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Esposizione e riproduzione di opere d’arte

del

Riflessione sui diritti coinvolti dopo l’acquisto.

Nel momento in cui un’opera d’arte viene acquistata, è naturale interrogarsi su quali diritti siano effettivamente trasferiti al nuovo proprietario. Uno dei temi più delicati riguarda la possibilità di esporre l’opera al pubblico o di riprodurla all’interno di cataloghi e altri materiali informativi.

Ai sensi della legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. mod. (la “Legge Autore”), l’autore dell’opera d’arte ha “il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato” (art. 12 Legge Autore); la mera cessione di uno o più esemplari dell’opera, salvo espressa pattuizione contraria, non implica la trasmissione dei diritti di utilizzazione regolati dalla Legge Autore (art. 109 Legge Autore). 

Resta oggetto di discussione tuttavia se la vendita dell’opera da parte dell’autore attribuisca al nuovo proprietario, sia esso un collezionista, una galleria o un museo, oltre al diritto di rivenderla, anche il trasferimento automatico del diritto di esporla al pubblico, ad esempio nell’ambito di una mostra, e/o farla pubblicare, o se tale diritto resti in capo all’autore.

Poiché la Legge Autore non menziona espressamente il diritto di esposizione, ci si domanda se tale facoltà possa infatti rientrare tra i diritti di utilizzazione economica riservati all’autore. Se così fosse, il semplice possesso dell’opera non sarebbe sufficiente a legittimare la sua esposizione, che richiederebbe invece il preventivo consenso dell’artista, o in caso di sua scomparsa, dei suoi eredi legittimati.

La giurisprudenza, tuttavia, si è orientata in senso opposto, riconoscendo che il diritto di esporre pubblicamente l’opera spetti al proprietario. L’autore può eventualmente, e sussistendone i presupposti, solo lamentare la violazione dei propri diritti morali d’autore, ad esempio se l’opera viene esposta in un contesto che lede il suo onore o la sua reputazione e/o che ne comprometta l’integrità artistica (si pensi all’accostamento forzato con opere di diversa corrente o genere artistico, o a un contesto critico che travisi il senso dell’opera; cfr., ad esempio, Trib. Verona 13 ottobre 1989).

In sintesi, il proprietario è legittimato a esporre l’opera in contesti pubblici o privati – inclusi mostre ed esibizioni e prestiti a istituzioni – purché non venga alterata la dignità dell’artista e non siano state pattuite limitazioni per iscritto al momento della vendita.

Il prestito di opere d’arte per mostre ed esposizioni.

Quando un’opera d’arte è anche soggetta alla disciplina della tutela dei beni culturali, il suo prestito per finalità espositive non è sempre libero, ma è di norma soggetto ad autorizzazione delle amministrazioni competenti, che verrà rilasciata tenendo conto delle esigenze di conservazione e, per quelli appartenenti allo Stato, anche delle esigenze di fruizione pubblica; essa è subordinata all’adozione delle misure necessarie per garantirne l’integrità. 

Il rilascio dell’autorizzazione è inoltre, subordinato all’adozione di misure adeguate a garantire l’integrità dell’opera e alla stipula di idonea copertura assicurativa dei beni da parte del richiedente, per il valore indicato nella domanda (art. 48 Codice dei beni culturali).

Diversamente, per quanto riguarda le opere d’arte moderna e contemporanea non sottoposte a vincoli di tutela, l’esposizione non è – di massima – soggetta ad autorizzazione da parte dell’autore o dei suoi aventi causa. Tuttavia, la riproduzione dell’opera, ad esempio su cataloghi, manifesti e/o altri materiali pubblicitari, richiede quasi sempre il consenso preventivo dell’autore.

Sul punto, la giurisprudenza si è espressa in modo chiaro: la Corte di cassazione ha affermato che “Il diritto di esposizione dell’opera, che spetta al proprietario cessionario del suo esemplare originale, non include quello di pubblicizzarla con la sua riproduzione su catalogo” (cfr. Cass. 19 dicembre 1996 n. 11343). Lo stesso orientamento è stato espresso da varie decisioni di merito, come quella della Corte di Appello di Roma, secondo cui: “L’esercizio del diritto del proprietario di un quadro di esporlo in una mostra non comporta l’esclusiva di riproduzione autonomamente facente capo all’autore” (cfr. App. Roma, 23 dicembre 1992).

La riproduzione di opere d’arte nei cataloghi e negli altri mezzi di diffusione.

