Il primi dieci anni del XXI secolo passeranno alla storia non solo per i grandi record d’asta, ma per essere stati il decennio delle Fiere d’Arte. Un fenomeno virale che ha ormai dimensioni globali ed in grado, ogni anno, di coinvolgere migliaia di collezionisti, appassionati o anche semplici curiosi. E questo grazie ad una formula che unisce, al lato prettamente mercantile, tutto il fascino e lo scintillio mondano del jet set da prima pagina. Basta dare uno sguardo ai numeri per rendersene conto: nel 1970 gli eventi fieristici importanti legati all’arte erano solo 3, nel 2005 erano già 68 e nel 2011 se ne contavano la bellezza di 189. Oggi, più o meno, siamo sui 200 appuntamenti.
Ovviamente c’è fiera e fiera e, come per le gallerie, vale anche in questo caso la segmentazione in tre tipologie: internazionali, nazionali e locali. Ognuna con il suo target di riferimento, che va dai grandi collezionisti supermilionari a quelli che, ogni anno, spendono in arte tra i 3000 e i 20mila euro. In molti casi, inoltre, si tratta di fiere satellite di eventi maggiori. A Novembre, nei giorni di Frieze (una delle principali fiere d’arte del mondo), a Londra si sono tenuti altri 16 eventi collaterali. E lo stesso accade nel nostro Paese dove, parallelamente ad Artissima, si tengono TheOthers, Photissima, Paratissima ecc.
Si tratta di eventi minori nati, molto spesso, per dar voce a tutte quelle realtà escluse dalla fiera principale, vuoi per mancanza di fondi, vuoi per la proposta artistica che magari non corrisponde alle aspettative della commissione addetta alla valutazione dei partecipanti. Sì, perché per partecipare ad una Fiera d’Arte non basta pagare, ma si devono rispettare alcuni parametri qualitativi ed espositivi molto rigidi. Pensate che a TEFAF, il più rinomato appuntamento al mondo, a stand già allestiti e prima dell’apertura, un apposito comitato di valutazione passa in rassegna le opere in vendita, con la facoltà di far rimuovere quelle al di sotto degli standard imposti dall’organizzazione. Per questo molte gallerie non si permettono di saltare nessuna [glossary_exclude]edizione[/glossary_exclude] di una fiera importante: si potrebbe spargere la voce di una esclusione, a tutto danno dell’immagine del gallerista e degli artisti da lui rappresentati.
Ma a cosa si deve questo boom di fiere? La risposta è abbastanza semplice: è la reazione delle gallerie allo strapotere dilagante delle case d’asta che, dagli anni Novanta, hanno iniziato a guadagnare sempre più quote di mercato grazie ad una presenza stabile in tutti i principali Paesi e a strategie di marketing tanto raffinate quanto costose. Quella delle aste, a cavallo tra il XX e XXI secolo, era già una macchina da guerra, contro la quale anche la più potente delle gallerie ben poco avrebbe potuto fare per contrastarne l’ascesa.
Così, consapevoli che “l’unione fa la forza”, le Fiere d’Arte sono diventate quelle realtà brandizzate e ben pubblicizzate che oggi conosciamo, ben distanti non solo dalla PAN di Anversa – la prima fiera della storia, nata nel XV secolo -, ma anche dal primo Armory Show del 1913. Oggi, infatti, le Fiere d’Arte di punta, al pari delle principali case d’asta, sono eventi in grado di far salire il valore delle opere, oltre ad avere un giro d’affari praticamente identico a queste. Sto parlando di TEFAF a Maastricht (acronimo che sta per The European Fine Art Foundation); Art Basel a Basilea; Art Basel Miami Beach a Miami e Frieze a Londra. Qui, ogni anno, si ritrovano le gallerie e i collezionisti più importanti del mondo, seguiti da una corte di curatori, consulenti, giornalisti, direttori di musei e artisti. Un circo itinerante, sempre lo stesso, che si sposta tra queste quattro città, oltre a fare qualche tappa extra qua e là nel mondo.
