Un’immagine di tutti, ma non per fini commerciali
La sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1792, pubblicata il 24 settembre 2024, ha affrontato una questione giuridica di rilevante interesse: il diritto di riproduzione dei beni culturali e il loro utilizzo a fini commerciali.
Il caso ha visto come protagonista il dipinto raffigurante Francesco I, Duca d’Este, realizzato da Diego Rodríguez de Silva y Velázquez (olio su tela, 1638), utilizzato come “testimonial” dell’aceto balsamico di Modena, da un produttore della zona.
Tuttavia, la Galleria Estense di Modena che, custodisce il dipinto, ha contestato questo utilizzo e la Corte d’appello le ha dato ragione, ampliando la discussione sul diritto di riproduzione dei beni culturali.
All’esito del giudizio di secondo grado, il produttore di aceto balsamico di Modena è stato infatti condannato per l’indebito utilizzo a fini commerciali dell’immagine del dipinto, usata come marchio dei propri prodotti, in assenza della prescritta autorizzazione amministrativa e per mancato pagamento del canone.
La decisione ha ribadito che, “al pari del diritto all’immagine della persona disciplinato dall’art. 10 c.c., può sicuramente configurarsi un diritto all’immagine con riferimento ad un bene culturale in considerazione del suo valore collettivo, che trova il proprio fondamento normativo in un’espressa previsione legislativa ovvero negli articoli artt. 107 e 108 del D.lgs. N. 42/2004, norme di diretta attuazione dell’art. 9 della Costituzione (C. Cost. n. 194/2013) – che vietano la riproduzione di un bene in mancanza di approvazione (e pagamento del canone) – oltre che nei numerosi espressi richiami nello stesso codice al diritto all’immagine e al decoro del bene culturale” (così sentenza n. 1792/2024 del 24/09/2024).
Secondo i giudici emiliani, più in particolare, “Il divieto di utilizzo dell’immagine di beni culturali senza specifica autorizzazione si ricollega quindi direttamente al principio per cui i beni culturali, qualora toccati da dinamiche di mercato, perderebbero il loro valore come individuato e ritenuto meritevole di tutela dal legislatore” e “solo un’autorizzazione amministrativa può rimuovere il limite all’esercizio dell’attività economica del privato, previa valutazione tecnico-discrezionale della compatibilità dell’uso dell’immagine con la destinazione culturale del bene”.
La sentenza si pone nel solco di precedenti pronunce dello stesso segno (così, ad esempio, l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 20 ottobre 2022).
Per la recente giurisprudenza, la natura stessa del bene culturale intrinsecamente esigerebbe la protezione della sua immagine, intesa come diritto alla sua riproduzione nonché come tutela della considerazione del bene da parte dei consociati, oltre che della sua identità, intesa come memoria della comunità nazionale e del territorio, quale nozione identitaria collettiva.
Con la conseguenza che, in mancanza di detta autorizzazione, l’uso dell’immagine in un’attività economica sarebbe illecito e, come tale, fonte di danno risarcibile (sempre però, in concreto, da dimostrare).
Più in particolare, nel caso in esame è stato accertato che la società produttrice di aceto balsamico ha utilizzato l’immagine del dipinto del Duca Francesco I d’Este per mero scopo di lucro e lo stesso ricade quindi pienamente nella disciplina di cui agli artt. 107 e 108 D. Lgs. 42/2004, attuativi dell’art. 9 Cost., con conseguente risarcibilità del danno ingiusto per violazione di norme di legge ordinaria ex art. 2043 c.c., laddove il danno è costituito dallo svilimento dell’immagine del bene culturale e dalla perdita economica patita dall’istituto museale per il mancato pagamento del canone di concessione e dei corrispettivi di riproduzione.
La sentenza, come altre pronunce emesse in questi ultimi anni su casi simili, farà sicuramente – e ancora una volta – discutere, poiché riconosce una tutela proprietaria, come quella assicurata dal diritto d’autore, ad opere di dominio pubblico e risalenti nel tempo, come i beni culturali, ben oltre ogni possibile termine di durata.
Questa decisione solleva inoltre interrogativi importanti sulla compatibilità tra la tutela rafforzata dei beni culturali e il principio di libera fruibilità del patrimonio culturale da parte della collettività; ci si domanda, infatti, come e con quali parametri l’Amministrazione possa di volta in volta valutare quale uso in attività economiche sia compatibile con l’immagine di ogni singolo bene culturale e se, in ultima analisi, possa essere lecitamente di qualcuno ciò che è giustamente di tutti.