Le case d’asta si muovono generalmente all’interno del mercato secondario, nel quale le opere possono essere vendute a prezzi significativamente più alti rispetto a quanto avviene nel primario, soprattutto se l’operato dell’artista è stato nel frattempo rivalutato e valorizzato, o se l’opera è considerata particolarmente rara e con una chiara storia collezionistica.
Diventa quindi evidente come gli archivi, sebbene non possano avere un controllo diretto su come le case d’asta conducono le proprie vendite, possono esercitare su di esse un’influenza significativa.
Gli esperti, infatti, stimano il valore dell’opera basandosi su vari fattori come l’artista, la rarità dell’opera, la sua provenienza, la condizione conservativa e le precedenti vendite di opere simili.
L’asta diventa quindi ulteriore occasione di approfondimento, in cui le case d’asta spesso seguono le linee guida degli archivi, instaurando un rapporto di collaborazione, e svolgono ricerche che comportano anche vere e proprie responsabilità.
Basti pensare alla consultazione dell’Art Loss Registrer, un grande database che mappa tutte le opere trafugate o frutto di spoliazioni: prima di acquistare o accettare un’opera d’arte esso può essere consultato per verificare se l’opera è segnalata come rubata o smarrita, un passaggio cruciale per recuperare o prevenire la circolazione di opere rubate sul mercato legale.
Inoltre, grazie alla disponibilità documentale e alle precedenti attività di valorizzazione, l’archivio può fornire elementi a supporto di una stima iniziale dell’opera il più accurata possibile.
Infatti, se un archivio rifiuta di autenticare un’opera o manifesta dei dubbi, può influenzare il modo in cui il mercato la accoglierà, portando anche a possibili controversie legali. Inoltre, la chiusura o l’inattività di un archivio può creare incertezze nel mercato, poiché senza una chiara autorità di autenticazione, le case d’asta devono fare affidamento su altre fonti, il che può complicare le vendite.
Celebre è il caso del Warhol Authentication Board che ha cessato l’attività per proteggere la fondazione da continui rischi legali e finanziari legati a precedenti rifiuti di autenticazione, per poter concentrare le risorse sulle attività di valorizzazione.
Le sue certificazioni passate continuano a essere essenziali anche se da allora la fondazione non rilascia più nuove autentiche, lasciando al mercato il compito di determinare l’autenticità delle opere.
Nei casi in cui, poi, coesistono due realtà distinte interessate a tutelare gli interessi di un determinato artista e ugualmente riconosciute dal mercato, spesso le case d’asta preferiscono rivolgersi a entrambe per la documentazione necessaria, ad esempio una doppia autentica, per essere certi di preparare per i collezionisti un corredo documentale il più completo possibile.
Uno di questi casi interessa l’artista Mario Schifano, per il quale vi è più di una realtà dedicata. Infatti, la presenza di più archivi può talvolta creare delle difficoltà nel mercato dell’arte, soprattutto quando vi sono discrepanze nelle autentiche o nei criteri di valutazione delle opere.
Risulta quindi evidente che quando c’è una collaborazione stretta e di fiducia tra un archivio d’artista e una casa d’asta, entrambe le parti ne beneficiano: le case d’asta si affidano agli archivi per fornire trasparenza e prove a sostegno dell’autenticità delle opere agli acquirenti, mentre gli archivi possono mantenere il controllo sulla reputazione dell’artista e la circolazione delle sue opere.
Questo tipo di rapporto poi spesso porta al mantenimento o all’aumento del valore di mercato delle opere d’arte, a dimostrazione del fatto che, nonostante gli archivi non possano intervenire direttamente sull’operato delle case d’asta, possono comunque avere un impatto significativo sul modo in cui un’opera verrà percepita, valutata e quindi accolta dal mercato.