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21Gallery: una galleria che mette il collezionista al centro

del

Fondata a Treviso, questa realtà giovane e ambiziosa ha saputo costruire attorno a sé una comunità di imprenditori, appassionati e nuovi collezionisti, trasformando la galleria in un luogo di scambio, formazione e crescita condivisa.

Con sedi già attive a Treviso e Padova e nuove aperture previste a Roma e Monte Carlo, 21Gallery sta tracciando un percorso in controtendenza: niente e-commerce, niente hype da social, ma una strategia fondata sulla relazione diretta tra artista e collezionista, sulla trasparenza e sulla volontà di costruire progetti duraturi nel tempo.

In questa intervista, il fondatore Davide Vanin, ci racconta la genesi e l’evoluzione del progetto, le sfide di chi apre una galleria oggi in Italia e la visione di un collezionismo che è prima di tutto esperienza culturale e comunitaria, capace di unire passione, consapevolezza e attenzione al valore nel tempo.

M.M.: Come nasce il progetto 21Gallery? Qual era la visione iniziale?

D.V.: 21Gallery nasce da un incontro fortuito ma fortemente voluto. Nel 2018, durante un evento di beneficenza, ho avuto modo di conoscere Alessandro Benetton, animato dall’amore per l’arte e dal desiderio di scommettere sui giovani, ma anche fortemente legato al territorio trevigiano. In quell’occasione, gli ho proposto di investire in un progetto che avevo in mente da tempo: una galleria d’arte che fosse anche uno spazio culturale, formativo e relazionale.

Sin dall’inizio, abbiamo deciso che 21Gallery non sarebbe stata una galleria tradizionale. È infatti nata come società benefit, una forma giuridica che ci ha permesso di coniugare lo scopo commerciale con una missione più ampia: generare un impatto positivo sul territorio e sul pubblico. Non volevamo limitarci a vendere opere, ma volevamo scommettere sui giovani, costruire una comunità, avvicinare persone curiose, non per forza esperte d’arte, e accompagnarle in un percorso di scoperta e partecipazione. In questo senso, 21Gallery è tanto una galleria quanto un progetto culturale e sociale.

21Gallery ha sede dal 2021 a Villorba (TV), nel cuore del TAD (Treviso Arts District), una struttura di 1.500 mq che coinvolge professionisti selezionati e aziende di eccellenza nei settori delle arti visive, del food & beverage e del design. Quest’anno abbiamo poi aperto una seconda sede a Padova all’interno di Palazzo Colonne in via San Francesco 34, diretta da Elena Comin, manager proveniente dal mondo del marketing e della comunicazione, collezionista e appassionata d’arte.

M.M.: Qual è il cuore pulsante della vostra attività?

D.V.: Il vero motore della galleria è il members club di collezionisti che abbiamo costruito attorno al progetto. È composto prevalentemente da imprenditori, molti dei quali non erano collezionisti “tradizionali”, ma si sono avvicinati all’arte grazie all’esperienza della galleria. Con loro organizziamo salotti tematici, studio visit, incontri con advisor, curatori, direttori di musei, altri galleristi. Ogni mese offriamo un punto di vista diverso sul sistema dell’arte contemporanea, raccontato direttamente da chi lo vive e lo costruisce ogni giorno.

Il nostro obiettivo è far capire come funziona davvero il mondo dell’arte, superando le barriere di linguaggio e accessibilità che spesso tengono lontane le persone. E questo lo facciamo non solo con la nostra voce, ma dando spazio ad altri attori del sistema: ci piace costruire ponti e creare network tra i diversi professionisti.

M.M.: Perché avete scelto di aprire la prima sede a Treviso?

D.V.: In realtà è stato un passaggio naturale. Prima di fondare 21Gallery gestivo Il Cantiere, un cocktail bar in un ex capannone industriale, che utilizzavo anche come spazio espositivo per artisti emergenti. Era un progetto parallelo alla mia attività principale e ha rappresentato una prima sperimentazione.