L’art. 13 della Legge Autore attribuisce (originariamente) all’autore un diritto esclusivo alla riproduzione della propria opera. Questo diritto si traduce nella facoltà di moltiplicare in copie direttamente o indirettamente, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione. 

Anche quando l’opera viene venduta, tale prerogativa rimane in capo all’autore: il diritto di riproduzione non si trasferisce, automaticamente, con l’acquisto dell’opera d’arte, come si evince dall’art. 109 Legge Autore: “La cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge.(…)”; la norma fa dunque salvo il patto contrario tra le parti, le quali possono concordare, al momento dell’acquisto dell’opera, la trasmissione di diritti ulteriori oltre a quello di proprietà. 

Anzi, è consigliabile prevedere la cessione del diritto di riproduzione in una clausola del contratto di vendita: a tal riguardo, è bene ricordare, che la prova dell’avvenuta cessione – e più in generale, la trasmissione dei diritti di utilizzazione – deve essere provata per iscritto (art. 110 Legge Autore).

La riproduzione non autorizzata di un’opera d’arte, ad esempio di un dipinto, costituisce in linea generale una violazione dei diritti patrimoniali dell’autore. Diverso è il discorso per i diritti morali dell’autore, la cui lesione si verifica solo in casi specifici: ad esempio, se la riproduzione è realizzata senza indicare il nome dell’autore, o se l’opera viene attribuita erroneamente ad altri, oppure se l’autore è stato identificato contro la sua volontà (in quanto aveva deciso di restare anonimo) o con modalità lesive del suo onore e decoro (art. 20 Legge Autore). 

La giurisprudenza ha inoltre chiarito che non è sufficiente invocare uno “scopo culturale” per giustificare la riproduzione dell’opera nei cataloghi espositivi. La Corte d’Appello di Milano ha infatti ribadito che “Lo scopo culturale della pubblicazione di un catalogo di un’esposizione non rientra nello scopo «di critica, di discussione ed anche di insegnamento» ex art. 70 l.a. e non rileva come esimente del dovere di rispettare i diritti economici d’autore” (cfr. Corte di App. Milano, 25 febbraio 1997). 

Dal punto di vista pratico, va considerato inoltre che i cataloghi delle mostre possono entrare in diretta concorrenza con pubblicazioni analoghe curate e pubblicate dall’autore stesso e contenenti riproduzione delle medesime opere, incidendo così negativamente sulla possibilità per l’autore di trarre profitto dalla propria opera.

 Naturalmente, rimane lecita la riproduzione dell’immagine dell’opera per finalità di critica o giornalistiche, come nel caso di articoli che recensiscono una mostra o un evento artistico.

Per quanto riguarda poi le opere sottoposte alla tutela dei beni culturali, la legge distingue tra uso senza scopo di lucro – che è oggi generalmente consentito, anche attraverso Internet e sui social media – e uso con finalità di lucro, come accade per la pubblicazione nei cataloghi, per la quale è invece necessaria la preventiva autorizzazione da parte delle amministrazioni competenti. 

In questo ultimo caso, l’ente che ha in consegna il bene può subordinare l’autorizzazione anche al pagamento di un canone, secondo quanto previsto dall’art. 108, comma 1, del Codice dei beni culturali e dal relativo tariffario ministeriale.  

Conclusioni.

In conclusione, chi organizza mostre ed esposizioni ha l’onere di verificare, prima della stampa o della diffusione online del catalogo o di altri materiali promozionali, di aver ottenuto regolare autorizzazione alla riproduzione da parte dell’autore o dei suoi aventi diritto. 

La mancata acquisizione di tale consenso può esporre l’organizzatore a responsabilità giuridiche, comprese eventuali richieste di risarcimento danni.

G. Cavagna e M.G. Contatore
G. Cavagna e M.G. Contatorehttp://www.bipartlaw.com.
Gli avvocati Gilberto Cavagna di Gualdana e Maria Giulia Contatore collaborano con BIPART, acronimo di “Beyond Intellectual Property and ART law”, studio legale specializzato nella valorizzazione e protezione dei diritti di proprietà intellettuale e dell’arte con sede a Milano. I professionisti di BIPART forniscono assistenza e consulenza a clienti nazionali e internazionali in materia di marchi e nomi di dominio, design, brevetti e segreto industriale, concorrenza sleale, diritto d’autore e software, diritto dell’arte e dei beni culturali, concorrenza, diritto della pubblicità, dei media e dello sport. Contatti: gilberto.cavagna@bipartlaw.com, mariagiulia.contatore@bipartlaw.com www.bipartlaw.com.

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