Come emerge anche dal Art Market Report di TEFAF, il posizionamento raggiunto oggi dalle fiere fa sì che si siano quasi completamente sostituite alle gallerie che, con esse, realizzano oltre il 70% dei loro affari. Un cambiamento culturale importantissimo che, come mette in evidenza anche Donald Thompson nel libro Lo squalo da 12 milioni di dollari, ha modificato alla base il modo di comprare arte all’insegna dell’acquisto impulsivo, proprio come avviene, spesso, durante le aste. Basti pensare che la maggior parte delle vendite viene effettuata nella prima ora di apertura, quando in giro per gli stand ci sono solo i cosiddetti VIP (agenti, collezionisti, stampa), gli unici invitati all’inaugurazione. Non solo. Tanti dei collezionisti che comprano in fiera non visitano neanche la sede della galleria con cui hanno appena concluso un affare. Insomma, come per altri settori, al negozio al dettaglio si preferisce il centro commerciale.
E questo, come sottolinea sempre Thompson, per alcuni motivi ben precisi: la possibilità di trovare, riunite in uno stesso luogo, gallerie che normalmente si troverebbero ai quattro angoli del mondo; un’offerta ampia; la possibilità di poter scegliere tra opere diverse di uno stesso artista rappresentato da più gallerie; l’effetto rassicurante che ha l’osservare il comportamento degli altri collezionisti, in particolare quando si sta decidendo se acquistare o meno il lavoro di un artista di cui non si hanno abbastanza informazioni. Tutta una serie di vantaggi che sembra, peraltro, compensare il fatto che comprare in fiera è tutt’altro che agevole: la folla, il caos e le luci “sparate” non sono certo un buon viatico per l’acquisto ponderato e la contemplazione delle opere. Proprio per questo, come ho scritto qualche tempo fa parlando di come si organizza la visita ad una fiera, il collezionista arriva a questi appuntamenti con un itinerario ben preciso, sapendo già quali stand visitare prima di dedicarsi al resto dell’offerta.
Se un gallerista sa sfruttare bene le opportunità offerte dalla presenza in fiera, quindi, gli affari non mancano. Ed è un bene, visti gli alti costi di partecipazione. Non per nulla, anche in questo caso, infatti, i trucchetti non mancano, con i galleristi che mettono all’ingresso dello stand un paio di opere di assoluto pregio, spesso già vendute (contrassegnate, quindi, con il “bollino rosso”), solo per attirare i collezionisti all’interno. Ma si tratta solo di un piccolo peccato veniale, niente di che…
Tanti vantaggi, dunque, ma anche qualche rischio che è bene tener presente, come mettono in evidenza gli analisti di Skate’s, uno dei principali “osservatori” online sul mercato dell’arte: «Il forte posizionamento delle Fiere d’Arte ha avuto un impatto significativo sul giro d’affari delle gallerie, permettendogli di espandere la propria clientela, conoscere nuovi collezionisti e prendere buoni contatti. Partecipare è diventato, quindi, indispensabile per le gallerie. Anche la partecipazione alle Fiere, comunque, comporta alcuni rischi, in quanto non è garantito che le ingenti risorse investite per partecipare abbiano un ritorno, lasciando così la galleria a corto di liquidità per le altre attività. Per avere un affetto positivo sul sistema dell’arte nel suo complesso, le Fiere d’Arte dovrebbero posizionarsi come trend setter: luoghi dove monitorare i più importanti movimenti e sviluppi dell’arte per ciascun periodo e per ogni segmento di prezzo. Oggi c’è già un gruppo di fiere autorevoli in questo senso. Il crescente numero di nuove fiere è tale da portare ad una selezione naturale di quelle con la maggior reputazione, in ogni grande città e per ogni tipologia di arte, che alla fine consentirà uno sviluppo del potenziale economico ed educativo del settore».
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