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PERCHÈ PRENDERSI CURA DI UN OGGETTO DI DESIGN?

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Se su internet doveste cercare “come conservare il design” trovereste abbastanza velocemente alcune informazioni su come negli ultimi anni professionisti, restauratori ed esperti sono intervenuti su collezioni più o meno importanti a livello nazionale, da quella del Premio del Compasso d’Oro agli oggetti contemporanei esposti nelle sale della Fondazione PLART di Napoli.

È infatti ormai riconosciuta l’importanza di proteggere e salvaguardare un patrimonio composto da oggetti testimoni diretti della cultura materiale e popolare più contemporanea. E proprio grazie a questo riconoscimento scientifico sono state condotte molte ricerche che hanno studiato i materiali più impiegati, i loro meccanismi di degrado e come questi si sono trasformati a livello industriale. Dalle plastiche alle pelli, dal voltaggio delle lampadine ai sistemi di curvatura del legno, il design racconta prima di tutto le abitudini della nostra società e l’evolversi di quello che è stato il sistema produttivo.

In qualche modo, questo tipo di ricerca potrebbe interessare ogni collezionista che in molti casi si ritrova ad essere anche appassionato di design. Non occorre collezionare – nel vero senso della parola -oggetti firmati da importanti designer per apprezzare e soprattutto per voler sapere come comportarsi con i materiali di arredo moderno e contemporaneo. Si tratta piuttosto di volersi prendere cura al meglio dei propri ambienti casalinghi, funzionalizzati con oggetti oltre che esteticamente piacevoli, importanti per la cultura del nostro tempo.

In effetti, è necessario sottolineare che esistono diverse tipologie di oggetti che possono rientrare sotto la definizione di design. È un po’ come quando si fa riferimento all’arte contemporanea che cambia e modifica i suoi confini continuamente. D’altra parte, il discorso che sto per affrontare, sarebbe completamente diverso se parlassimo di prototipi o di tutti quegli oggetti pezzi unici che sono da considerare come vere e proprie opere d’arte anche se di realizzazione industriale.

Ma senza scendere in questioni teoriche e troppo approfondite, il design a cui voglio far riferimento è piuttosto quello di arredo, quegli oggetti che usiamo tutti i giorni, che completano le nostre case e che migliorano l’esperienza del nostro abitare.

I designer, come d’altra parte anche gli artisti contemporanei, hanno sperimentato e utilizzato moltissimi materiali diversi ed è per questo che occorre conoscere i propri oggetti per poterli salvaguardare e far funzionare correttamente.

L’approccio che bisognerebbe avere è metodico e coerente. Anche in questo caso, come d’altra parte viene suggerito costantemente quando si parla di gestione di una collezione d’arte, si tratta di essere consapevoli di ciò che si possiede, dello sgabello su ci si appoggia bevendo il caffè al mattino o della lampada che ci fa luce mentre prendiamo sonno prima di andare a dormire. Ciò non significa pensare di vivere in un museo, anzi tutto il contrario!

La consapevolezza necessaria è quella di chi sa che il design nasce prima di tutto per funzionare e non per essere trattato come oggetto da esposizione. Prendersi cura al meglio dei nostri arredi d’autore, significa conoscere i materiali, sapere perché sono state scelte finiture di un tipo rispetto a un altro, quale è il meccanismo di funzionamento originale e che rende quell’oggetto speciale.

In un certo senso, si tratta di catalogare nella nostra testa i pezzi di quell’oggetto. Conoscerlo. In questa maniera si potrebbe tenere d’occhio il suo funzionare nel tempo e capire se tutto sta andando come dovrebbe. E manutenerlo è un modo per conoscerlo di più.

Purtroppo è molto difficile sintetizzare i processi di invecchiamento e standardizzarli per poter dare una panoramica di casistiche che potrebbero interessare il design. Questi dipendono dalla composizione delle plastiche, dai sistemi di assemblaggio industriale, da come sono stati utilizzati e per quanto tempo.

E se dovesse rompersi un pezzo? Certo sarebbe bello provare a ripararlo in autonomia, senza la paura di fare degli errori perché a questo punto avreste perfettamente chiaro come funziona. Ma è anche vero che occorre una grande conoscenza della storia dei materiali e delle tecniche di produzione per capire come intervenire correttamente. Ma, pur rivolgendovi a professionisti, potete sempre immaginarvi come i direttori dei lavori perché dovreste sapere bene quale deve essere la resa finale.

Perché parlare di design? Perché rivolgere così tanta attenzione ad artefatti industriali, spesso seriali e riproducibili anche con tecniche più performanti?  La paura principale è quella che, senza un’attenzione specifica e senza essere attenti, ogni volta che un oggetto smette di svolgere la sua funzione, ogni volta che si rompe o che non ci piace più possa essere sostituito con un altro più moderno, prestante e funzionale. Così facendo, senza un criterio di cura e conservazione, si rischierebbe di perdere un patrimonio a suo modo importante.

Quindi, la prima regola è certamente non trattare mai i vostri arredi come oggetti da esposizione presenti in un museo, poiché sono a tutti gli effetti elementi attivi, ancora in evoluzione, che devono funzionare e che devono seguire una linea di sviluppo libera dalle classiche restrizioni meramente conservative. Ma questo non significa che non dobbiate prendervene cura, che non possiate procedere con le sostituzioni necessarie alla funzionalità e alla sicurezza dei vostri ambienti.

Francesca Gasparetto
Francesca Gasparetto
Restauratrice-conservatrice di formazione con una passione per il data management e la documentazione digitale delle collezioni d'arte. E’ autrice di diverse pubblicazioni scientifiche sul tema della documentazione per la conservazione del Patrimonio. Collabora con l’Università degli Studi di Urbino nell'ambito di progetti internazionali sul tema della conservazione del Patrimonio e tiene un corso sulla documentazione digitale. E’ co-fondatrice della start-up arturo, società che si occupa di conservazione e documentazione delle collezioni d’arte.

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