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Utamaro, Hiroshige, Hokusai. Il Giappone in mostra a Torino

del

Fino al prossimo 25 giugno la Società Promotrice di Belle Arti di Torino ospita una imponente mostra dedicata all’arte giapponese, dal titolo Utamaro, Hiroshige, Hokusai. Geishe e samurai nella civiltà del piacere. Prodotta da Siria e curata da Francesco Paolo Campione, direttore del MUSEC di Lugano, l’esposizione conta più di trecento capolavori provenienti dalle collezioni dei più importanti musei italiani e svizzeri dedicati all’arte orientale, da Lugano a Venezia, Torino, Ginevra e Trieste.

Il percorso espositivo è particolarmente accurato e visibilmente pensato nei minimi dettagli, così da risultare suggestivo e coinvolgente anche per il visitatore inesperto, con tanto di finale immersive nella celeberrima grande onda di Hokusai.

Molte sono le opere in mostra di grande pregio. Tra le altre, sono da segnalare i quindici volumi di disegni del Manga di Hokusai. Ma oltre alle classiche e preziose stampe e disegni, che tanto influenzarono le avanguardie storiche novecentesche e artisti del calibro di Van Gogh, una sezione della mostra è dedicata al Kabuki, il tradizionale teatro popolare giapponese, con una serie nutrita di maschere e costumi ricamati che colpiscono al cuore la fantasia e l’immaginario del visitatore.

Komachi onna, maschera nō, XVIII-XIX secolo

Una parte ancora più significativa dell’esposizione è poi focalizzata sul tema dell’erotismo, inteso tanto direttamente (c’è una sezione ad hoc) quanto nel senso più ampio e profondo del termine, che assume qui un retrogusto quasi filosofico e misticheggiante. I disegni dai tratti veloci e precisi, le xilografie, le stampe, le texture dei tessuti e le sculture rendono conto in ogni dettaglio del vissuto umano, della sua bellezza, del suo essere sempre essenzialmente teso tra caducità dell’esistenza, vastità spirituale ed eternizzazione dell’arte. Forte è la componente emotiva e scenografica, intensa la resa di volti, maschere e disegni. Ogni singola opera, non solo quelle esplicitamente erotiche, si configura, così, come una sorta di esaltazione della sensibilità, intesa come qualità del mondo sensibile, quotidiano, storico, o, come dicono i saggi giapponesi, “fluttuante” (ukiyo-e).

Innumerevoli sono perciò gli spunti che si possono cogliere dalla teoria di immagini, disegni e oggetti antichi, che sprigionano un fascino inequivocabile a cui è difficile resistere.

Utagawa Hiroshige III, Uccello su un ramo di ciliegio, stampa xilografica, 1860 circa

In tutto questo, in mostra, risaltano poi le storie di personaggi enigmatici, attori e artisti la cui esistenza resta per noi avvolta nel mistero, ma le cui vicende artistiche e personali sono però variamente commiste con la storia e la tradizione artistica popolare del Giappone di un tempo. Sulle pareti e sugli spazi delle sale espositive si snoda così una teoria di visioni ed esperienze dalla profonda capacità evocativa.

Oiran ©, seconda metà del XVIII secolo, Kitagawa Utamaro

Dalla mostra nel suo complesso emerge così una visione del mondo e del cosmo tutta giocata sulla dialettica tra caducità e transitorietà dell’umano da un lato, e la forza inarrestabile e potente della natura dall’altro. Tale dialettica, però, sorprendentemente, si risolve presto in una sorta di liberatoria e gioiosa presa di coscienza. Conscio della propria finitezza, l’essere umano  si lascia infine, così, attraversare dalle forze della natura che, come la grande onda di Hokusai, scorrono tanto fuori, quanto, e forse soprattutto, dentro di noi. Sono forze potenti, ma a noi estranee, forse addirittura indifferenti, eppure sempre capaci di trasformarsi e trasformarci con loro, incessantemente, in un meraviglioso e gioioso eterno fluire.

Utagawa Hiroshige, Eijiri (stazione 19)
Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati
Maria Cristina Strati vive e lavora a Torino. Studiosa indipendente di filosofia, è critica e curatrice di arte contemporanea, nonché autrice di libri, saggi e racconti. Convinta che davvero l’arte sia tutta contemporanea, si interessa al rapporto tra arte, filosofia e quelli che una volta si chiamavano cultural studies, con una particolare attenzione alla fotografia.

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