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Emilio Vedova: un record che sa di giustizia storica

del

Vienna, Palais Dorotheum. Qui il 31 maggio scorso, durante l’asta di arte contemporanea della casa austriaca, si è consumato uno dei momenti più importanti per il mercato dell’arte italiana di questo primo semestre. Mentre tutti sono ancora con gli occhi puntati sui listini degli artisti di Piazza del Popolo per capire cosa sta succedendo al mercato di Schifano & Co., infatti, Emilio Vedova ha realizzato il suo nuovo record mondiale con Tensione (1959), opera di grande formato aggiudicata a 650.000 euro di hammer price (792.500 Euro, diritti inclusi).  Un record che arriva a 9 anni dal precedente, realizzato nel 2008, e che lo fa diventare l’artista astratto italiano della seconda metà del Novecento più caro sul mercato. Scalzando dal gradino più alto del podio Afro, che guidava questa particolare classifica dal 2012, quando l’opera Porta Portese (1964) fu battuta da Christie’s New York per 614.406 €.

Emilio Vedova nel suo studio
Emilio Vedova nel suo studio

Un record importante, quello di mercoledì scorso, non solo per l’artista veneziano, il cui mercato era da tempo sottodimensionato rispetto alla sua levatura, ma per tutto l’informale italiano. Spesso sottovalutato e relegato ad un mercato principalmente nazionale. Un po’ forse per la fede comunista che caratterizzava i membri di quello che fu il Gruppo degli Otto; un po’ perché alle spalle gli è forse mancato, nel tempo, l’appoggio del proprio Paese. E se qualche ben pensante storcerà il naso leggendo questo articolo, perché arte e denaro non dovrebbero essere mescolati, poco importa. Vedova è un grandissimo dell’arte italiana ed internazionale a prescindere da questo primato. Non si discute. Ma se nel mondo di oggi il riconoscimento della propria grandezza deve passare anche dal mercato, allora, siano benvenuti i record come questo.

 

Vedova e quel record che parla tedesco

 

«Siamo molto felici che un’opera come Tensione abbia raggiunto un’aggiudicazione del genere. E’ un risultato importante che arriva dopo anni di difficoltà – mi spiega Filippo Di Carlo della Galleria della Scudo che tratta l’opera di Emilio Vedova in esclusiva per l’Italia –  e, sinceramente, non ci stupisce che questo record arrivi dall’Austria. Vedova è conosciuto e apprezzato in tutta l’area di lingua tedesca e, in generale, in tutta l’Europa del nord: in Norvegia, in Germania, in Belgio, in Olanda, in Lussemburgo, ma anche più a sud, in Svizzera». «Vedova – aggiunge Di Carlo – è un artista raffinatissimo, che ha tutte le caratteristiche per piacere al grande collezionismo internazionale».

Un legame, quello di Vedova con la Germania e l’Austria, che arriva da lontano. Addirittura dal 1939 – come raccontava 23 anni fa lo stesso artista intervistato da Adriano Donaggio – «per un fatto preciso di cultura e di indagini di quello che è stato il momento dell’espressionismo». Poi la scelta di rottura di andare a Berlino; decisione legata all’ideologia, certo, ma anche all’intuizione che Vedova ha di una Berlino che, assieme a Parigi, è l’altro «fulcro drammatico» della cultura europea, «l’altro vaso comunicante con l’est, con la Russia dei Malevic, di Tatlin; con la Russia di  Majakóvskij».

Emilio Vedova, Absurd Berlin Diary '64, 1964 Courtesy : Berlinische Galerie. © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
Emilio Vedova, Absurd Berlin Diary ’64, 1964. Courtesy : Berlinische Galerie. © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

E’ così che all’inizio degli anni Sessanta si trasferisce nella città tedesca, dove nasce il forte rapporto di amicizia e di profonda intesa intellettuale con Georg Baselitz che durerà fino alla morte di Vedova nel 2006. Rapporto a cui si deve l’ottimo inserimento dell’artista veneziano nella scena collezionistica e artistica di un paese dove inizia ad esporre già dagli anni Cinquanta con la sua partecipazione alla mostra itinerante Italienische Kunst der Gegenwart (Monaco, Mannheim, Amburgo, Brema, Berlino).

