Fondata nel 2018, Art-Rite è una casa d’aste che negli ultimi anni ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel mercato italiano. Con un focus iniziale sull’arte moderna e contemporanea, ha ampliato progressivamente i suoi dipartimenti fino a entrare a far parte di un gruppo bancario, offrendo servizi innovativi come l’art lending. Abbiamo intervistato Attilio Meoli, amministratore delegato di Art-Rite, per ripercorrere la storia della casa d’aste, comprendere l’evoluzione del mercato e scoprire quali saranno le strategie future.
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Gino Fienga: Come nasce Art-Rite e qual è la sua visione?
Attilio Meoli: L’idea di Art-Rite prende forma alla fine del 2018, dopo un’altra esperienza imprenditoriale nel settore. Nel 2015 avevo infatti partecipato al rilancio di Finarte, acquisendo il marchio e ricoprendo il ruolo di amministratore delegato. Terminata quell’esperienza, ho voluto creare una casa d’aste più personale.
Guardandomi intorno, ho trovato disponibile il marchio Art-Rite, che trae origine da un’esperienza editoriale come fanzine, pubblicata a metà anni ‘70 da editori sulla scena newyorkese che ospitava artisti poi diventati celebri, come Andy Warhol e Lou Reed. Mi è sembrata un’ottima base per dare vita a un progetto che mantenesse un forte legame con l’arte, ma con un’identità nuova nel mercato delle aste. Così, nel 2018, ho fondato Art-Rite, partendo con un dipartimento di arte moderna e contemporanea, che ancora oggi è il nostro core business.
Nel tempo la casa d’aste è cresciuta e, nel 2023, siamo entrati a far parte di un gruppo bancario, un passaggio che ha portato nuove opportunità.
G.F.: Qual è stata la motivazione dietro l’ingresso nel gruppo bancario?
A.M.: L’opportunità è arrivata con il contatto diretto da parte dell’istituto di credito. Abbiamo condiviso una strategia e deciso di entrare nel gruppo. Questa scelta è stata anche un ritorno alle origini: negli anni ’80 e ’90 Finarte erogava credito garantito da opere d’arte, una pratica che all’epoca non era riservata solo agli istituti bancari.
Oggi, attraverso la nostra controllante Euro Capital, possiamo offrire art lending, ovvero prestiti garantiti da opere d’arte, secondo le normative attuali. In Italia siamo gli unici a farlo in modo strutturato, e il servizio è sempre più richiesto.
G.F.: Come è cambiato il collezionismo negli anni?
A.M.: Il collezionista ha sempre avuto un duplice approccio: da un lato la passione per l’arte, dall’altro l’attenzione all’investimento. Questo equilibrio non è cambiato radicalmente, ma si è ampliata la platea di chi considera l’arte anche come asset finanziario.
In passato il ricorso all’art lending era più circoscritto a collezionisti molto evoluti, oggi invece riceviamo quotidianamente richieste da un pubblico più ampio. Anche il digitale ha contribuito a cambiare le dinamiche, rendendo il mercato più accessibile.
G.F.: Come è stato il 2024 per il mercato delle aste?
A.M.: È stato un anno complesso, con una flessione generale. Grandi case come Christie’s e Sotheby’s hanno registrato segni negativi e anche in Italia non è stato un anno brillante. Tuttavia, ci siamo concentrati su nuovi sviluppi: a marzo si terrà la nostra prima asta di libri antichi, autografi e collezionismo cartaceo e stiamo lavorando a una nuova sede.
G.F.: Quali sono le prospettive per il 2025?
A.M.: Per il 2025 abbiamo in programma sette aste di arte moderna e contemporanea su un totale di circa venti aste nei vari dipartimenti. Continueremo a puntare sull’arte, ma vogliamo far crescere i dipartimenti di gioielli e luxury fashion, che stanno registrando un forte interesse.
L’arte antica è un altro settore che vogliamo valorizzare di più, andando un po’ in controtendenza rispetto al mercato.
G.F.: Oggi molte case d’asta si stanno diversificando anziché specializzarsi. È la strategia vincente?
A.M.: Per noi sì. Avere più dipartimenti ci permette di rispondere meglio alle esigenze dei collezionisti, che raramente si concentrano su un solo settore. Trovandoci davanti a una collezione diversificata, possiamo offrire un servizio più completo.
G.F.: Il digitale ha cambiato il rapporto con gli acquirenti?
A.M.: Sicuramente. Oggi la maggior parte delle transazioni avviene online, e noi abbiamo investito in una piattaforma proprietaria per gestire le aste. Tuttavia, manteniamo il banditore e la presenza in sala, perché l’esperienza dal vivo ha un valore unico.
L’online ha permesso di ampliare il mercato internazionale: oggi circa il 20% dei nostri acquirenti proviene dall’estero, soprattutto da Europa e Stati Uniti.
G.F.: Notate un cambio generazionale tra i collezionisti?
A.M.: Sì, c’è una crescita del collezionismo giovane, e per loro abbiamo creato format specifici. Con “4-U New Arte Contemporanea” per l’arte contemporanea e “U-3 Under 3k euros”, proponiamo opere sotto i 3.000 euro, rendendo più accessibile l’ingresso nel mercato.
G.F.: Il luxury potrebbe superare l’arte moderna e contemporanea?
A.M.: Non credo che la sostituirà, ma crescerà in parallelo. Al momento l’arte moderna e contemporanea rappresenta ancora il 50% del nostro fatturato, ma i dipartimenti di luxury e gioielli stanno crescendo rapidamente.
G.F.: Il collezionista di arte è lo stesso che compra luxury?
A.M.: Per ora no, sono mercati separati. Tuttavia, man mano che allarghiamo la base clienti, è probabile che emerga una sovrapposizione tra i due settori, in particolare tra gioielli e luxury fashion.
G.F.: Quale sarà la tendenza dominante nel mercato dell’arte nei prossimi anni?
A.M.: Il mercato dell’arte moderna e contemporanea resterà centrale, ma vediamo un forte sviluppo del settore luxury e una possibile riscoperta dell’arte antica. La nostra strategia per il futuro è ampliare l’offerta, mantenendo un forte legame con il collezionismo tradizionale.