Qui ho conosciuto Benetton ed abbiamo trovato subito una visione comune e abbiamo deciso di ampliare l’offerta, creando uno spazio adiacente dedicato esclusivamente all’arte. Abbiamo riqualificato l’intera area industriale, trasformandola in uno spazio culturale contemporaneo, accessibile e aperto al pubblico.

M.M.: Qual è il tuo percorso personale? Da dove arrivi?

D.V.: Vengo da un settore completamente diverso. Sono laureato in marketing e organizzazione d’impresa, e ho lavorato per oltre 14 anni in una grande azienda. Ho fatto tutto il percorso interno, fino a diventare direttore generale e poi socio di minoranza.

Il mondo dell’arte è arrivato prima come passione e poi come sfida imprenditoriale, culturale e personale.

Gonzalo Borondo (Valladolid, Spagna, 1989), Cristo gif, 2021, Dieci lastre di plexiglass incise, sistema LED sequenziale e automatizzato, cm 216 x 124 x 35.
© Gonzalo Borondo Foto: Roberto Conte

M.M.: In cosa 21Gallery si distingue dalle altre gallerie italiane?

D.V.: Direi che il nostro tratto distintivo è chiaro: siamo partiti dai collezionisti, non dagli artisti. Questo rovesciamento del punto di partenza ci ha permesso di costruire un modello radicalmente diverso, più trasparente e partecipativo. La trasparenza è la nostra parola chiave. Non ci interessa essere semplicemente venditori o intermediari: vogliamo creare un sistema in cui l’artista, il collezionista e la galleria crescano insieme, in modo coerente.

Siamo consapevoli che l’arte è anche business — e va bene così — ma vogliamo interpretare il ruolo della galleria in maniera differente. Crediamo in un approccio etico, accessibile, fondato sulla relazione e sulla qualità, più che sulla quantità o sulla speculazione.

M.M.: Quali sono le principali sfide nella gestione di una galleria oggi?

D.V.: Ce ne sono diverse. Il vero nodo è avvicinare un pubblico nuovo, che spesso è affascinato dal mondo dell’arte ma non sa come entrarvi. La nostra sfida è raccontare, spiegare, costruire fiducia. Anche la localizzazione, inizialmente, sembrava un limite: non siamo a Milano o Roma, ma a Treviso. Eppure abbiamo scoperto che proprio qui c’è un terreno fertile, una curiosità sincera, che ci ha permesso di crescere molto velocemente.

Veduta della mostra AUDACI, 21Gallery, Padova, 2025. Foto: Giacomo Bianco

M.M.: Reperire artisti affermati è una delle principali difficoltà per una galleria che muove i primi passi?

D.V.: Sì, credo sia uno dei problemi più rilevanti, soprattutto per le gallerie emergenti. Il mercato italiano è estremamente frammentato, con tantissime piccole realtà, spesso guidate da galleristi molto capaci, ambiziosi, con grande occhio. Eppure, anche quando si riesce a iniziare un percorso con un artista promettente, spesso accade che, non appena l’artista inizia a emergere, venga intercettato da gallerie più grandi che lo includono nel loro roster. Questo crea una sorta di ciclo infinito, si investe tempo, energia e risorse per scoprire e promuovere nuovi talenti, pur sapendo che difficilmente resteranno legati a lungo alla stessa galleria. È un problema strutturale del sistema, che penalizza le realtà più giovani.

Nel nostro caso, siamo riusciti a superare questo ostacolo grazie al supporto di un gallerista importante sin dall’inizio, ma soprattutto grazie al gruppo di collezionisti che abbiamo costruito attorno al progetto. Alla fine, per molti artisti, la cosa più importante — oltre alla parte economica, che è ovviamente fondamentale — è sapere dove andranno le proprie opere. E quando si trovano di fronte a una rete solida di collezionisti, anche il nome di una galleria ancora giovane può passare in secondo piano.
Dipende, poi, molto dall’ambizione del gallerista. Io personalmente non voglio fare il talent scout di breve termine. Il mio obiettivo è costruire un gruppo di collezionisti che sia in grado di sostenere l’artista nel tempo, di accompagnarlo in un percorso di crescita che sia lungo, strutturato e condiviso.

