Si è conclusa domenica Frieze London, la fiera dell’arte contemporanea che si svolge ogni anno a Regent’s Park, giunta alla 17esima edizione e con il record di partecipazioni internazionali: 160 gallerie da 45 paesi. A pochi passi dal salto nel vuoto di fine ottobre, la Brexit destabilizza l’economia e la società britannica. Ma mentre per le strade di Londra la tensione si manifesta chiaramente – graffiti satirici e pannelli che annunciano manifestazioni imminenti – dentro il tendone di Frieze si svolge indisturbata una delle più potenti fiere europee (o forse è più appropriato dire “internazionali”), registrando numeri da record e un mood collettivo più frizzante che mai. La prova del fatto che il mercato dell’arte, quello primario soprattutto, sopravvive potente e spesso immune agli stravolgimenti geopolitici.
Durante la Frieze Art Week, ormai da una decina d’anni, Londra ospita rassegne che complessivamente offrono un esaustivo spaccato cronologico e geografico della scena artistica mondiale: dalle ricerche contemporanee di Frieze London; all’arte moderna e antica di Frieze Masters (ormai all’ottava edizione); dalle freschissime sperimentazioni delle giovani gallerie di Sunday (decimo anniversario) fino all’arte africana di 1-54. E poi la urban art di Moniker Art Fair e gli artisti emergenti dell’evento marchiato Saatchi Art, The Other Art Fair.
Frieze London: tessuti, colori e molti artisti emergenti
Frieze London, la più importante kermesse britannica, si riconferma la fiera dei colori sgargianti e delle presentazioni vivaci – quest’anno ancora più colorata che mai, a detta di alcuni osservatori. Il legame storico e culturale con l’Africa è sicuramente una ragione di questo tratto caratteristico di Frieze, tuttavia la causa non è da circoscrivere solo a questo. È evidente infatti una forte esigenza del ritorno alle tinte accese – sia nella figurazione che nell’astrazione e a prescindere dal medium – come anche del grande formato e in generale delle ricerche intorno al colore.
Meravigliose le opere di Günther Förg da Hauser and Wirth, Adrian Ghenie da Pace Gallery, Julian Opie da Lisson, Iza Genzken da David Zwirner, solo per citarne alcuni. Lo stand di Gavin Brown’s Enterprise è emblematico di questa fiera: il colore è ovunque e mette in dialogo Joan Jonas, Arthur Jafa (Leone d’Oro alla Biennale di Venezia), Martin Creed e un meraviglioso Alex Katz.
Così, anche gli italiani puntano al colore: il ricercato stand di P420 si immerge nel giallo e nel blu con la grande tela di Riccardo Baruzzi e l’installazione su fondo giallo di Rodrigo Hernandez. Sprovieri presenta un prezioso Kounellis giallo intenso.
Anche Gió Marconi punta alla vivacità, con una serie di opere-lampade di Atelier Van Lieshout, che ironizzano proprio sul mercato dell’arte. Franco Noero ha, invece, ammaliato il pubblico con le grandi spazzole rotanti da car wash dell’installazione Taboo di Lara Favaretto.
Restando sugli italiani, si nota che è invece diversa – elegante e intellettuale – la presentazione di Lia Rumma, e questo perché fa parte della sezione dei booths curati. In questo caso la firma è di Joseph Kosuth, che ha conferito all’ esposizione un livello istituzionale (con opere di Kounellis, Pistoletto, Gio Ponti, Anselmo). Gli italiani si dicono felici di questa edizione, vivace sia per la frequentazione che per le vendite.
Poche installazioni e poca arte concettuale: dove c’è, sembra quasi scomparire in mezzo alle esplosioni di colore. Un’altra forte tendenza quest’anno è quella dei tessuti, indubbiamente una conseguenza della presentazione di “Woven”, interessante sezione con otto solo presentations curata da Cosmin Costinas (direttore di para Site Hong Kong) dedicata alle sperimentazioni col tessuto.
