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Opera d’arte e mano dell’artista tra IVA e diritto d’autore

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Se nessun addetto ai lavori dubiterebbe che opere come Il Dito di Cattelan, The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (lo squalo in formaldeide) di Hirst o The Cloud Gate (il c.d. fagiolo) di Kapoor, opere tutte alle quali gli artisti non hanno fisicamente messo mano, siano opere d’arte; se è poi molto probabile (ma non scontato: si veda a proposito il “caso Spoerri” deciso dalla Corte di Cassazione francese il 5 febbraio 2002) che nessun giudice negherebbe a queste opere tutela autorale a causa della mancata presenza della mano dell’artista alla loro concreta realizzazione, di diverso avviso è l’Agenza delle Entrate.

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In una recente risposta a interpello (n. 303 del 2 settembre 2020) è stata infatti negata l’applicazione dell’IVA ridotta (10%) in caso di cessione da parte dell’autore di alcune opere da lui progettate con l’ausilio del computer e realizzate mediante stampa 3D, che successivamente lo stesso provvede “a stuccare, lisciare o sottoporre ad altre lavorazioni artigianali post produzione”, perché non considerate “oggetti d’arte”.

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Ai sensi del Testo Unico IVA (Decreto Presidente Repubblica n. 633/1972), che richiama il D.L. n. 41/1995 e la sua Tabella A, si intendono “oggetti d’arte” in ambito scultoreo le “opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultoria, di qualsiasi materia, purché siano eseguite interamente dall’artista; fusioni di sculture a tiratura limitata ad otto esemplari, controllata dall’artista o dagli aventi diritto”.

Nella recente risposta l’Agenzia non ha ritenuto sussistenti le condizioni richieste per l’applicazione dell’IVA agevolata, affermando che: a) “le opere non sono eseguite interamente [dall’artista] ma sono realizzate in tutto o in parte attraverso l’utilizzo di procedimenti meccanici, quali stampanti 3D, FDM software di modellazione 3D, nonché con l’intervento, in alcuni casi, di altri soggetti che fanno ricorso alla medesima tecnologia” e che “l’intervento manuale [dell’artista] risulta residuale e nella sostanza limitato alla verniciatura finale e, in alcuni casi, alla lisciatura e ripulitura di eventuali ‘scorie’ di stampa”, e b) l’artista “a volte realizza molteplici pezzi della stessa ‘creazione’ (50 o 200 pezzi per colore) e ciò contrasta con la ‘tiratura limitata’ prevista dalla norma”.

Senonché, la norma citata e l’interpretazione che ne dà l’Agenzia delle Entrate si discostano non solo da quanto accade nel mercato dell’arte ma anche da quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore (Legge 22 aprile 1941 n. 633, “Legge Autore”).

Circa il fatto che la normativa fiscale faccia riferimento a opere “interamente” eseguite dall’artista, è facile rendersi conto che una interpretazione letterale della norma comporterebbe l’esclusione di tutte le opere citate all’inizio di questo pezzo, compreso Il Dito, che, come sappiamo, non è certo stato scolpito da Cattelan, che lo ha solo ideato e poi fatto eseguire dagli artigiani.

Quanto poi al richiamo agli “otto esemplari”, la normativa fiscale fa riferimento al concetto di multiplo. Come è noto, in ambito artistico sono considerate opere “uniche” gli esemplari fino a otto, mentre sono considerate opere seriali o multiple le edizioni superiori di otto esemplari. Anche queste sono però evidentemente opere d’arte originali, e nessuno dubiterebbe che i vari multipli della Nike di Samotracia realizzata da Yves Klein nel 1962, che constano di 25 prove d’artista e di 175 esemplari numerati, siano opere d’arte, anche tenendo conto che oggigiorno vengono battuti all’asta a circa 300.000 sterline. Tuttavia a queste, secondo la normativa italiana, non verrebbe applicata l’IVA agevolata.