M.M.: Come affrontate la selezione degli artisti?

D.V.: Abbiamo un comitato interno che valuta la ricerca e la qualità artistica delle opere, ma c’è anche una componente fondamentale di relazione umana. Noi vogliamo costruire percorsi a lungo termine, quindi è essenziale che ci sia una sintonia con l’artista, un’intesa professionale ma anche personale. Non si tratta solo di firmare un contratto: si tratta di camminare insieme per anni, sostenersi a vicenda, costruire un percorso comune.

M.M.: Qual è oggi il vostro roster?

D.V.: Siamo ancora in una fase di costruzione ragionata. Lavoriamo stabilmente con Gonzalo Borondo, un artista spagnolo che ha già avuto importanti riconoscimenti istituzionali e museali. E abbiamo scelto di rappresentare Jan Fabre, unico artista belga vivente presente all’Ermitage e al Louvre. A breve selezioneremo quattro artisti italiani e sei internazionali, per rafforzare la nostra identità in ambito contemporaneo.

Jan Fabre (Anversa, Belgio, 1958), The smile of death, 2022, Corallo profondo pregiato, pigmento, polimeri, cm 26.5 x 14.5 x 20 cm.
© Jan Emiel Constant Fabre, by SIAE 2025 Foto: Lieven Herreman

M.M.: Quante mostre organizzate ogni anno?

D.V.: In ogni sede di 21Gallery organizziamo in media quattro mostre all’anno. Al momento siamo attivi a Treviso e Padova, ma entro fine anno apriremo anche a Roma nel 2026 a Monte Carlo. In ogni città, proponiamo gli stessi artisti — ovviamente con progetti diversi — per offrire più visibilità a chi rappresentiamo, senza frammentare il percorso.

Fino al 30 agosto 2025 nella sede di Padova è visitabile la mostra inaugurale, AUDACI, curata da Cesare Biasini Selvaggi e dedicata ai protagonisti dell’arte italiana e internazionale del XX e del XXI secolo, da Cindy Sherman a Jan Vercruysse e Takashi Murakami, da Yayoi Kusama a Marina Abramović e Francesco Clemente. Nella sede di Treviso è invece ospitata, fino al 20 agosto 2025, la personale di Piero Pizzi Cannella, Almanacco VI, a cura di Maya Binkin.

M.M.: Quando progettate una mostra, partite da un tema o dalla volontà di mettere il focus su un artista?

D.V.: Il processo curatoriale di 21Gallery è abbastanza strutturato ma allo stesso tempo flessibile. Abbiamo una figura di riferimento, un curatore “generale”, ovvero Cesare Biasini Selvaggi, che segue la linea artistica complessiva della galleria, definendo la coerenza e l’identità del nostro programma espositivo. Questo curatore fa, per così dire, da “cappello” concettuale e metodologico.
Una volta selezionato l’artista, però, il passo successivo è condividere con lui o lei la scelta del curatore specifico per la mostra. Cerchiamo sempre di affiancare all’artista la persona più adatta per interpretare e valorizzare il progetto che ha in mente di sviluppare. Talvolta è l’artista stesso ad avere un’idea precisa di chi vuole al proprio fianco, e in quel caso assecondiamo il suo desiderio, indirizzandolo verso la figura curatoriale più adatta.

Guardando alla nostra programmazione recente, ci sono state mostre curate direttamente dal nostro curatore principale, ma nella maggior parte dei casi abbiamo preferito che ogni artista fosse seguito da un curatore dedicato, così da dare massima libertà e profondità interpretativa al progetto. Questo approccio ci permette di conservare un’identità forte come galleria, pur rispettando la singolarità di ogni artista.

Veduta della mostra AUDACI, 21Gallery, Padova, 2025. Foto: Giacomo Bianco

M.M.: Chi è il pubblico di 21Gallery?

