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Collezionare è aprirsi alle scoperte

del

Siamo a Roma, in zona Quadraro, vicini alla fermata della metro Porta Furba, al numero 12 di via Maia. Qui si trova Casa Piena, chiamata così dagli amici del giornalista Francesco Paolo Del Re e dell’artista Sabino de Nichilo

È la loro abitazione dove ha trovato casa anche la raccolta di opere d’arte che hanno messo insieme prima singolarmente e poi in coppia. Francesco Paolo ha cominciato all’età di 23 anni, quando raccolse in strada un ritratto dello street artist Sten, mentre Sabino è stato il primo, tra i due, a comprare. La loro collezione l’hanno definita “una somma di curiosità, di incontri, di scoperte, di connessioni e di intersezioni tra interessi diversi”. 

Tra le ultime cose arrivate, per esempio, ci sono un’opera di Mimì Quilici Buzzacchi, pittrice del Novecento, e due dipinti di pittori del presente come Mattia Barbieri e Francesco Rocco Ferruccio. Nella loro casa ci sono pochissime opere fotografiche mentre abbondano opere di pittura e disegni, con una predilezione per ritratti e figure. 

Non mancano sculture e ceramiche per cui Sabino, essendo a sua volta un’artista che lavora con la ceramica, ha una particolare sensibilità. Entrambi hanno origini pugliesi e per questo motivo hanno opere del Novecento meridionale e per omaggio alla città che li ha adottati posseggono opere della Scuola Romana. 

L’altra predilezione, mi hanno scritto, “è per gli artisti omosessuali (molti di quelli del Novecento hanno storie taciute, censurate o dimenticate) e per l’arte delle donne. Il sud, il punto di vista di genere e l’orientamento sessuale sono stati fattori di discriminazione, di oscuramento e di oblio in un mondo, quello dell’arte, assoggettato al dominio maschile e patriarcale come ogni altro settore della cultura e della società”. 

È molto difficile scindere il quotidiano di Sabino e Francesco Paolo dall’arte perché di fronte a Casa Piena c’è CASA VUOTA, un altro spazio domestico, non abitato dal 2017, che in coppia i due collezionisti hanno trasformato in un progetto curatoriale che si apre periodicamente al pubblico per delle personali o delle collettive. CASA VUOTA è un originale contenitore per il contemporaneo che sin dall’inaugurazione, avvenuta nel maggio 2017, ha continuato a proporre sia nomi nuovi che dialoghi tra pratiche e artisti. 

Dal 25 ottobre è visitabile “Il peso dell’altro”, la personale di Nicolò Bruno che ha scelto di dialogare con le opere di Guglielmo Janni provenienti da Casa Piena o da altre collezioni. Come è scritto sui profili social di Casa Vuota “ci sono molti modi di abitare una casa e l’arte può essere uno di questi: un modo significativo, pregnante, dialogico e a volte spiazzante”. 

Dal 2022 Francesco Paolo Del Re ha dato vita anche al progetto Il mattino ha Lory in bocca, un happening d’arte che si svolge tra i balconi, i marciapiedi e un incrocio di strade del quartiere Madonnella di Bari e che nell’ultima edizione ha coinvolto più di 60 artisti. Collezionare non è abbastanza”, hanno ribadito nell’intervista, anche per sottolineare il loro impegno nei confronti della numerosa comunità di artisti che fanno parte integrante della loro famiglia costruita, come dice Sabino. 

Elisa Filomena, Eden, installation view a Casa Vuota, 2021, fotografia di Sebastiano Luciano

SD: Nel vostro caso, sia con ‘Casa Vuota’ che con ‘Il mattino ha Lory in bocca’, il quotidiano della casa e della strada viene contaminato dall’arte. È questo il senso dei vostri due progetti? Collezionare non è abbastanza?

FPDR: Il percorso per me è stato questo. Io sono un giornalista. Mi sono avvicinato all’arte in primo luogo scrivendone. Grazie alla scrittura, alle recensioni, ai giornali ho conosciuto tanti artisti. Posso dire di avere usato la scrittura (spinto dalla mia curiosità) per conoscere gli artisti intorno a me e per studiare. Mi appropriavo del loro lavoro attraverso la scrittura. Poi ho iniziato a progettare e a curare mostre. 

Alla scrittura giornalistica ho affiancato la scrittura critica. E, partito come un osservatore, sono diventato anche un custode di opere d’arte. È stato un passaggio graduale, progressivo. Più mi appassionavo, più scoprivo, più conoscevo e più desideravo possedere le cose che mi seducevano e affascinavano. 

I progetti curatoriali di Casa Vuota e di Il mattino ha Lory in bocca sono venuti dopo. Sono ambienti di sperimentazione permanente. Amplificano le possibilità di conoscenza, arricchiscono i rapporti con gli artisti. Realizzare un progetto su misura per gli spazi di Casa Vuota è per noi spesso il punto di arrivo di un percorso di confronto, di scambio e di condivisione con gli artisti. 

E “Il mattino ha Lory in bocca” è una specie di enorme Casa Vuota esplosa. Da curatore mi piace lavorare in spazi non neutri. Mi piace il rumore di fondo, il disturbo visivo, porre domande sullo spazio e sul suo uso, porre domande sul ruolo del pubblico dei fruitori. Questa visione curatoriale è influenzata dalla mia esperienza di collezionista? Forse sì. Sicuramente sono due mondi che dialogano spesso, in continua osmosi. E no, per noi, collezionare non è abbastanza. È soltanto una delle attività attraverso le quali si esprime la nostra personalità.

