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“Open to Meraviglia”: effetto boomerang per gli Uffizi tra presunta mancata autorizzazione e possibile lesione dell’immagine del bene culturale

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In molti hanno detto che mai prima d’ora una campagna di comunicazione ministeriale avesse fatto parlare di sé come quella realizzata dal Ministero del Turismo e intitolata “Open to Meraviglia”, che raffigura una versione ampiamente modificata della Venere di Botticelli intenta a promuovere le bellezze turistiche italiane con pose, abbigliamento e atteggiamenti da influencer. Ebbene, questa campagna è destinata a far parlare di sé anche per le implicazioni che potrebbe avere nella tutela dei beni culturali contro il loro uso illecito.  

Il Ministero avrà chiesto l’autorizzazione agli Uffizi per l’uso dell’immagine della Venere?

In primo luogo, in un’epoca in cui gli Uffizi (come tanti altri musei ed enti), in diverse occasioni negli ultimi anni, hanno dimostrato di essere piuttosto attivi nel contrastare l’uso non autorizzato delle immagini dei propri beni culturali per finalità commerciali (in ossequio a quanto disposto dagli artt. 107-108 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – “cbcp”), è lecito domandarsi se per la campagna “Open to Meraviglia” il Ministero del Turismo abbia ottenuto l’autorizzazione degli Uffizi (e pagato il relativo canone) per l’uso dell’immagine della Venere. In altre parole, ci si può maliziosamente domandare se, nel caso di mancata autorizzazione, gli Uffizi faranno causa anche al Ministero del Turismo per l’uso dell’immagine della Venere.

In realtà, molto probabilmente la risposta a tali quesiti potrebbe essere più semplice di quanto sembri: con ogni probabilità, infatti, l’uso della Venere nella campagna in esame potrebbe rientrare nell’esimente prevista dall’art. 108 co. 3bis cbcp, secondo cui sono liberi (e pertanto non è richiesta alcuna autorizzazione) gli utilizzi delle immagini di beni culturali per “promozione della conoscenza del patrimonio culturale. Se così fosse, dunque, il Ministero non avrebbe dovuto chiedere alcuna autorizzazione per l’uso dell’immagine della Venere, essendo la campagna “Open to Meraviglia” finalizzata proprio alla promozionale del patrimonio culturale italiano.

Tuttavia, l’eventuale assenza di autorizzazione da parte degli Uffizi potrebbe porre alcuni problemi nel caso – piuttosto comune – in cui a partire dalla campagna promozionale dovesse avviarsi la vendita di gadget e merchandising di vario genere raffigurante le immagini della campagna stessa (e quindi, necessariamente, della Venere), magari su autorizzazione del Ministero stesso. Non c’è dubbio, infatti, che per tali utilizzi sarebbe necessaria l’autorizzazione degli Uffizi e il pagamento del relativo canone. Ebbene, c’è da chiedersi cosa faranno gli Uffizi in questo caso: avvieranno cause su tutti i fronti pretendendo il pagamento dei canoni dovuti? Oppure chiuderanno un occhio in nome della buona riuscita della campagna ministeriale?

La Venere in minigonna non costituisce lesione dell’immagine del bene culturale?

Al di là, in ogni caso, della necessità o meno di un’autorizzazione, alla luce delle modalità con cui la Venere è stata raffigurata nella campagna in esame, è lecito chiedersi se non sussista una lesione dell’immagine del bene culturale stesso. Anche nel caso di utilizzi liberi, infatti, è pur sempre necessario che l’uso del bene culturale non sia lesivo dell’immagine dello stesso.

A differenza dei casi contestati in passato, in cui il bene culturale era stato utilizzato commercialmente senza tuttavia apportare alcuna modifica o alterazione (pensiamo ai casi del David di Michelangelo raffigurato su un volantino di un’agenzia turistica, dell’Uomo Vitruviano rappresentato su un puzzle o della stessa Venere di Botticelli raffigurata sugli abiti dello stilista Jean-Paul Gaultier), nel caso della campagna “Open to Meraviglia”, il volto della Venere è stato ampiamente modificato, non solo sostituendo l’iconica espressione melanconica dell’opera di Botticelli con un più evidente sorriso, ma anche cambiandone il colore degli occhi, inserendo nastri tricolore tra i capelli e, in generale, adottando un’operazione di maquillage simile a un filtro di Instagram.

