Vent’anni fa, era il 30 settembre 1998, ci lasciava Bruno Munari, una delle personalità artistiche più complete e atipiche a cui il nostro Paese abbia dato i natali nel recente passato. Scrittore, artista e designer, ma soprattutto grandissimo sperimentatore animato da un’inesauribile curiosità, per anni Munari, per quanto apprezzato a livello internazionale, è stato per lungo abbastanza sottostimato dal mercato e dal collezionismo privato proprio per un’ecletticità che non lo rendeva immediatamente riconoscibile. Adesso, però, tutto questo sembra essere fortunatamente cambiato e l‘artista milanese vive oggi un nuovo periodo d’oro con mostre che lo celebrano in tutto il mondo e un mercato sempre più florido.
Da New York a Tokyo: tutti dicono Munari!
Da New York, dove i questa primavera la Andrew Kreps Gallery ha ospitato la prima ampia retrospettiva dedicata a Bruno Munari negli Stati Uniti (Bruno Munari. Works: 1930 – 1996) – organizzata in stretta collaborazione con la kaufmann repetto -; a Tokyo dove il Setagaya Art Museum ha inaugurato il 17 novembre scorso la mostra Bruno Munari: The Man Who Made the Useless Machienes che vede esposti circa 300 opere del nostro artista. Passando per la sua Milano, dove prima dell’estate alla 10 A.M. ART Gallery si è tenuta la bellissima Bruno Munari. Creatore di Forme, per arrivare a Napoli dove il 30 novembre scorso, al Plart Museum, ha aperto i battenti: BRUNO MUNARI. I colori della luce, mostra a cura di Miroslava Hajek e Marcello Francolini. Mostra quest’ultima che analizza un aspetto in particolare del lavoro di Munari: le Proiezioni a luce fissa e le Proiezioni a luce polarizzata svolte negli anni Cinquanta del secolo scorso, con cui porta a compimento la sua ricerca volta a conquistare una nuova spazialità oltre la realtà bidimensionale dell’opera.
Per non parlare del libro Bruno Munari: The Lightness of Art, scritto da Pierpaolo Antonello, Matilde Nardelli e Margherita Zanoletti e la cui presentazione sta facendo il giro del mondo. Una pubblicazione importantissima, che costituisce uno studio senza precedenti dell’artista. Attraverso originali ricerche d’archivio e illuminanti confronti con altri artisti e movimenti sia all’interno che all’esterno dell’Italia (da Dada e surrealismo a Lucio Fontana, Paolo Gilardi e cinema strutturale), i saggi raccolti in questo volume offrono, infatti, letture di aspetti sia familiari della carriera di Munari (come i suoi saggi fotografici degli anni ’30 e ’40) che meno noti e finora trascurati (incluse le sue proiezioni e le sue esibizioni). Fino ad arrivare alla recente (2016) acquisizione, da parte del Centre Pompidou di Parigi, di una delle sue Macchine inutili.
Sono questi alcuni degli eventi che stanno animando la (ri)scoperta di Bruno Munari in tutto il mondo, ma le mostre in gallerie private e istituzioni pubbliche, sia italiane che internazionali, che si sono tenute negli ultimi 3-4 anni sono veramente tante, con un climax proprio in questo 2018, in concomitanza con l’importante ricorrenza. E così, oltre a quelle già citate, tra le esposizioni più importanti abbiamo Bruno Munari: ognuno vede ciò che sa,in corso alla kaufmann repetto di Milano, la grande mostra itinerante bruno munari: keeping the childhood spirit. Mentre nel 2017 il Museo Ettore Fico di Torino ha ospitato Bruno Munari. Artista Totale mentre al Palazzo Pretorio di Cittadella si tenne Munari aria | terra. Un calendario, quello delle personali dedicate a Munari, che si fa però sempre più rarefatto via via che si risale il XXI secolo con rare importanti eccezioni come quella della Estorick Collection di Londra dove nel 2012 si tenne Bruno Munari. My Futurist Past. Fino ad arrivare alla grande mostra a Palazzo Reale del 1986.
