Parte forte l’edizione 2016 di Artissima (Torino, 4-6 novembre) e già dal primo pomeriggio non sono pochi i galleristi soddisfatti per le vendite. E se è vero che chi comincia bene è già a metà dell’opera, l’edizione n. 19 della fiera torinese si avvia verso un risultato ottimo e, mi piace dirlo da subito, meritato. Sì, perché se la passata edizione Artissima ci era sembrata un po’ sotto tono, quest’anno la fiera guidata da Sarah Cosulich è decisamente brillante, con un’offerta artistica di alta qualità. Probabilmente una delle migliori edizioni di sempre. E questo lo si capisce subito quando, entrando, ci si imbatte nello stand della Galleria Lia Rumma dove campeggia, all’ingresso, la scritta in neon rosso di Alfredo Jaar Vogliamo Tutto che da un po’ il mood per la visita. Bellissimo, peraltro, anche il corpus di lavori – tra Silhouette e opera su carta – del sudafricano William Kentridge, vero protagonista all’interno dello spazio di Lia Rumma.
Non so dirvi, sinceramente, se l’aver spostato l’area New Entries – quella dedicata alle gallerie che partecipano per la prima volta ad Artissima – all’ingresso della fiera abbia avuto l’effetto realmente sperato dagli organizzatori. E cioè di mostrare fin da subito l’attenzione alla ricerca che caratterizza la kermesse dell’Oval del Lingotto o se invece, questa parte, non esca un po’ marginalizzata. Fatto sta che le new entries di quest’anno hanno portato tra i corridoi una preziosa freschezza, grazie a stand curati e ad un’offerta artistica stimolante. A partire dalla milanese Loom Gallery che ad Artissima si è presentata con un solo show del meranese Andreas Burger, la cui ricerca artistica lo porta ad analizzare l’individuo e la sua identità in relazione al contesto quotidiano. Cuore dell’allestimento di Loom ad Artissima, un’installazione site-specific composta da una serie di sculture in gesso che rappresentano sempre lo stesso soggetto che, calco su calco, torna ad essere prigioniero del blocco originario, scomparendo. Una sorta di parabola della nostra vita.
Molto interessante anche lo stand della madrilena F2 che a Torino porta tre artisti spagnoli appartenenti a tre generazioni diverse: Jacobo Castellano (1976), Diego Delas (1980) e Pere Llobera (1970) che, seppur distanti dal punto di vista formale, affrontano tutti il tema della condizione umana nell’epoca contemporanea, guardando al mondo con l’occhio del “pazzo lucido” o, se si vuole, del bambino che grida al “Re nudo”. Come nel caso del giovane Delas che nei suoi lavori recupera una serie di simboli medievali di cui ormai si è perso il significato, creando una sorta di araldica dell’incomunicabilità, tanto allegra nei colori quanto straniante nel suo non lasciarsi mai penetrare a fondo. Specchio di un mondo in cui ormai si viaggia, in ogni ambito, solo sulla superficie.
Lasciata la sezione New Entries ci si addentra nel dedalo dei corridio dell’Oval, tra gli stand delle 193 gallerie che anche quest’anno hanno scelto Artissima. E se il più gettonato dai visitatori sembra essere quello della brasiliana Mendes Wood, curatissimo e scenografico, uno di quelli che mi piace di più è quello della Galerie Alberta Pane di Parigi che ospita, tra gli altri, la performance della giovane artista napoletana Romina De Novellis (1982). Nuda e quasi inespressiva, l’artista guarda verso l’esterno mentre le mani, con cura metodica, lentamente creano una scultura di nodi rossi, allegoria della perle del rosario da preghiera, distruggendo lentamente la cortina rossa che la separa dal pubblico. Un lavoro intimo, delicato, il cui titolo, La Veglia, se da un lato rimanda all’ambito certamente religioso, allo stesso tempo mi sembra che possa essere interpretato come una riflessione sui tempi brevi di una contemporaneità in cui tutto si consuma rapidamente senza concedersi il piacere (o forse il dovere) della scoperta lenta, dell’approfondimento per prima cosa di noi stessi.
Rimanendo tra i giovani artisti italiani, che quest’anno devo dire ben figurano accanto ai colleghi stranieri forse più che in altre edizioni di Artissima, è bellissimo il lavoro di Elia Cantori (1984) portato in fiera dalla CAR DRDE di Bologna. Cantori in questi anni è cresciuto molto e quest’anno si è presentato al Lingotto con un lavoro che segna un passo importante nel suo processo di maturazione artistica che lo vede mantenersi sempre molto coerente. L’opera principale portata in fiera è, infatti, la continuazione di un progetto iniziato nel 2008 quando Cantori realizzò Stanza, una sfera di 90 cm di diamentro in cui condensò, in un’unica soluzione, i materiali ricavati dalla distruzione del proprio studio, trasformandolo in una grande massa che, illuminata da suo neon originale, dichiarava una propria energia potenziale. Adesso, con Untitled (Double Hemisphere Room), Cantori torna sullo stesso soggetto, il suo studio, rompendo idealmente quella sfera in due parti, indicando un interesse più complesso nei confronti delle energie dello spazio e della materia.
