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Mercato: se il mondo (ri)scopre Leoncillo

del

«Creta, creta mia, materia mia artificiale, ma carica per metafora di tutto ciò che ho visto, amato, di ciò a cui sono stato vicino, delle cose che ho dentro, con cui, in fondo, mi sono, volta per volta, identificato». In questa frase tratta dal suo Piccolo Diario, è possibile cogliere tutta l’intensità emotiva del lavoro di Leoncillo Leonardi. Sicuramente uno dei più grandi scultori contemporanei a cui abbia dato i natali il nostro Paese, ma che solo recentemente sembra essere stato riscoperto dal collezionismo internazionale che nell’ultimo anno e mezzo gli ha tributato non pochi riconoscimenti di mercato.

A differenza di altre (ri)scoperte che stanno animando il mercato, per Leoncillo la domanda da porsi è però molto diversa dal solito. Se abitualmente, di fronte a questi fenomeni di rivalutazione tardiva, viene da chiedersi “perché proprio adesso?”, in questo caso la domanda che sorge nella mente è: “Perché solo adesso?”. Cerchiamo allora di vedere chi è stato Leoncillo Leonardi, come si sta evolvendo il suo mercato e cosa c’è dietro a questo ritorno di interesse che inizia, come per molti artisti italiani, tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI.

4 anni vissuti al massimo

I primi sei mesi del 2019 hanno sostanzialmente confermato il trend positivo che ormai dal 2016 caratterizza il mercato di Leoncillo. Da gennaio a giugno di quest’anno sono stati venduti 10 lotti a suo nome per un fatturato di 856.798 euro che già è il secondo più alto dopo il 2018 che, con 21 opere aggiudicate, ha superato i 2 milioni di euro, grazie anche al record di 800.000 euro (diritti esclusi) realizzato a Milano il 28 novembre scorso da Sotheby’s con l’opera Grande mutilazione del 1962 (stima in catalogo: 400.000 € – 500.000 €).

LOTTO 5 - Leoncillo, Grande Mutilazione, 1962. Stima: € 400.000- 500.000. Courtesy: Sotheby's
LOTTO 5 – Leoncillo, Grande Mutilazione, 1962. Stima: € 400.000- 500.000. Aggiugicata il 28 novembre 2018 per 800.000 €, quest’opera ha realizzato il nuovo record d’asta di Leoncillo. Courtesy: Sotheby’s

Sensibilmente in crescita i prezzi medi che nel 2018 – se si esclude dal conteggio l’opera record (che di per sé rappresenta un’eccezione) – si sono attestati sui 61.000 euro e nei primi sei mesi del 2019 sono saliti già a quota 85.000 con l’aggiudicazione più alta di 364.500 euro, realizzata l’11 aprile sempre da Sotheby’s a Milano con la scultura San Sebastiano bianco (1962).

Allargando la prospettiva è incredibile l’accelerazione che il mercato di Leoncillo ha fatto registrare dal 2015 ad oggi. Quattro anni fa il suo prezzo medio non superava 13.000 euro e l’aggiudicazione più alta era di 32.000. Già nel 2017 il prezzo medio era di 41.000 e l’opera più costosa aveva raggiunto i 175.000 euro.

L’evoluzione dei prezzi in asta delle opere di Leoncillo e i lotti venduti dal 2000 al primo semestre 2019. Elaborazione di Collezione da Tiffany su dati artprice.com. © Collezione da Tiffany

Un incremento che è sintomo di un mercato che è andato consolidandosi in questi primi due decenni del XXI secolo. Basti pensare che in galleria, agli inizi degli anni 2000, le sue sculture si attestavano tra i 25.000 e i 150.000 euro, mentre per le opere su carta si andava dai 3.000 ai 10.000 euro. E se queste ultime sono ancora oggi a questo livello – tra i 5.000 e i 10.000 euro – le sculture in galleria si collocano ormai in un range tra i 40.000 e gli 800.000 euro. Incremento che, in termini percentuali, equivale ad un +60% per le sculture meno costose fino ad arrivare ad un +433% per le opere di maggior pregio.

Galeotta fu la materia… e non solo

Ancora nel 2015, Renato Barilli ricordava come in occasione del convegno Natura ed espressione, l’approdo sofferto di Leoncillo, tenutosi a Spoleto in occasione del centenario della nascita dell’artista, fosse emerso in modo chiaro come, «pur nel coro unanime delle lodi, traspariva una punta d’amarezza nel riconoscimento che no, Leoncillo non ce l’[avesse] fatta a diventare un nome di riferimento di prima classe, anche a livello internazionale, al pari del conterraneo Burri o di Fontana».

