Se fosse un film, ANNINOVANTA di Roberto Brunelli, inizierebbe, con molta probabilità, con il primo piano di un televisore che trasmette le immagini dell’Hotel Raphaël di Roma e le monetine lanciate addosso a Bettino Craxi o con il cartello verde dell’uscita autostradale di Capaci sulla A29: luogo di una delle stragi mafiose che più hanno segnato quel decennio apparentemente lontano ma ancora di grande attualità.
E’ con gli anni Novanta, d’altronde, che in Italia iniziano ad emergere prepotentemente fenomeni come la corruzione o le migrazioni di massa, che oggi hanno assunto dimensioni epiche per il nostro Paese. Fenomeni che gli artisti italiani nati tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta registrano in modo puntuale nelle opere che segnano l’inizio della loro carriera nel mondo dell’arte. E proprio loro sono i protagonisti del racconto di Brunelli, cronisti post moderni di un’Italia e di un mondo che si trova in una fase di delicata transizione tra l’opulenza degli anni Ottanta e un nuovo Secolo tutto da scrivere.
In un mondo editoriale che, in fatto di arte contemporanea, preferisce sempre più spesso la “schedatura” di artisti e opere alla narrazione per raccontare la scena artistica più attuale, il libro di Brunelli è stato, per chi scrive, una piacevole sorpresa. E questo per due motivi molto semplici.
Da un lato, per la sua capacità di offrire al lettore un testo chiaro e scorrevole che, seppur da una prospettiva personale, ci consegna una panoramica abbastanza completa e una riflessione su quella che è stata una delle stagioni più interessanti della produzione artistica italiana contemporanea. La stagione, per capirsi, da cui sono usciti quegli artisti che, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo, hanno tenuto alta (e in molti casi lo fanno ancora) la bandiera della nostra arte anche a livello internazionale.
Dall’altro perché, più di ogni guida all’arte contemporanea, ANNINOVANTA rappresenta, a mio avviso, un ottimo strumento per chi vuole avvicinarsi alla produzione artistica di oggi e comprenderla nella sua essenza più profonda. Ossia capire cosa esiste oltre le categorie di “bello” e “brutto” a cui, nella maggioranza dei casi, siamo stati educati nelle poche ore di Storia dell’Arte che si fanno al Liceo. Sì perché oggi un’opera, più che bella o brutta, o funziona o non funziona. Ma quando “funziona” è in grado di illuminare veramente il presente, spingendoci a riflessioni profonde che, talvolta, riguardano non solo l’hic et nunc ma anche il futuro. Quanto meno quello più prossimo.
Il grande merito di Brunelli, che scrive dal punto di vista del grande appassionato d’arte, del conoscitore più che vestire i panni del critico, è infatti quello di ricostruire lo scenario storico e culturale in cui la “nuova arte italiana” stava prendendo corpo. Fornendoci, in questo modo, gli occhiali giusti per osservarla, capirla, amarla.
Il tutto in un intreccio avvincente di storia, arte e cronaca che rende difficile staccare lo sguardo dalle pagine del suo libro. Fine narratore e osservatore attento, Brunelli ha poi il grande merito di restituirci la memoria delle tappe fondamentali che hanno segnato il riconoscimento di questa generazione artistica, facendo del suo libro una sorta di hub per letture future, per approfondimenti. E la cosa eccezionale è che riesce a fare tutto ciò in un centinaio di pagine ben illustrate.
Una sintesi efficace, in cui lo sfoggio erudito cede il passo all’amore per l’arte, quello vero del collezionista “puro”. La fotografia viva di un week-end postmoderno a passeggio con la migliore arte italiana di fine XX secolo. Assolutamente da leggere.