SdN: Io sono un artista e a Casa Vuota porto avanti anche un’attività curatoriale. Anche per me collezionare non è abbastanza. Il mio pensiero di artista e il mio lavoro di artista influiscono sulle mie scelte collezionistiche e anche su quelle curatoriali. Sono tre aspetti che si intrecciano, inevitabilmente. Inoltre, da artista, per me è vitale il contatto con le opere di altri artisti, anche se sono molto molto diversi da me. Mi arricchisce e lo scambio è reciproco. Guardo le mie sculture con lo sguardo di un artista; le opere che portiamo a Casa Vuota le soppeso con gli occhi del curatore; le opere di Casa Piena (come chiamano gli amici casa nostra) le accarezzo come un paesaggio familiare, che mi fa sentire bene. Vivo in mezzo all’arte e sono così circondato da stimoli che per me è normale trovare desiderabili anche le opere degli altri artisti.

Sabino De Nichilo, Via Dalmazia 58. Omaggio a Pino Pascali, installazione ambientale per _Il mattino ha Lory in bocca 2_, fotografia di Fabrizio Provinciali

SD: Umberto Eco ha scritto “la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi”. Non è così anche per una collezione d’arte e cioè sorprendere? Cosa potrebbe sorprendere in particolare della vostra collezione?

SdN: Potrebbe sorprendere la presenza di artisti di un Novecento a torto considerato minore; nomi ai più forse sconosciuti ma con storie espositive importanti.

FPDR: La cosa che a me sorprende – ma forse è una cosa ovvia – è che le opere sono legate da un filo le une alle altre. Una raccolta d’arte è qualcosa di più della somma delle singole parti. A me emoziona ogni volta comprendere i rapporti reciproci, l’armonia dell’insieme, la sorpresa che ogni tessera che si aggiunge al puzzle è una tessera necessaria, che aspettava di essere collocata. 

Il modo in cui le storie delle opere e degli artisti si intrecciato forse non è così immediato da comprendere e va spiegato, ma sarebbe bello se i campi magnetici sottesi alle ricerche e alle scelte di chi colleziona potessero sorprendere anche qualcun altro. Ma tutto questo è comunicabile?

SD: “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto” disse Ungaretti in un’intervista. Potremmo dire che è così per l’arte in generale e per quella contemporanea in particolare: quali segreti contengono le opere che collezionate?

SdN: I nostri. È come se le opere che ci circondano conservassero i nostri segreti, perché la maggior parte delle opere che abbiamo sono ritratti. Hanno occhi e orecchie. Siamo circondati da ritratti che ci guardano. Mentre loro ci guardano, noi affidiamo loro i nostri segreti più intimi o anche, semplicemente, la nostra quieta quotidianità domestica. 

FPDR: Più che di segreti, parlerei di ossessioni manifeste. Le opere che raccogliamo sono degli specchi, a ben guardare. Ma forse vale per tutti, non solo per noi.

Davide Serpetti, The Sleepers, installation view a Casa Vuota, 2021, fotografia di Sebastiano Luciano

SD: “Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia” si legge nel romanzo “Un eredità di avorio e ambra”. C’è una storia che vorresti raccontare legata ad un’opera d’arte?

FPDR: Un posto speciale hanno per noi i molti regali che negli anni gli artisti ci hanno fatto, che poi costituiscono il cuore della nostra raccolta. Noi abbiamo acquistato dalle gallerie, direttamente dagli artisti oppure anche nei mercati. Ci sono storie di ritrovamenti fortuiti di artisti (importanti per noi) a lungo desiderati e trovati a cifre irrisorie. Ma sembrerebbero delle vanterie, se fossero raccontate. 

Una storia che mi fa sorridere sempre è quella di un mio viaggio a Milano, per lavoro, che mi ha portato a incontrare un vecchio restauratore mio conterraneo; in un moto di generosità e affetto, nonostante fossi per lui uno sconosciuto, al culmine della nostra chiacchierata sull’arte durata ore, mi ha chiesto se volessi portarmi a Roma un ritratto di Gianfilippo Usellini e me lo ha regalato. Non me lo sono fatto ripetere. 

Un artista a cui io sono particolarmente affezionato è Guglielmo Janni. Prediligeva ritrarre giovani atleti in palestra. Smise di dipingere nel 1937, quando la sua pittura stava riscuotendo grande apprezzamento da parte della critica e dopo si dedicò per quasi vent’anni alla scrittura. Non prese più il pennello in mano e, anzi, iniziò a smembrare e distruggere le sue opere. Noi abbiamo un frammento di una grande scena di atleti in uno spogliatoio. Credevamo che fosse un’opera autonoma, poi abbiamo scoperto che è un frammento grazie a una fotografia conservata nell’archivio della Quadriennale di Roma. È una delle opere a cui siamo più affezionati: testimonia una sofferenza personale e una stagione di repressione che ci auguriamo non tornino mai più.

SD: “Ogni immagine più che del soggetto ci parla dello sguardo dell’autore” scrivono Gayford e Hockney. Una collezione ci parla molto anche del collezionista: la vostra cosa dice?

SdN: C’è una visione di famiglia inventata, costruita incontro dopo incontro, innamoramento dopo innamoramento, suggestione dopo suggestione. Penso ai ritratti, persone di vari tempi che sono entrate a far parte della nostra famiglia. La nostra collezione racconta inoltre di scambi e relazioni. Molte delle opere che abbiamo sono frutto di relazioni con le persone, con gli amici, con gli artisti, a prescindere dall’acquisto. La relazione è più importante per noi del valore delle opere.

L’intervista prosegue nella seconda parte

Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto si occupa di marketing, contenuti e palinsesti televisivi in Rcs. È appassionato di arte, di editoria e di Milano.

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