Commentando quanto emerso dal convegno, Barilli si interroga sulle motivazioni di questa mancata affermazione internazionale di Leoncillo. «Mi sono chiesto – scrive il critico -, coram populo, perché le loro (delle opere, ndr) attuali quotazioni, di critica e anche di mercato, siano alquanto scarse, se confrontate rispetto a quelle dei compagni di via sopra menzionati. Mi pare che la critica, nazionale e internazionale, col famigerato seguito o prolungamento dei “curators”, sia vittima di un pregiudizio paradossalmente anacronistico. Tutti ammetterebbero che i nostri tempi sono caratterizzati dal clima postmoderno, salvo poi ad aprire una querelle nel tentativo di fissarne i connotati, comunque di rottura e contrapposizione col modernismo […] Si sa che proprio quel clima si concentrò nel detto “less is more”, e cioè, “meno fai e meglio è”, da qui una prelazione continua a favore del monocromo, di opere che tendano a uno zero, sia cromatico che gestuale».

Lo scultore Leoncillo Leonardi a lavoro

Da un lato, quindi, una temperie artistica che non ha favorito Leoncillo; dall’altro, come ricordava Enrico Mascelloni, massimo esperto dell’opera dell’artista umbro, attualmente impegnato, su mandato degli eredi, nella realizzazione del catalogo generale della sua opera, l’uso di un materiale che certamente lo ha penalizzato. Basti pensare, d’altronde, come sia stata tardiva anche la valorizzazione dell’opera in ceramica di uno dei beniamini del mercato dell’arte italiana: Lucio Fontana. E non è un caso, quindi, che la crescita del valore delle opere di Leoncillo avvenga proprio in un momento in cui le opere in terracotta e in ceramica stano vivendo un momento di grande successo mercantile, come abbiamo evidenziato in un nostro recente articolo (Leggi -> Trend mercato: il momento “caldo” delle opere in ceramica)

E’ questa dunque una prima parte della risposta alla domanda “Perché solo ora?”, che ci siamo posti in apertura di questo approfondimento sul mercato di Leoncillo il quale, per i motivi detti, non si è potuto avvantaggiare subito del trend positivo che ha investito l’arte italiana del dopo guerra a partire dalla fine degli anni Novanta del XX secolo, quando nacquero le cosiddette Italian Sales che tanto bene hanno fatto al mercato di artisti come Lucio Fontana, Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi o Piero Manzoni. Tutti artisti la cui ricerca andava in una direzione opposta rispetto a quella di Leoncillo.

Un successo a lungo atteso

L’artista umbro sembra così essere il “numero ritardatario” di quella affascinante lotteria che è il mercato delle aste. Anche se, in realtà, questo rinnovato interesse affonda le sue radici comunque alla fine del XX secolo quando, dopo anni di silenzio attorno alla sua figura, alcuni suoi lavori sono stati esposti in realtà museali importanti come il Centre Pompidou di Parigi, la Rayburn Foundation di New York o il Centro Reina Sofia di Madrid.

Un nuovo riconoscimento istituzionale che fa sì che oggi, quello che potrebbe apparire come un semplice trend di mercato, sia invece un solido fenomeno di rivalutazione di un artista la cui grandezza fu riconosciuta fin da subito. Come ricordava il testo che accompagnava la bellissima mostra organizza ad inizio 2018 dalla Galleria di Arte Maggiore di Bologna – che da decenni segue la sua opera e di cui ricordiamo anche il solo show presentato nella prima edizione di Decades a Miart (2016) -, «la carriera artistica di Leoncillo è già pienamente avviata a partire dagli anni Quaranta quando partecipa alla VII Triennale di Milano su invito di Gio Ponti e quando firma, nel 1947, il manifesto della Nuova Secessione Artistica Italiana, diventata poi Fronte Nuovo delle Arti, che si distingue per l’attenzione alla modernità che pervade l’Italia del dopoguerra e l’apertura al dialogo con l’Europa».