A ciò si aggiungano, poi, le diverse pose, circostanze e outfit in cui la Venere è stata raffigurata, da una più sobria raffigurazione in completo elegante a Venezia, a una posa da diva in minigonna in barca e ancora a una rappresentazione nell’atto di ballare in discoteca con un abito aderente di paillettes.

Tralasciando qualsiasi giudizio personale in merito e lungi da qualsiasi valutazione moralista, queste scelte di rappresentazione della Venere possono far sorgere (ad avviso di chi scrive, a ragione) alcuni dubbi sulla possibile lesione dell’immagine del bene culturale stesso.

Ne consegue che, l’autorizzazione (esplicita o implicita che sia) da parte degli Uffizi di tale utilizzo alterato e snaturato dell’immagine della Venere potrebbe parzialmente destituire di fondamento le argomentazioni – sempre utilizzate nei precedenti giudizi instaurati dagli Uffizi o da altri enti contro l’uso dei beni culturali per finalità commerciali – sulla lesione dell’immagine del bene culturale stesso. A fronte della rappresentazione autorizzata della Venere in minigonna, c’è da immaginarsi infatti che gli Uffizi faranno più fatica a sostenere che vi sia lesione dell’immagine dei propri beni culturali nel caso di loro riproduzioni fedeli senza alcuna alterazione/modifica su t-shirt, puzzle o altro. In particolare, se potranno sempre sostenere che in realtà è la vendita in sé di tali prodotti a costituire mercificazione e svilimento del bene culturale stesso, ci si potrà lecitamente domandare se non costituisca altrettanta mercificazione e svilimento (forse ancora peggiore) la rappresentazione della Venere – si noti bene, una dea! – con pose da influencer in abiti succinti.

Come la Venere influencer, anche i veri art influencer possono riprodurre liberamente i beni culturali?

Da ultimo, la “Venere influencer” della campagna in esame lancia (involontariamente) la provocazione del libero utilizzo delle immagini di beni culturali da parte dei (veri) cultural/art influencer, anche nel caso in cui le riprese non siano state commissionate dall’ente preposto alla tutela del bene stesso.

Tale provocazione assume ancora maggior rilevanza considerata la recentissima approvazione del Decreto Ministeriale 11 Aprile 2023, n. 161, secondo cui si considerano “riproduzioni a scopo lucrativo o per finalità commerciali” di beni culturali non solo quelle destinate alla commercializzazione, ma anche quelle eseguite “per la promozione della propria immagine, del nome, del marchio, del prodotto o attività”. In tale ampia definizione, infatti, non è escluso che possano rientrare anche i cultural/art influencer.

Così, è lecito domandarsi se la pubblicazione, liberamente fruibile dai follower, di un video o di una fotografia realizzata da un art influencer che riprenda un bene culturale costituisca attività con finalità commerciale per la quale sia necessario ottenere l’autorizzazione oppure se, come sembrerebbe suggerire (correttamente, ad avviso di chi scrive, anche se involontariamente) la “Venere influencer”, tali usi costituiscano un libero utilizzo del bene culturale.

Se, infatti, è vero che in quei casi, a fronte della fruizione in sé gratuita da parte dei follower del bene culturale raffigurato/ripreso, il coinvolgimento e la risposta del pubblico derivante da questo genere di pubblicazioni ben può comportare “la promozione dell’immagine e del nome” dell’influencer stesso, che si traduce nella crescita del proprio profilo social, con la conseguenza di possibili nuove opportunità professionali (cioè, commerciali) per lo stesso, è altrettanto vero che la primaria finalità di tali pubblicazioni resta pur sempre quella di promozione della conoscenza del bene culturale stesso presso il pubblico, restando (ad avviso di chi scrive) quella più meramente economica di accrescimento del profilo social dell’influencer stesso meramente secondaria.

In definitiva, la campagna “Open to Meraviglia” – e con essa il Ministero stesso – parrebbe involontariamente evidenziare alcune criticità dell’attuale disciplina dell’utilizzo delle immagini dei beni culturali (quali gli elementi a sostegno della loro presunta lesione e i limiti delle libere utilizzazioni), accogliendo nei fatti alcune argomentazioni sostenute da chi da tempo critica tale disciplina e dimostrandosi quindi più “open” di quanto non sia la normativa stessa. In ogni caso, quel che è certo è che questa campagna continuerà a far parlare di sé anche dopo la sua cessazione.

Emanuele Sacchetto
Emanuele Sacchetto
Emanuele Sacchetto è avvocato specializzato nel diritto dell'arte e della proprietà intellettuale e collabora con lo studio legale internazionale Andersen Tax&Legal

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