Anche in questo caso però bisogna riconoscere che al di là del trend fieristico, c’è un effettivo crescente interesse per questo medium. In ogni stand è possibile scovare opere realizzate con ricami, arazzi e intrecci di ogni forma, e questo permette di scoprire le numerose sperimentazioni degli autori contemporanei con questi materiali – non necessariamente legate immaginari etnici o artigianali, come siamo forse abituati. Impressionano già all’ingresso i quadri astratti, alla Pollock ma in tessuto, di Ivan Morley alla David Kordansky Gallery di Los Angeles. Questa è inoltre un’edizione notevole per la presentazione di artisti emergenti.
Neil Beloufa (1985, franco-algerino) che abbiamo già visto alla Biennale di Venezia nella mostra di Rugoff, anche qui, nello stand curato di Kamel Mennour, coinvolge il pubblico in un’installazione giocosa e distopica, in cui possiamo sederci dentro capsule dall’estetica digitale e futuristica, e pannelli dipinti in mdf con prese elettriche incorporate.
Tra i giovani che stanno vivendo un ottimo momento ritroviamo anche Vivian Caccuri (1986), sound artist brasiliana, presentata da A Gentil Carioca e dalla Delfina Foundation, che utilizza sperimentazioni sonore per dischiudere temi sociali, e Sophie Jung (1982) performer svizzera che esplora il tema del linguaggio attraverso il corpo. Le ultime due hanno realizzato performance per Frieze Live, una piattaforma (in senso letterale: un palco all’interno della fiera) per sperimentazioni non convenzionali di giovani artisti, curata da Diana Campbell Betancourt.
Il nome di Sophia Al-Maria in questi giorni risuona in tanti luoghi nella capitale. Nata nel 1983 in Qatar e residente in America, ha esposto alla Tate Britain, Whitechapel Gallery, Fondazione Pomodoro e molte altre istituzioni. Esplora questioni di genere e sociali legate ai Paesi Arabi attraverso la scrittura e il video. La troviamo nella bellissima mostra a 180 The Strand, di cui parliamo dopo, e allo stand di Project Native Informant della sezione delle gallerie emergenti Focus.
Focus è sicuramente tra le sezioni più interessanti della fiera, una selezione di gallerie emergenti che presentano ricerche molto diverse tra loro e tutte molto rappresentative dei discorsi contemporanei più attuali. Segnaliamo Bodega, con i lavori delicati e potenti di Lydia Ourahmane e Em Rooney, Cher Lüdde con le colorate installazione di Sol Calero, e Revolver Galeria, con un incantevole dialogo tra le sculture di Ishmael Randall Weeks e gli oli di Giancarlo Scaglia.
Anche quest’anno insomma Frieze è facilmente fruibile e piacevole, con le giuste dimensioni nonostante le numerose partecipazioni, e offre uno spaccato realistico della scena contemporanea internazionale. Le gallerie sfoderano il meglio ed è un piacere osservare il lavoro accurato tanto nelle opere che nel disegno allestitivo degli stand. Spiccano alcune gallerie: Societé di Berlino, una galleria che punta su artisti che utilizzano i nuovi media e i linguaggi dell’immaginario cartoon e digitale (avevamo già incontrato Bunny Rogers a Basel Unlimited a giugno). Elegante anche lo stand di Galerie Krinzinger, con numerose opere ma senza affollamento, in particolar modo trova respiro un lavoro potente di Waqas Kahn. Gregor Podnar propone le bellissime tele colorate di Anne Neukamp, tra il pop e il surrealista con rimandi ai linguaggi contemporanei del web.
Purtroppo pochissime invece le opere che ragionano con le tecnologie digitali. Emergono quindi senza troppa fatica gli schermi LED delle opere di Philippe Parreno da Pilar Corrias (tra gli stand curati), le Power Plants di Hyto Steyerl da Esther Schipper e infine il meraviglioso Sunset con un software in live rendering di Yuri Pattison da Mother’s Tank Station.
Sono Olafur Eliasson e Donna Huanca, infine, le vere grandi star di questa Frieze Art Week. Il chandelier di vetri coloratissimi e luminosissimi dell’artista danese-islandese risplende, penzolante dal soffitto, nella main section allo stand di Tanya Bonakdar, a ricordarci – nel caso ci fosse bisogno – che alla Tate Gallery è in corso una grande personale con installazioni immersive.