Una vista della mostra “Leoncillo” alla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna (27 gennaio 2018 – 31 marzo 2018)

«È Alberto Moravia – si legge ancora nel testo – a notare durante la prima mostra del collettivo l’arte “difficile e singolare” di ispirazione neo-cubista di Leoncillo, ben presto protagonista di sei edizioni della Biennale di Venezia a partire dal 1948, la più memorabile delle quali rimane la storica partecipazione nel 1954 in cui gli viene dedicata una sala insieme a Lucio Fontana». Sala recentemente rievocata, nel 2016, dalla bella mostra Fontana · Leoncillo – forma della materia alla Fondazione Carriero di Milano

Gli anni Cinquanta, peraltro, sono per Leoncillo «un periodo di profonda crisi esistenziale, ideologica e artistica, che si trasforma in una svolta fondamentale per la sua maturazione, portandolo ad abbandonare il linguaggio post-cubista a favore di quello informale, e a creare opere volte a restituire l’emozione e il senso della natura».

È nel 1958, così, che Leoncillo approda a quell’Informale che, come ricorda Stefania Petrillo, Docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Perugia nel suo bellissimo saggio Leoncillo, un racconto di creta, «si dispiega nei dieci anni successivi con la forza di una rivelazione. Nelle pagine del Piccolo diario, scritto a partire dal 1957, intensa si fa la riflessione che accompagna la sua esplorazione del rapporto tra materia e colore in una scultura che possa diventare estensione dell’essere».

Una vista della mostra “Leoncillo” alla Galleria d’Arte Maggiore di Bologna (27 gennaio 2018 – 31 marzo 2018)

«Leoncillo – scrive ancora la Petrillo – ha sempre impiegato la terracotta e senza mai rinunciare al colore. Ma la policromia delle sue sculture, che è un retaggio dell’antico, si lega alla forma non come semplice rivestimento decorativo, ma come parte integrante di essa; il colore definisce in modo più netto il rapporto che l’artista intende costruire anche con lo spazio circostante, enfatizzando (o riducendo) piani e volumi. Allo stesso tempo, il tono rafforza le vibrazioni emotive di una materia che già di per sé ha una forte componente espressiva per la sua duttilità e per la modalità diretta con cui l’artista può interagire con essa».

1958-1968: in decennio d’oro di Leoncillo

Come per tutti gli artisti, anche la rivalutazione dell’opera di Leoncillo parte così dal decennio più noto della sua produzione artistica, l’ultimo (1958-1968), che già quando era ancora in vita gli aveva permesso un discreto successo internazionale. Si riallacciano così i fili della storia proprio nel punto dove si erano interrotti. Scorrendo gli appena 290 passaggi in aste degli ultimi 20 anni, salta subito all’occhio, infatti, come nella top 10 delle sue aggiudicazioni ci sia una sola opera precedente a questo decennio: Senza titolo (donna con bambino) del 1949.

Di fatto è quindi a partire dalla opera post 1957 che il mercato di Leoncillo si sta ridefinendo sia in termini di valori che di geografia: fino al 2014, infatti, il suo mercato era eminentemente italiano (94%). Dal 2015, in poi, invece, si è aperto ad una platea internazionale. Se guardiamo agli anni 2015-2019 il nostro paese rappresenta il 66% del mercato, mentre il Regno Unito pesa per il 27% sulle sue vendite. Seguono con percentuali più contenute: Stati Uniti, Francia e Austria. E oggi Leoncillo occupa la posizione 575 nella classifica degli artisti più venduti in asta, solo nel 2017 era al 2109° posto.

Come è cambiata la geografia del mercato di Leoncillo nel XXI secolo. Nel grafico di sinistra quella relativa agli anni 2000-2014; in quello di destra quella del periodo 2015-2019. © Collezione da Tiffany

E’ dunque a partire dalla fine degli anni Cinquanta che nascono quelle opere a cui si lega il successo attuale di Leoncillo e che l’artista presenterà per la prima volta nel 1957 in occasione della sua personale alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis; sospese tra metafora e memoria e «in cui l’artista esprime la lotta profonda e continua che lo anima e che lo consacra al successo internazionale con esposizioni a Parigi, New York, Lubiana, Napoli e a Montréal a partire dai primi anni ’60». Una produzione a cui recentemente ha dedicato una preziosa mostra, curata da Enrico Mascelloni, la Galleria dello Scudo di Verona, oggi realtà di riferimento per l’opera dello scultore umbro: Leoncillo: Materia Radicale 1958-1968.

«Oggi Leoncillo è un artista riconosciuto a livello internazionale anche dal collezionismo meno sofisticato di quello che, storicamente, era interessato alla sua opera, così raffinata – mi spiega Filippo Di Carlo della Galleria dello Scudo –. Le opere per le quali c’è maggior domanda sono sostanzialmente quelle del decennio 1958-1968, ma sono anche quelle più rare. Complessivamente stiamo parlando di circa 150 lavori di cui almeno un terzo è custodito in importanti collezioni museali sia in Italia che all’estero. Non è quindi facile soddisfare una domanda che si sta mantenendo invece molto costante».