E negli anni Vedova esporrà alla Galleria Ferdinand Möller di Colonia, e poi ancora a Monaco, Berlino – sia in spazi museali che in gallerie private – e a Kassel dove sarà presente a Documenta fin dalla prima edizione. Ed è proprio in Germania, peraltro, che realizza la seconda parte di quei Plurimi a cui appartiene la tela monumentale dei primissimi anni Sessanta, Ciclo 61/62 N.2 (1961/62), che fu aggiudicata nel 2008 a Milano da Christie’s per 630.000 € di hammer price, stabilendo quello che, fino a mercoledì scorso, era il suo record d’asta. Era maggio e pochi mesi dopo si sarebbe aperta una delle crisi economico-finanziare più difficili di tutti i tempi e il suo mercato – che fino a quel momento aveva retto bene – cominciò a vacillare.

 

2008-2013: gli anni della crisi…

 

Basta scorrere il database di Artprice per capire come il 2008 sia stato, nella storia mercantile di Emilio Vedova, un anno spartiacque. Con i suoi fatturati in asta che iniziano a calare, mentre aumenta il numero degli invenduti che nel 2013 tocca il record del 70% su totale delle opere proposte sul mercato. A penalizzarlo, una produzione immensa non gestita sempre in modo impeccabile, tanto che si spesso si vocifera che molte delle sue opere in circolazione siano false. Vedova, d’altronde, assieme a Guttuso e Schifano è tra gli artisti italiani più falsificati e il fatto che la sua produzione sia quasi sterminata certo non aiuta a fare chiarezza. A tutto ciò aggiungiamoci la mancanza di un catalogo ragionato e il fatto che la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, nata nel 2004 ma operativa dal 2006, ad un certo punto decide di sospendere l’attività di archivio, togliendo così al collezionismo i naturali punti di riferimento per l’artista, e poi… poi c’è la storia di un’Italia che da sempre non sostiene con grande abilità i suoi artisti.

 Emilio Vedova riceve il Leone d’oro alla carriera alla XLVII Biennale d’arte di Venezia del 1997.
Emilio Vedova riceve il Leone d’oro alla carriera alla XLVII Biennale d’arte di Venezia del 1997.

Lo stesso Vedova, intervistato da Repubblica nel 1997, anno in cui riceverà il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia, raccontava: «In Germania se dicono una cosa la fanno. Spesso sono straordinari. L’ Italia è di un’ignoranza pesante, su tutto il fronte. I musei non si svegliano, dicono che non ci sono spazi, che mancano soldi. Là invece ci sono dei musei apertissimi. E noi sembriamo sempre i parenti poveri. In realtà manca la grinta e così non riusciamo a tirare fuori degli spazi nuovi dove far respirare l’arte contemporanea, i grandi spazi di cui hanno bisogno le tematiche di oggi. Ma questa esigenza deve essere soddisfatta se è vero che un quadro è cultura». Parole di un’attualità incredibile, se si pensa che tutti i vari Manzoni, Fontana, Scheggi hanno conosciuto una nuova fortuna di mercato partendo proprio dall’estero. E così, in un certo senso, avviene adesso anche per Vedova.

Se c’è un’iniziativa che ha sicuramente smosso il mercato dell’artista veneziano, infatti, è stato il solo show che la Galleria dello Scudo gli ha dedicato in occasione della 48esima edizione di Art Basel nel 2015. Installazione che ha avuto l’immenso merito non solo di riportare all’attenzione internazionale l’arte di Emilio Vedova, ma anche quello di aver riacceso le luci sulla sua produzione degli anni Ottanta spesso un po’ snobbata dal collezionismo italiano.

 

2014-2017: il ritorno di un grande maestro

 

Basilea, Milano, Bologna, ma soprattutto Verona. Sì, perché il riposizionamento di Emilio Vedova sul mercato porta sostanzialmente un solo nome, ed è quello della Galleria dello Scudo di Verona che dal 2010 lavora in stretta collaborazione con la Fondazione preposta allo studio e alla tutela dell’opera dell’artista. «In questi anni abbiamo lavorato per fare ordine e chiarezza sulla sua produzione, chiudendo fuori i furbetti e fugando ogni sospetto sull’autenticità delle opere proposte – mi spiega Filippo Di Carlo al telefono, mentre è in procinto di partire per Art Basel -. Adesso il lavoro che dobbiamo portare avanti è quello di far capire, in primo luogo al collezionismo italiano, che la carriera di Vedova non di ferma agli anni Sessanta».

«Se guardiamo i suoi risultati in asta – prosegue Di Carlo – vediamo che tutte le sue aggiudicazioni maggiori sono legate a lavori realizzati tra la fine degli anni Cinquanta e il 1964. Un suo lavoro degli anni Ottanta  di 2 metri per 3 può arrivare al massimo a 240.000 euro quando, invece, dovrebbe valere almeno il 50% in più. I suoi lavori degli anni Settanta e Ottanta, opere che oggi hanno ormai quarant’anni, sono invece di una contemporaneità estrema. Hanno una potenza tale, un gesto intenso, duro, da poter incontrare il gusto del grande collezionismo, quello di Art Basel, per intenderci, e un suo dipinto di quegli anni starebbe benissimo in una Evening Sale londinese».