L’installazione “sensoriale e olistica” di colori, suoni e profumi di Donna Huanca è forse lo stand più curato e scenografico, da Simon Lee Gallery: una grotta di pace, con pitture dai toni celesti, sabbia bianca e incenso di palo alto (usato nei rituali di purificazione in Sudamerica) che offre un momento di ritiro dal chiasso della fiera.
Sunday Art Fair
La piccola fiera di gallerie emergenti è giunta alla decima edizione e si conferma un interessante scrigno di gemme da scoprire, sia per quanto riguarda gli artisti che le gallerie. Tra le italiane, Renata Fabbri presenta Sophie Ko e c+n Canepaneri un interessante solo show della giovane Danica Lundy, che ha riscosso molto successo anche nelle vendite.
Steve Turner presenta ricerche sia scultoree che pittoriche molto valide, come Lydia Blakeley e Jesse Pollock. La scoperta più interessante è la giovane galleria Choi&Lager Gallery, con sede a Colonia e Seoul che offre un solo del giovane pittore Ben Edmunds, da tenere d’occhio. Nonostante la sede estremamente spartana da cui ci aspetterebbe poco, la fiera non delude, né i visitatori né i galleristi.
Frieze Masters
A Frieze Masters come sempre trionfa l’eleganza del dialogo tra le antichità e l’arte moderna. La fiera si conferma lo scrigno dei tesori dal passato. Notevoli molti stand, e in particolar modo è l’arte antica orientale che sembra prevalere. Quello che entusiasma sono alcuni dialoghi ben riusciti, come quello presentato da Galleria Continua in collaborazione con Bacarelli Botticelli: sculture medievali e rinascimentali si sposano perfettamente con gli specchi di Michelangelo Pistoletto e le pareti a righe di Daniel Buren. L’atmosfera qui è sicuramente più sommessa, e in un clima elegante e ovattato si incontrano ceramiche antiche insieme a Fontana, capitelli corinzi e Picasso. Il fascino di questa fiera è innegabile, come pure i numeri.
E a proposito di grandi numeri: a Frieze Master ha fatto discutere il Botticelli in vendita per 30 milioni di dollari (l’ultimo in mano privata al di fuori dell’Italia, della Trinity Fine Arts di Londra). Le vendite in generale sono andate molto bene, e i galleristi si sono detti soddisfatti già dalla preview: Hauser&Wirth ha venduto un Philip Guston da 5 milioni di dollari a poche ore dall’apertura della mostra (Hand, 1979), e David Zwirner un Neo Rauch da 1.5 milioni di dollari. Anche le aste hanno registrato numeri da record: un Banksy venduto per 12.1 milioni di dollari da Sotheby’s e il Jean-Michel Basquiat venduto alla evening sale auction da Christie’s a 10.6 milioni si dollari.
Mostre in città
Infine tra le innumerevoli mostre in città, tra cui la già citata personale di Olafur Eliasson alla Tate Modern, segnaliamo due preziosi eventi, molto diversi tra loro, entrambi emblematici di linguaggi vivi nel panorama contemporaneo. La prima è la personale di Albert Oehlen da Serpentine Gallery a Hyde Park. Poche tele, grandi e potenti, che offrono una meditazione sulla pittura pura, l’astrazione e la figurazione onirica del grande pittore tedesco.
La seconda è una collettiva riuscitissima e di grande impatto nello spazio 180 The Strand, curata da The Vinyl Factory, che presenta invece grandi installazioni immersive video e sonore con artisti giovani ma già affermati come Doug Aitken, Sophia Al-Maria & Victoria Sin, Korakrit Arunanondchai, Donna Huanca e molti altri.
Nello stesso spazio, anche la mostra Other Spaces offre impressionanti installazioni digitali e immersive. Gli spazi industriali di 180 The Strand offrono molte possibilità per le sperimentazioni curatoriali e hanno visto infatti progetti importanti, curati da nomi come Massimiliano Gioni e Ralph Rugoff.