo l’intuizione aiuta molto, ma di sicuro tutto deriva dallo studio continuo che solo una grande passione può trasmettere. Della curiosità poi non ne parliamo nemmeno si potrebbe parlare all’infinito…».
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Curioso come molti collezionisti si sentano vittime di una splendida malattia, un virus che li spinge, di propria buona volontà, al sacrificio, alla devozione, all’impegno e alla condivisione.
Se esiste un vaccino, è chiaro che lor signori non siano interessati! Che siano piuttosto pronti alla contaminazione delle menti e dei cuori, a connettersi con ciò che la vita offre, a diffondere e infondere speranza, verso nuovi mondi possibili.