Emilio Vedova, ...in continuum, 1987-88. Art Basel, sezione Unlimited.
Emilio Vedova, …in continuum, 1987-88. Art Basel, sezione Unlimited.

E anche se la Galleria dello Scudo è l’unica, oggi, a trattare Vedova a 360° – dal disegno alla scultura e, sopratutto, attraverso tutta la sua carriera -, la strategia di riposizionamento messa in atto dalla galleria di Verona passa proprio da quegli anni Ottanta che ha messo al centro del solo show che ha dato una prima scossa al suo mercato nel 2015. E’ stato due anni fa, infatti, che la galleria veronese ha portato ad Art Basel …in continuum (1987-88): progetto di Emilio Vedova composto da 109 tele di varie dimensioni che fino a quel momento non era mai stato esposto  in modo completo e che nel 2015 ha invaso lo spazio architettonico di Basilea.

Per chi non lo conosce, questo progetto, realizzato alla fine degli anni Ottanta, nasce come installazione in continuo divenire, composta da un supporto a terra  sul quale venivano disposte  tele colorate di bianco su fondo nero e nere su fondo bianco, fresche di colore; la pittura si trasferiva, così, per compenetrazione e traslazione. Terminato il ciclo,  le tele ottenute venivano disposte sulle pareti in sovrapposizioni parziali, spostabili a piacere, creando la possibilità di variare continuamente l’insieme dell’opera e rivelando quel movimento e quell’indagine sul possibile di infiniti mondi che è motivo ricorrente nell’estetica di Vedova.

Lo stand della Galleria dello Scudo con opere tratte dal ciclo De America di Emilio Vedova e la scultura Respiro di Giuseppe Spagnulo.
Miart 2016 – Lo stand della Galleria dello Scudo con opere tratte dal ciclo De America di Emilio Vedova e la scultura Respiro di Giuseppe Spagnulo.

A Basilea, è poi seguita Bologna con Arte Fiera 2016 e poi il Miart di Milano dove la galleria veronese portò una selezione di tele tratte dal ciclo De America realizzato tra il 1976 e il 1977. Nel frattempo, nel 2015 è iniziata anche la collaborazione tra la Fondazione la Galerie Thaddaeus Ropac che, a differenza della Galleria dello Scudo, focalizza la sua attività solo sugli anni Ottanta. Collaborazione inaugurata con la mostra Georg Baselitz & Emilio Vedova a cui è seguita, nel 2016, la prima personale in galleria dell’artista italiano: Paintings 1980-1985.

Ma un altro passo importante sta per essere compiuto nella rivalutazione di Emilio Vedova. «Un suo catalogo ragionato non esiste ancora – mi dice ancora Filippo Di Carlo – ma in autunno uscirà la prima monografia dedicata alla sua carriera. Una pubblicazione preziosa, frutto di anni di lavoro in cui è stata ricostruita la dimensione internazionale di Vedova. Dimensione di cui spesso si è perso la percezione. Lo sapeva che due suoi teleri fanno parte della collezione del MoMa di New York?».

 

E ora tutti lo vogliono

 

Nell’era di internet le notizie girano veloci e non erano neanche passati 18 minuti dal nuovo record di Vedova che i telefoni della Galleria dello Scudo hanno iniziato a suonare. «Solo la scorsa settimana abbiamo avuto 3-4 richieste, tutte di collezionisti stranieri – conclude Di Carlo -. Persone che hanno già sue opere ma che hanno manifestato il proprio interesse per aggiungerne delle altre in collezione». Ma tra le telefonate di collezionisti seri, non poteva certo mancare il furbetto (ovviamente italiano) che, ricordandosi di un lavoro simile a quello battuto da Dorotheum che gli era stata proposto a dicembre, si è fatto nuovamente vivo per vedere se era ancora disponibile allo stesso prezzo di sei mesi fa. Inutile che vi dica il finale. Ma queste sono le storie del mercato e di un collezionismo un po’ troppo attento alle mode e che sembra comprare non spinto proprio da passione pura. Poco importa, un sorriso e si declina la richiesta con eleganza anche perché Art Basel 2017 è alle porte e Vedova, ancora una volta, sarà tra i protagonisti.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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