In questi giorni è rimbalzata sui media la notizia che Daniel Druet, apprezzato e conosciuto scultore francese che ha realizzato per Maurizio Cattelan nove delle statue che compongono le sue installazioni – tra cui “La Nona Ora” (1999), che mostra Papa Giovanni Paolo II atterrato da un meteorite, e “Him” (2001), che riproduce Hitler in un corpo da bambino inginocchiato – ha promosso in Francia una causa contro il noto artista italiano (oltre al suo gallerista Emmanuel Perrotin e allo spazio museale Monnaie de Paris), lamentando la mancata menzione del suo nome tra i crediti delle opere e sui cataloghi. Il risarcimento dei danni richiesto è considerevole: 5,25 milioni di dollari.
Da un punto di vista prettamente legale, la questione verte sul riconoscimento della paternità dell’opera, uno dei diritti morali riconosciuti dalle legislazioni in tema di diritto d’autore (in Italia, l’art. 20 della legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. mod.; per brevità, di seguito solo LDA), nel caso in cui l’opera creativa sia realizzata da un artista con l’assistenza di artigiani o collaboratori, circostanza comune nel campo dell’arte contemporanea, si pensi ad alcune opere di Damien Hirst come lo squalo imbalsamato conservato sotto formaldeide.
In generale la tutela autoriale sorge automaticamente in capo a tutti i soggetti che l’anno creata, senza bisogno di alcuna formalità (cfr. art. 6 LDA); l’eventuale indicazione del nome dell’artista, sull’opera o sui diversi supporti inclusi i cataloghi, costituisce peraltro (solo) una presunzione di titolarità (cfr. art. 8 LDA), al fine di agevolare la riprova della creazione e dell’appartenenza originaria dei diritti. Ciò che rileva per il riconoscimento della paternità è l’apporto, il contributo creativo fornito dai diversi soggetti, che per essere riconosciuti autori non può ovviamente mancare (almeno in parte).
Di norma, l’assistenza di professionisti nella realizzazione dell’opera non rileva ai fini del loro riconoscimento come co-autori dell’opera che hanno meramente realizzato.
Infatti, come correttamente rilevato in dottrina, “il criterio più affidabile per individuare chi sia l’autore rimane quello di accertare quale sia il soggetto che, in ultima istanza, prende le decisioni semanticamente rilevanti nel processo creativo, intese come apporti aventi carattere creativo idonei a incidere sulla forma espressiva dell’opera, a prescindere dal debito tecnico che debba essere riconosciuto nei confronti degli esecutori materiali delle idee altrui” (F. Mastrolilli, Falsi d’autore e autenticità dell’opera. Brevi riflessioni sull’arte contemporanea, in IDA, 3/2013, 224).
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza italiana, dove si riconosce e condivide che “…l’opera può ritenersi autentica se realizzata dallo scultore in vita ovvero se prodotta da parte di una fonderia autorizzata dallo stesso scultore alla sua presenza o sotto la sua supervisione …” (Trib. Milano, 4 gennaio 2018).
Vero è, tuttavia, che nel campo dell’arte contemporanea la valutazione dei diversi contributi deve essere necessariamente integrata da criteri semantici legati all’autore/i e al contesto in cui l’opera è stata creata.
Nel caso Druet/Cattellan andrà pertanto indagato chi ha prefigurato, tratteggiato, impostato il lavoro, dovendosi riconoscere allo scultore un’eventuale co-autorialità nel caso in cui abbia effettivamente contribuito al processo creativo e non si sia limitato alla mera realizzazione dell’opera, peraltro di indubbia ottima fattura. Una volta verificati tali presupposti, andrà poi accertato che la mancata menzione abbia comportato un effettivo danno al co-autore non indicato.
Tutto da provare. Ma Cattelan non manca di stupirci e stimolarci.