Il trattamento fiscale della cessione di opere d’arte è da sempre un tema piuttosto delicato e negli ultimi mesi si sono inseriti diversi interventi sia da parte del legislatore che da parte della giurisprudenza finalizzati a rendere più chiari i contorni.
Un primo intervento della giurisprudenza è stato con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.6874 depositata lo scorso 8 marzo, con la quale sono stati forniti gli elementi per distinguere il collezionista, vale un soggetto che acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza rispetto ad un vero e proprio mercante vale a dire colui che svolge la suddetta attività unicamente per trarne un profitto.
Tenuto conto della mancanza di una normativa dedicata all’interno del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, il legislatore con l’inserimento dell’art. 5 comma 1 lett. h) della L. 111/2023 (legge delega di riforma fiscale) ha previsto l’introduzione di una specifica disciplina riguardante le plusvalenze conseguite, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, dai collezionisti di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione.
L’intervento ha il dichiarato scopo di porre rimedio alla situazione di incertezza oggi esistente, ed è volto a escludere da imposizione le cessioni nelle quali risulti assente un “intento speculativo”, compresi i casi di plusvalenze relative a beni acquisiti per successione o donazione.
Tuttavia, l’attuazione della riforma fiscale avverrà mediante l’emanazione di appositi decreti legislativi e pertanto in attesa della relativa emanazione i collezionisti dovranno fare affidamento unicamente sui principi elaborati dalla giurisprudenza.
A tal proposito, l’argomento è stato nuovamente affrontato con la Sentenza della Corte di cassazione del 16.1.2024 n. 1603. L’obiettivo del presente contributo è quello di condividere gli spunti della recente sentenza in commento, al fine di poter fornire ai collezionisti un quadro sempre aggiornato della giurisprudenza ed evitare quanto più possibile l’insorgere di eventuali contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria.
La distinzione tra collezionista e mercante d’arte
Le precedenti analisi effettuate dalla Suprema Corte richiamate anche nell’ultimo pronunciamento definiscono quale mercante di opere d’arte colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio – anche in maniera non organizzata imprenditorialmente – col fine ultimo di trarre un profitto dall’incremento del valore delle medesime opere.
Pertanto, i giudici hanno dato rilevanza all’interesse sottostante l’acquisto dell’opera, vale a dire il collezionista ha quale motivazione non tanto il valore economico del bene quanto quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre e pertanto in caso di dismissione l’eventuale plusvalenza non era soggetta a tassazione.
Nel corso dell’ultima sentenza dello scorso 16 gennaio, in analogia con i precedenti pronunciamenti vengono valorizzati quali elementi idonei a dimostrare la sistematicità e la professionalità dell’attività d’impresa: il numero elevato delle transazioni effettuate, gli importi significativi, i quantitativi di soggetti con cui sono stati intrattenuti rapporti nonché la varietà della tipologia di beni alienati.
Nel caso oggetto di trattazione, secondo i giudici vi è stata un’attività sistematica svolta nel tempo e in forma non occasionale per cui è corretto configurare un’attività d’impresa.
Dopo aver quindi chiarito gli elementi necessari per qualificare giuridicamente la “veste” con cui viene conclusa la transazione, si riporta di seguito il relativo trattamento fiscale.
Gli aspetti fiscali per il collezionista ed il mercante
La Suprema Corte ha altresì gli elementi utili agli operatori per qualificare correttamente le operazioni dal punto di vista tributario.
Sul punto, il sistema fiscale italiano prevede, conseguenze differenti a seconda della differente veste con la quale viene conclusa la cessione. Per il mercante d’arte si è in presenza di redditi d’impresa ai sensi dell’articoli 55 ss. TUIR e conseguente assoggettamento alla disciplina prevista ai fini IVA come previsto dall’art. 4 del d.P.R. 633/1972. Dal punto di vista IRAP, la Corte rammenta che laddove ricorra la figura del c.d. piccolo imprenditore, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata.
Da ultimo, il collezionista invece non sarà soggetto ad alcuna imposizione. Tale considerazione consente al collezionista di non essere inciso dalla tassazione in capo di successiva cessione delle opere d’arte, in virtù della mancanza dei requisiti fiscali.
Tuttavia, occorre sottolineare come il confine tra le differenti categorie sia piuttosto complicato da definire a priori, in quanto caratterizzato dalla presenza di diversi elementi fattuali e valutativi. In conclusione, la speranza è contenuta nel termine del percorso legislativo di delega fiscale con il quale finalmente poter garantire maggiore certezza nei rapporti tra fisco e contribuente.