D.V.: Il nostro pubblico di riferimento è costituito prevalentemente da collezionisti privati, molti dei quali sono imprenditori. Sono persone che si sono avvicinate all’arte per passione, a volte anche partendo da zero, ma che hanno trovato nel nostro progetto un contesto in cui approfondire, crescere, dialogare. La maggior parte colleziona per sé, con un interesse personale e autentico.

Detto questo, lavoriamo anche su un secondo fronte, quello corporate. Realizziamo residenze d’artista, interventi site-specific e progetti culturali all’interno delle aziende. Spesso si crea una contaminazione positiva: l’imprenditore colleziona a titolo privato e allo stesso tempo apre la propria azienda all’arte, creando un ecosistema culturale che arricchisce l’ambiente di lavoro e il territorio.

M.M.: Vendete anche online?

D.V.: No, volutamente. L’acquisto d’arte è per noi un gesto che deve contenere un’esperienza, un incontro, un’emozione. L’online non è in grado, a nostro avviso, di trasmettere tutto questo. Il nostro obiettivo è mettere in relazione artista e collezionista, far nascere un dialogo, un affetto. È questo che rende l’acquisto qualcosa di duraturo e significativo.

M.M.: Quali sono le dinamiche di acquisto che avete riscontrato tra i vostri collezionisti?

D.V.: Una delle dinamiche più interessanti — e forse anche più distintive della nostra galleria — è il ruolo che gioca il gruppo. All’interno del nostro club convivono collezionisti con livelli di esperienza molto diversi: ci sono figure con una lunga storia nel collezionismo e persone che si affacciano per la prima volta al mondo dell’arte.

E ciò che abbiamo notato è che i collezionisti più esperti influenzano positivamente quelli alle prime armi. È un dialogo tra pari, spontaneo, in cui si condividono esperienze, gusti, intuizioni.

M.M.: Quindi parliamo di una forma di educazione collettiva?

D.V.: Esattamente. C’è una componente che potremmo definire “emulativa”, soprattutto nel primo collezionismo. Spesso chi si avvicina per la prima volta al mondo dell’arte è spinto da suggestioni: magari un’opera vista in un museo, o in casa di un amico, o — come capita spesso nel nostro contesto — da un artista di cui si parla nei salotti del club.

Quando un nuovo collezionista ascolta due membri esperti parlare con entusiasmo dello stesso artista, sapendo magari che entrambi ne possiedono già opere in collezione, quel tipo di entusiasmo è contagioso. Così se c’è anche affinità con il linguaggio dell’artista, l’acquisto diventa quasi naturale. È un passaggio che non viene spinto dalla galleria, ma nasce dalla condivisione di passioni tra collezionisti. E questa, a mio avviso, è una delle forze più autentiche del nostro progetto.

M.M.: E per quanto riguarda il rapporto tra passione e investimento?

D.V.: Qui credo sia doveroso essere trasparenti. Il nostro pubblico è composto prevalentemente da imprenditori, non da collezionisti di terza generazione. Quindi, è chiaro che l’aspetto economico ha il suo peso, anche se non è l’unico motore. Sarebbe ipocrita dire che i nostri collezionisti comprano solo per passione, fregandosene completamente del valore di mercato: non è così. E non credo sia un male. Anzi, penso che quando un collezionista investe su un artista e vede quest’ultimo crescere, partecipare a progetti importanti, entrare in musei o collezioni pubbliche, anche senza rivendere nulla, riceve una conferma importante: ha avuto occhio, ha creduto in un percorso, ha supportato un talento. In questo senso, la crescita del valore dell’opera è una forma di gratificazione, un incoraggiamento a continuare a collezionare.

Detto ciò, ci tengo a precisare una cosa: se una persona viene da noi chiedendo solo “Qual è l’opera da investimento?”, probabilmente non siamo la galleria giusta per lui. Se invece qualcuno ci dice: “Mi piacciono queste opere, ma tra queste, quale ha maggiore potenziale nel tempo?”, allora sì, quella è una domanda affine alla nostra visione. Fa parte del nostro lavoro guidare con competenza, cercando di tutelare il collezionista anche in una prospettiva futura.