Se come abbiamo visto la normativa fiscale non è certo allineata a quanto avviene nel mercato, più vicina a questo è senz’altro la Legge Autore. L’articolo 145, nel definire le opere per le quali si applica il c.d. “diritto di seguito” previsto dall’articolo precedente (vale a dire il diritto dell’autore di opere delle arti figurative e dei manoscritti di percepire una percentuale sul prezzo di vendita degli originali delle proprie opere in occasione delle vendite successive alla prima), stabilisce che “ai fini dell’articolo 144 per opere si intendono gli originali delle opere delle arti figurative, comprese nell’articolo 2, come i quadri, i ‘collages’, i dipinti, i disegni, le incisioni, le stampe, le litografie, le sculture, gli arazzi, le ceramiche, le opere in vetro e le fotografie, nonché gli originali dei manoscritti, purché si tratti di creazioni eseguite dall’autore stesso o di esemplari considerati come opere d’arte e originali” (comma 1) e che “le copie delle opere delle arti figurative prodotte in numero limitato dall’autore stesso o sotto la sua autorità, sono considerate come originali purché siano numerate, firmate o altrimenti debitamente autorizzate dall’autore” (comma 2).

La locuzione “creazioni eseguite dall’autore stesso o di esemplari considerati come opere d’arte e originali”, almeno con riferimento al diritto di seguito, comprende non solo ciò che l’artista esegue personalmente, ma anche ciò che viene considerata opera d’arte in ambito artistico, come le opere che l’artista “progetta” ma che poi fa eseguire materialmente da altri. Sul punto, è stato osservato che opere realizzate direttamente dall’autore sono quelle eseguite da questo di propria mano, eventualmente anche con l’ausilio di mezzi meccanici purché vi sia sempre la presenza materiale e la supervisione dell’autore nella fase di realizzazione (Romano, L’opera e l’esemplare nel diritto della proprietà intellettuale).

Anche nel caso dei multipli, la disciplina autorale è ancora una volta più in linea con quanto avviene nel mercato dell’arte rispetto a quella fiscale, in quanto, come abbiamo vito, non pone limitazioni di numero ma chiede solo che queste siano prodotte dall’autore “in numero limitato” e siano “numerate, firmate o altrimenti debitamente autorizzate dall’autore”.

La vicenda che è stata sottoposta all’Agenzia delle Entrate ricorda in un certo qual modo il c.d. “caso Brâncuși”, cioè la vicenda giudiziaria che coinvolse lo scultore romeno e la dogana americana nel 1926.

In quell’anno Brâncuși sbarca a New York, assieme all’amico Duchamp, per esporre alla galleria Brummer la scultura del 1923 Uccello nello spazio.

Senonché il funzionario della dogana, non capendo di che cosa si trattasse, classificò quell’oggetto di bronzo lucido su una base di metallo come “Kitchen Utensils”, rifiutando di applicare l’esenzione fiscale prevista dal paragrafo 1704 del Tariff Act del 1922 relativo alle opere d’arte. Brâncuși intenta quindi causa nei confronti degli Stati Uniti. La vicenda terminerà due anni dopo con la decisione del 26 novembre 1928, nella quale viene statuito che Uccello nello spazio è un’opera d’arte e come tale è esente dal dazio. Nella sentenza si legge in particolare che: “L’oggetto considerato… è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale… accogliamo il reclamo e stabiliamo che l’oggetto sia duty free”.

Al dì là delle affermazioni secondo cui l’oggetto è “bello”, “piacevole da guardare e molto decorativo” – che attengono tutte alla meritevolezza dell’opera, criterio che secondo l’opinione prevalente esula dai requisiti richiesti per la protezione, non potendosi esprimere un giudizio fondato su canoni estetici o di valore per stabilire se un’opera sia tutelabile o meno – la sentenza Brâncuși è interessante, da un lato, perché dimostra come l’applicazione della normativa fiscale in ambito artistico non sia mai stata agevole e si basi su criteri più rigidi rispetto a quella autorale, dall’altro, perché evidenzia la difficoltà per i non addetti ai lavori e per il diritto a riconoscere come arte le nuove espressioni della creatività umana.

 

Federica Minio
Federica Minio
Nata a Verona ma di famiglia veneziana, Federica è un avvocato esperto in diritto della proprietà intellettuale e dell’arte ed è stata tra le prime in Italia a laurearsi in diritto dei beni culturali. Prima di intraprendere la professione legale, ha lavorato in gallerie e fondazioni d’arte milanesi. Federica unisce la sua passione per l’arte, da sempre respirata in famiglia (assieme al profumo della trementina del papà pittore), al lato più creativo del diritto.

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