La grandezza e la dimensione internazionale di Bruno Munari, però, non è mai stata in discussione. Tanto che sue opere, già dagli anni ’50, fanno parte delle più importanti collezioni pubbliche di tutto il mondo. Da quella del MoMa di New York al J. Paul Getty Museum di Los Angeles, passando per il Toledo Museum of Art e il British Museum di Londra, senza dimenticare il Moderna Musset a Stoccolma, il Macba a Buenos Aires o il Keio a Tokyo. Semmai, verrebbe da commentare, è stato più il collezionismo privato (in primis quello italiano) a non essere stato in grado di accogliere tanta grandezza.
2016-2018: se son rose fioriranno…
Il mercato d’arte ha talvolta degli strani limiti e così, se quanto detto fino ad ora è la testimonianza di una grandezza riconosciuta unanimemente a livello storico-artistico, questa non sempre ha garantito all’opera di Bruno Munari un adeguato apprezzamento da parte di un collezionismo talvolta un po’ troppo concentrato sulla immediata riconoscibilità di un artista. Tanto che ancora oggi il suo mercato presenta ampi margini di sviluppo. Nonostante nell’ultimo triennio le vendite abbiano raggiungo un ritmo decisamente più dignitoso a partire, per la precisione, dall’asta del 14 giugno 2016 de Il Ponte che, facendo registrare il suo nuovo (e attuale) record – 152.000 € (diritti inclusi) per uno dei suoi primi esempi di Macchina inutile (1945) – , segnò un importante punto di ripartenza per un mercato fino a quel momento piuttosto asfittico.
Basti pensare che il suo fatturato in asta, nel 2000, non raggiungeva i 10.000 euro ed era completamente concentrato in Italia. Scenario che, tranne alcune brevi aperture ad altri Paesi, rimane invariato nel tempo seppur con un lieve incremento dal punto di vista economico. Ma il prezzo medio è sempre attorno ai 2-3.000 euro. Pochissimo considerata la sua importanza.
Poi qualcosa cambia e il suo mercato si allarga agli Stati Uniti, alla Francia e alla Germania. Ma sono soprattutto i fatturati in asta a salire in modo vertiginoso: nel 2014 supera per la prima volta i 100.000 euro per sfiorare i 500.000 nel 2016. Il tutto per una presenza nei cataloghi che aumenta, senza mai farsi esagerata (quest’anno sono stati 81 i lotti a suo nome), e un tasso di invenduto che parallelamente cala: a fine 2018 siamo attorno al 17%. E un ranking internazionale che lo vede in costante ascesa: nel 2000 occupava il 13.709° posto, oggi è al 1961° (fonte: artprice)
Dati che rendono merito anche alla qualità dei lavori di Munari proposti sul mercato e di cui sono un ottimo esempio le due opere inserite nei catalogo di Blindarte e Finarte del prossimo 5 dicembre: rispettivamente un un Negativo-positivo del 1951 (lotto 85, stima: € 15.000,00 – 20.000,00) e un raro esempio di macchina aritmica di Bruno Munari del 1951 proveniente dalla collezione VAF e proposto al lotto 183 con una valutazione di 50-70.000 euro. Anche se, va detto, oggi la sua presenza in asta è legata ad opere minori nel 62% dei casi. E questo fa sì che il suo prezzo medio si aggiri ancora attorno ai 6.500 euro. Mentre oggi i suoi pezzi migliori raramente scendono sotto i 35.000 euro quando solo quattro anni fa valevano circa la metà. Come sottolinea artprice, infatti, 100 € investiti nel 2000 in un’opera di Bruno Munari valgono in media 188 € (+ 88%) nel dicembre 2018. E questo è il dato significativo, cartina di tornasole di una (ri)scoperta che speriamo sia solo all’inizio. E se volete approfondire la vostra conoscenza su questo artista incredibile, ecco il sito più completo dedicato alla sua opera e alla sua vita: www.munart.org