«Se non ce la fai più e senti che tutto il mondo è contro di te, mettiti a testa in giù. Se ti viene in mente di fare qualche pazzia, falla». Probabilmente Alessio Moitre non ha mai sentito questa frase di Harpo Marx in cui sembra risplendere tutto il senso della sua scelta di dar vita, il 10 ottobre di due anni fa, alla galleria che porta il suo nome e che è interamente dedicata a giovani artisti, principalmente italiani, nati dopo il 1980. Una pazzia, forse, ma fatta con la lucidità di chi conosce il mondo in cui ha deciso di addentrarsi e di chi non ha paura di “mettersi a testa in giù” per sfidare tutte le avversità e cercare di dare un po’ di ossigeno ad una generazione di artisti il cui talento troppo spesso si infrange sul muro di gomma del nostro sistema dell’arte. «E’ inutile girarci attorno, in Italia non c’è mai un terreno fertile per questo genere di cose – ci spiega con il fiato ancora grosso per aver scaricato una ventina di sacchi di pellet che serviranno a riscaldare l’ex laboratorio di cornici in cui sorge oggi la galleria – Per noi è stata proprio un’esigenza: dare spazio, finalmente, a persone della nostra generazione, che stanno patendo la situazione attuale. La cosa è stata recepita bene. A due anni dall’apertura devo dire che abbiamo molta gente che ci sostiene e che ci fa anche pubblicità semplicemente parlandone».
Nicola Maggi: Come individuate gli artisti da seguire?
Alessio Moitre: «In Italia abbiamo degli splendidi vivai che sono le Accademie. Solo quella di Torino ce ne ha fornito una buona parte. Noi siamo andati a cercarceli, uno per uno, li abbiamo contattati e ci siamo confrontati con loro. Altri sono venuti a trovarci direttamente con loro. Il principale parametro che utilizziamo come criterio di scelta, ad di là della data di nascita, è l’istinto. Quello che ci interessa è il loro lavoro, vedere se negli anni c’è stata una crescita nel loro percorso artistico ed è su questo che ci concentriamo, più che sul numero delle esposizioni. Se ci piace, se ci sembra interessante quello che fanno, li consideriamo parte integrante della galleria e proviamo a lavorarci assieme».
N. M.: Che tipo di rapporto instaurate con gli artisti?
A.M.: «Con quelli di Torino, anche per un discorso di vicinanza, c’è quasi un rapporto fraterno. Noi cresciamo con loro e loro con noi. Ci piace organizzare degli eventi conviviali, come le cene in galleria: momenti in cui parliamo tra di noi, ci confrontiamo così da accrescere il rapporto. Con gli altri che vivono più lontano cerchiamo di fare la stessa cosa, magari con tempi più dilatati, perché ci si vede meno. Ma alla base c’è sempre la ricerca del rapporto umano con l’artista».
N.M.: In che modo cercate di favorire la crescita degli artisti che collaborano con voi?
A.M.: «Crediamo fermamente che gli artisti della nostra generazione debbano ragionare in modo globale. Iniziando dall’Italia, certamente, ma guardando fuori, all’Europa, perché è lì che devono andare e che si devono confrontare. Per questo stiamo cercando di creare dei rapporti stabili con realtà di altri paesi, nell’ottica di dar vita a dei veri e propri scambi culturali: far venire qua artisti stranieri e far uscire dall’Italia i nostri. Abbiamo molti contatti con Lione ma anche con gallerie in Inghilterra e in Germania. Oggi, d’altronde, è questo che manca: c’è poca capacità di far uscire gli artisti dal loro guscio, dall’Italia».
N.M.: Il motivo, secondo te, qual è?
A.M.: «Sicuramente il fattore economico influisce, ma dobbiamo anche dire la verità: in Italia abbiamo una grossissima difficoltà a farli notare. E’ questo il vero problema, più che una presunta scarsa attenzione da parte delle altre realtà per i nostri artisti, come mi capita di leggere in alcune interviste. Il fatto è che, in Italia, si fatica a fare squadra, a far capire che giochiamo tutti sullo stesso campo e che si dovrebbe, per aver peso nel mondo dell’arte contemporanea, lavorare assieme per far uscire i nostri ragazzi. Anche perché più italiani ci sono in giro, più anche le nostre gallerie e le realtà istituzionali hanno peso davanti a questo mondo. Basta guardare, d’altronde, a quello che succede in altri settori economici: l’internazionalizzazione è fondamentale per tirare avanti e se non ce la fai da solo è lì che deve scattare il gioco di fare squadra altrimenti rimani sotto. Da noi vince la politica dell’orticello, non c’è volontà di condivisione e finisce che abbiamo giovani artisti di livello costretti a lottare contro un sistema che li marginalizza a favore di quelli che hanno già un mercato. Gli altri Paesi in questo momento sono più competitivi. Ma ti assicuro che è deprimente andare in città molto quotate e rendersi conto che non c’è più qualità che da noi e che lì le cose vanno meglio solo perché quello dell’arte è un settore importante. Ci manca proprio la mentalità per lavorare insieme e gli altri, nel frattempo, fanno incetta. Guarda, d’altronde, cosa succede con le nostre imprese più importanti, che vengono comprate dagli stranieri perché sono realtà che funzionano se ben gestite».