La nuova scultura è realizzata ponendo al centro del suo studio una sfera di vetroresita dotata di foro stenopico e con l’interno cosparso di un gel fotosensibile. Ne sono nate due semisfere che hanno registato le due metà del luogo; due emisferi che si attraggono fatalmente e che, nei segni visibili della lavorazione, accrescono la riflessione di Cantori sulle pontenzialità della pratica artistica che, pur relativamente limitata nei confronti del mondo, assume una valenza più ampia quando si realizza che ogni luogo, anche quello bidimensionale della carta, è regolato dalle stesse leggi fisiche.
Proseguendo tra i corridoi, mi imbatto nello stand della Bendana | Pinel Art Contemporain di Parigi che a Torino ha dedicato il suo spazio all’artista argentino Mauro Giaconi (1977) autore dell’installazione Levantamento (sobreviviendo “desde el fondo del tiempo”), composta da una serie di collages realizzati a partire dai frammenti asportati, strappati dal muro del Museo Universitario del Chopo a Città del Messico. In questo modo l’artista ha recuperato i pezzi del suo murale Desde el fondo del tiempo (Dal fondo del tempo) realizzato a marzo di quest’anno usando materiali effimeri come la grafite o la gomma per cancellare. Adesso i lacerti fragili di quel lavoro sono ricomposti ad Artissima come una sorta di puzzle caotico che sembra generare una specie di archeologia accidentale che spinge ad una riflessione sul corpo, sulla memoria, sui limiti e la fragilità.
Ad una riflessione sul mondo dell’arte ci spinge invece Listing 2005-2008, della francese Isabelle Le Minh presente, assieme ad altri artisti, nello stand della Galerie Christophe Gaillard di Parigi. Elaborata come un inventario infinito, l’opera è una sorta di esperimento di classificazione degli artisti esistenti emersa da varie osservazioni fatte dall’artista. In primo luogo il fatto che oggi ci sono talmente tanti artisti che è praticamente impossibile ricordare i loro nomi e ciò che fanno, per quanto uno si sforzi di “archiviarli”. Dall’altro che tra questi sono tantissimi quelli che sviluppano idee simili, sia dal punto di vista concettuale che formale, tanto da non capire più dove finisca l’appropriazione e inizi il furto. E che, in ogni caso, ci lasciano spesso con un senso di dèjà-vu. Un senso che, ad esempio, si ha tra gli stand della fiera incrociando le tante opere realizzate con stoffe e ricami che accomunano tanto i nomi storici che i giovani emergenti creando un particolare effetto straniante.
L’opera di Le Minh, peraltro, offre lo spunto per una riflessione che parte dalla nuova impostazione temporale della sezione Back to the Future di Artissima. Per capirsi quella dedicata agli artisti storici da riscoprire e che quest’anno ha aperto una finestra sull’arte degli anni che vanno dal 1970 al 1989, lasciando per una volta i Sixties. Questo avvicinamento, in termini di decadi, alla produzione attuale crea, infatti, un interessante cortocircuito storico-critico che ci porta a meditare sulla produzione artistica odierna. Non solo quella sollevata dall’artista francese, ma anche su come in questi anni tanti “emergenti” siano stati presentati, di fatto, senza “padri artistici” ma come fenomeni unici, tante isole di creatività in un mondo dell’arte in continua espansione. Ovviamente è un trucchettino di marketing, ma la nuova impostazione di Back to the Future lo scopre come fosse un vaso di Pandora e quello che ne rimane sono pochi esempi di reale innovazione. Mentre in molti casi ci troviamo di fronte a remake di qualcosa che era già stato fatto dalle generazioni precedenti. Anche per questo, la sezione Present Future che dovrebbe registrare, tramite solo show di giovani artisti, i nuovi sviluppi dell’arte contemporanea, quest’anno mi appare come la più “debole” di tutta la fiera.
A tal proposito bisogna dire che all’interno di una proposta artistica di livello decisamente alto, qual è quella di Artissima 2016, gli artisti che mi sembrano avere una marcia in più sono spesso quelli sudamericani o del Centro America. Come nel caso del brasiliano Tùlio Pinto portato in fiera da Barò e il cuo lavoro ruota attorno ai concetti di caducità e trasformazione sviluppati partendo dalla convinzione che ogni materiale abbia in sé un potenziale scultoreo che l’artista fa emergere mettendo in contrasto le loro caratterstiche in termini di peso, dimensioni e densità.
E se molto interessante, oltre che divertente, è la Map of Busy Gods del cinese Qui Zhijie, ricca di simbologie che rimandano al concetto di transitorietà, centrale nella sua ricerca artistica e presente all’interno dello stand della Galleria Continua, ho trovato assolutamente affascinante il lavoro del peruviano José Vera Matos (1981). Ospitato all’interno dello spazio della Walden Gallery di Buenos Aires con alcuni lavori della serie Reading Paths, Vera Matos partendo da una riflessione sulla letteratura e la filosofia, arrivando a creare dei paesaggi immaginari composti da simboli grafici, lettere scritte a mano che si compongono in misteriore formule scientifiche animate dal ritmo proprio della poesia contemporanea. Forse uno dei lavori che ho maggiormente apprezzato in questa edizione di Artissima… ma alle 12 la fiera riapre per la sua prima giornata dedicata al grande pubblico… e allora non mi resta che augurarvi una buona visita.