Una vista della mostra “Leoncillo, materia radicale. Opere 1958-1968” alla Galleria dello Scudo di Verona (15-12-2018 / 30-04-2019)

«Da quattro anni – prosegue Di Carlo – portiamo almeno un lavoro di Leoncillo a Basilea che viene regolarmente acquistato da collezionisti di livello internazionale. Quest’anno, addirittura, ne abbiamo venduti tre: uno ad un collezionista americano, un secondo ad uno svizzero e il terzo ad uno dei nostri collezionisti più importanti». «Dal punto di vista di prezzi – conclude – si può tranquillamente affermare che dopo Marino Marini, Leoncillo sia oggi il nostro scultore con le quotazioni più alte».

E la mostra veronese rappresenta, non a caso, una tappa fondamentale in questo percorso di riscoperta e da cui è nato anche l’omonimo volume edito da Skira che, in attesa del catalogo generale, è la più documentata, ampia ed esaustiva monografia apparsa finora sull’artista, con al suo interno numerosi interventi critici e apparati bio-bibliografici tra cui testi a firma di: Enrico Mascelloni, Martina Corgnati, Marco Tonelli, Fabio Sargentini, Lorenzo Fiorucci, Laura Lorenzoni, Elena dalla Costa. E che guida il lettore attraverso l’ultimo decennio dell’opera di Leoncillo, che si inaugura con la personale del 1958 a Roma presso la Galleria L’Attico di Bruno Sargentini, cui si deve la monografia con testi di Giulio Carlo Argan e Maurizio Calvesi edita nel 1960.

Una vista della mostra “Leoncillo, materia radicale. Opere 1958-1968” alla Galleria dello Scudo di Verona (15-12-2018 / 30-04-2019)

È questo un anno cruciale per l’artista, invitato con undici opere alla XXX Biennale di Venezia. Segue, due anni dopo, la sua presenza nella rassegna Sculture nella città a Spoleto, teatro di un imponente allestimento che mette in scena lavori di maestri internazionali, da Alexander Calder a Henri Moore, da David Smith a Fritz Wotruba. Nel 1965 le due esposizioni alla Galleria Odyssia di Federico Quadrani, prima a Roma e poi a New York, contribuiscono a introdurre lo scultore in collezioni americane.

Del 1967 è l’invito a partecipare, con una gigantesca installazione in terracotta, all’impegnativo progetto per il padiglione italiano all’Expo di Montréal. Dopo aver esposto alla Modern Art Agency, tempio di Lucio Amelio in una Napoli in pieno fermento, Leoncillo fa la sua ultima apparizione alla XXXIV Biennale di Venezia del 1968 con una selezione di sculture di grande formato, quali Vento rosso (1958), Racconto di notte I (1961), San Sebastiano II (1962), Racconto rosso (1963), Amanti antichi (1965). Dopo la sua improvvisa scomparsa avvenuta nel settembre 1968, Giovanni Carandente è l’artefice della prima retrospettiva, allestita a Spoleto nei Chiostri di San Nicolò nel 1969.

Fontana e Leoncillo in casa Crispolti, Roma, 1959. Courtesy: Sotheby’s

Seguono alcune importanti retrospettive, come quella organizzata in occasione del Festival dei due mondi a Spoleto (1969), quella alla GNAM di Roma (1979) e, negli anni Ottanta, a Ferrara (1983), Spoleto (1983) e Verona (1985). Poi l’attenzione verso questo artista che, nonostante l’indubbia statura e centralità, non è sempre stato compreso a pieno, inizia a scemare e solo oggi, che il mercato delle aste lo ha (ri)scoperto, il suo nome è tornato sulla bocca di tutti. Quel nome, Leoncillo, che Roberto Longhi aveva inserito, assieme a quelli di Manzù e Marini, nel suo elenco dei “tre grandi” della scultura italiana.

Per chi volesse saperne di più su questo eccezionale artista, oltre al catalogo della mostra Leoncillo: Materia Radicale 1958-1968, ci piace segnalare anche una seconda pubblicazione, sempre per i tipi di Skira: la copia anastatica, riveduta, integrale, trascritta e annotata del Piccolo diario, il più importante testo di poetica di Leoncillo.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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