N.M.: Il mercato dell’arte, ormai, ha sdoganato ogni forma di espressione artistica. Ciò non toglie che ogni periodo abbia i suoi trend. Che cosa interessa di più in questo momento?
A.M.: «Ultimamente c’è un fortissimo ritorno d’interesse per la pittura, soprattutto quella figurativa. Una chiara tendenza, tant’è che si riescono a vendere anche pezzi di dimensioni maggiori rispetto alla media. Chi compra fa, magari, un colpo solo ma di pregio. Decisamente la pittura funziona molto bene».
N.M.: Per chi si avvicina all’acquisto d’arte, una delle prime barriere è il prezzo. Non di rado si trovano giovani con quotazioni difficili da giustificare. Voi che politica di prezzo adottate?
A.M.: «Oggi, in Italia, chi frequenta le gallerie, difficilmente vuole e può spendere più di un migliaio di euro. E questo anche quando un artista gli interessa molto. Questa è la realtà del nostro mercato e, per questo motivo abbiamo adottato una politica che punta, in primo luogo sull’accessibilità. Da noi puoi trovare pezzi che partono anche da 50 euro. Una scelta ma anche una necessità: era l’unica politica di prezzo possibile altrimenti saremmo andati a gambe all’aria».
N.M.: In tutto questo, immagino, il recente aumento dell’Iva al 22% non aiuta…
A.M.: «L’Iva così alta mette paura. Il fatto è che noi lavoriamo in un mercato che si fonda sul “piacere estetico”, su opere che si vendono per la gioia personale e non per un bisogno primario. Già è difficile quantificare un prezzo legato ad una sensazione, se poi ci metti la stessa iva dei prodotti alimentari. E’ proprio un fatto psicologico ma dipende anche dalla quantità delle vendite. Sarebbe bellissimo avere l’Iva ribassata, anche se mi rendo conto che, in questo momento, il nostro paese ha ben altri problemi. Sicuramente, però, è un tema che andrà affrontato quando le cose saranno più tranquille perché non si può trattare l’arte come la pasta. Il rischio è di far collassare il sistema».
N.M.: Quello dell’Iva, però, non è certamente il solo problema del nostro mercato. Tu cosa cambieresti?
A.M.: «Sicuramente servirebbe una legge quadro che regolamenti il tutto perché alle volte scatta il Far West. Non ci sono regole e controlli chiari su certi tipi di opere e di artisti. Qualcuno ha anche tirato fuori l’idea di rendere pubblici tutti i coefficienti degli artisti realizzando una banca dati. Non so se questo cambierebbe qualcosa a livello di costi o di vendite ma, sicuramente aiuterebbe a dare un po’ più di trasparenza».
N.M.: Anche perché questa storia dei coefficienti non sempre risulta chiarissima ai non addetti ai lavori…
A.M.: «Per farla semplice, il coefficiente dovrebbe essere il riferimento vero per il prezzo di un artista. Una sorta di numero di identificazione deciso, generalmente, assieme al gallerista. Detto questo, il vecchio calcolo base+altezza x coefficiente, che tanti adottavano per prezzare le opere non so se sia ancora così valido. Può funzionare in condizioni normali di mercato, non da noi. Comunque sto notando che sono gli artisti per primi che, rendendosi conto della situazione, non vogliono più applicarlo, preferendo seguire il buonsenso e adattarsi alla situazione. Una regola precisa, comunque, non esiste. Il coefficiente, d’altronde, funziona solo se ogni artista conosce il proprio, lo cura e lo regolamenta a livello manageriale, facendo scattare l’aumento solo quando si rende conto che è il momento giusto. Oltre a questo le gallerie che seguono uno stesso artista dovrebbero trovarsi d’accordo sul coefficiente da applicare. Solo così tutto diventa più trasparente. Altrimenti il rischio è che una galleria bruci l’artista e non gli faccia più vendere nulla anche perché una volta applicato un coefficiente è difficile tornare indietro».
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