Veduta della mostra AUDACI, 21Gallery, Padova, 2025. Foto: Giacomo Bianco

M.M.: Come comunicate? Qual è il ruolo dei social?

D.V.: Utilizziamo i social per raccontare quello che facciamo, i nostri progetti, i nostri artisti, ma non li vediamo come uno strumento per acquisire nuovi clienti. Il club funziona completamente per passaparola. Chi vuole entrare deve essere presentato da un altro membro e accettato dall’intera comunità. Questo ci permette di mantenere una qualità molto alta delle relazioni, sia umane che professionali.

Le gallerie, ovviamente, sono aperta al pubblico, ma gli eventi, le preview, i salotti sono riservati.

M.M.: Avete partecipato a fiere?

D.V.: Non ancora, ma è nei piani. Vogliamo entrare in quel circuito con una proposta chiara, solida, coerente, non tanto per vendere — che è importante, certo — ma per posizionarci nel sistema e presentare gli artisti con cui collaboriamo con la competenza che abbiamo acquisito in questi anni. Le fiere servono anche a questo: a raccontare chi sei. E finora abbiamo preferito costruire bene la nostra identità, prima di farci vedere.

M.M.: Che bilancio fate del 2024?

D.V.: Il bilancio, a oggi, è sicuramente molto positivo. Dal punto di vista commerciale non possiamo lamentarci: i risultati sono solidi, in crescita costante, e rappresentano per noi una conferma importante del lavoro che stiamo portando avanti. È vero che il mercato dell’arte nel suo complesso è spesso difficile da leggere — ogni galleria racconta la propria esperienza, i dati ufficiali sono quelli delle aste, e non sempre riflettono il “sottobosco” del sistema — ma nel nostro caso, abbiamo visto segnali molto incoraggianti. Abbiamo avuto la fortuna di attrarre molte persone nuove al mondo dell’arte e questo è il segnale più forte che stiamo facendo qualcosa di significativo.

M.M.: Quali prospettive avete per il futuro?

D.V.: Dopo l’apertura della sede di Padova, quest’anno inaugureremo anche una nuova sede a Roma, in vicolo Fontanella Borghese, nel pieno centro storico. Subito dopo sarà la volta di Monte Carlo, dove abbiamo acquisito uno spazio all’interno del progetto Mareterra, una zona nuovissima e in forte trasformazione. In questo caso l’inaugurazione è prevista per l’inizio del 2026, poiché si tratta di un intervento importante.
In tutte le sedi, come da nostra filosofia, ci sarà uno spazio fisico dedicato ai membri del club, progettato da Fosbury Architecture, il collettivo che ha curato il Padiglione Italia alla Biennale Architettura del 2023. Questo per noi è un aspetto centrale poichè ogni galleria non è solo uno spazio espositivo, ma un luogo di relazione, scambio e formazione per i collezionisti.

Parallelamente, stiamo pianificando la nostra prima partecipazione a fiere internazionali: un passo importante, che faremo però con attenzione, scegliendo progetti chiari e rappresentativi della nostra identità. Infine stiamo lavorando su nuove collaborazioni con altre gallerie, di dimensioni e storie diverse dalla nostra. Crediamo che il vero valore si generi insieme, non nella competizione. Se riusciamo a creare dinamiche di rete, anche in un mercato frammentato come quello italiano, a beneficiarne sono tutti: le gallerie, i collezionisti, e soprattutto gli artisti.

Mariaelena Maieron
Mariaelena Maieron
Mariaelena Maieron, curatrice indipendente e producer editoriale. Si occupa di arte contemporanea con un interesse specifico per le dinamiche del mercato e per i linguaggi interdisciplinari. Ha esperienza nella progettazione artistica, nella comunicazione culturale e nel coordinamento tra artisti, istituzioni e media. Affianca alla pratica curatoriale un'attività editoriale che esplora le connessioni tra arte, moda, design e letteratura. Scrive e lavora con l’obiettivo di valorizzare progetti che generano impatto culturale e sociale, attraverso il racconto delle storie dell’arte e dei suoi protagonisti.

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