Il diritto dell’arte si è trovato negli ultimi anni ad occuparsi di appropriazionismo in arte e dei problemi giuridici che esso comporta. L’appropriazione non è cosa nuova all’interno del mondo dell’arte: già Michelangelo sembra si sia ispirato ad un’opera precedente (secondo la biografia del Vasari, all’originale greco-romano conservata nella galleria Medicea ) nel realizzare la propria opera Testa di Fauno.
Celebre anche l’affermazione di Picasso sul fatto che “un bravo artista copia, un grande artista ruba” riferendosi probabilmente proprio alla pratica dell’appropriazione da parte dei cubisti di oggetti di uso comune.
L’appropriazione, in questo modo, assume il valore di gesto performativo, consistente nello scegliere un particolare oggetto e nel riarrangiarlo o ricontestualizzarlo. E’ la scelta dell’oggetto ad essere artistico, non l’oggetto in sé.
Tuttavia, quando l’appropriazione ha ad oggetto un’opera d’arte, protetta dal diritto d’autore, ci si domanda se la nuova opera costituisca un’opera d’arte – per così dire – “derivata”, che necessita di autorizzazione in quanto elaborazione dell’opera originaria o se invece si tratti di un’ipotesi di fair use, legittima in base al diritto d’autore.
La legge italiana sul diritto d’autore prevede, infatti, all’art. 18 quale diritto esclusivo di carattere patrimoniale il diritto di elaborare che “comprende tutte le forme di modificazione, elaborazione e di trasformazione dell’opera”. Sulla base di tale articolo, l’appropriazione di una precedente opera dovrebbe essere autorizzata dall’autore dell’opera originaria, salvo che rientri in una delle eccezioni espressamente previste dal diritto d’autore.
Inoltre, ci si chiede se tale alterazione della propria opera non possa ritenersi lesivo anche dei diritti morali di paternità ed integrità dell’artista dell’opera “appropriata”.
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