Cà Giustinian, palazzo tardo-quattrocentesco affacciato sul Canal Grande e sede storica della Fondazione La Biennale di Venezia, non poteva risultare luogo più opportuno per ospitare il 5° incontro del ciclo Arte & Diritto dal titolo “Privati, Istituzioni e Imprese nell’Arte” organizzato dalla Camera Arbitrale veneziana e voluto tenacemente dalla Presidente Patrizia Chiampan per ribadire come la città sappia produrre non solo turismo, ma Arte, tanta e ad alto livello, e Diritto ad essa strettamente sempre più connesso.
La scommessa del micro-mecenatismo
Moderatore della giornata, l’Avvocato Fabio Moretti, che ha presentato come prima relatrice Franca Coin, Presidente di Venice Foundation e della Gipsoteca canoviana di Possagno, in prima linea da oltre vent’anni nella salvaguardia, nella promozione della città e del suo patrimonio culturale e artistico, con lo scopo di valorizzarlo per poi restaurarlo. Interventi che diventano possibili e riescono, se gestititi in sinergia tra pubblico e privato, che a Venezia significa Musei Civici, con 11 sedi espositive, e Statali con 5.
Un lavoro, ha spiegato Franca Coin, iniziato a metà anni ’90, – all’epoca Sindaco Massimo Cacciari e Assessore alla cultura Gianfranco Mossetto – che prevedeva una richiesta di aiuto al privato per sostenere il pubblico. In poco tempo e non a caso, erano sbarcati in Laguna prima gli Agnelli, poi Pinault e Prada. Svolta decisiva si rivelò la fine di una competizione “negativa” tra le due realtà, civica e statale. Oggi, nell’anno delle celebrazioni tintorettesche, le due mostre allestite al Ducale e all’Accademia ne sono un esempio azzeccato, arricchendosi e completandosi l’una con l’altra.
Importante, spiega Franca Coin, è agire con forme di “micro-mecenatismo”, dove anche piccole quote possono finanziare grandi progetti. Lavorare “a progetto” nella salvaguardia diventa fondamentale. Così è stato per il restauro dei 68 affreschi di Giandomenico Tiepolo ha ricordato ancora la relatrice, vincendo la diffidenza di chi è scettico di fronte al volontariato “pro-bono”, fine a se stesso, dove il ritorno è la felicità, frutto di una passione vera.
Lo stesso è stato per il restauro delle 7 stanze del Canova al Correr, per la trasformazione della Gipsoteca di Possagno da museo di campagna a sede di riferimento mondiale dove è possibile vedere riunita tutta la produzione in gesso dello scultore neoclassico, e ancora successo finale, riportare alla Frick Collection di New York il busto preparatorio in gesso di George Washington realizzato dal Canova prima della versione a grandezza naturale in marmo commissionatagli negli USA dall’allora Presidente Thomas Jefferson e che, ultimata dal maestro e svelata al pubblico nel 1821, andò distrutta da un incendio dieci anni dopo. Occasione unica di sinergia internazionale.
La passione per l’arte dei privati…
Anna Fantelli in rappresentanza della Fondazione Furla ha spiegato, invece, come l’azienda si sia focalizzata sull’arte contemporanea istituendo il “Premio Furla” che per 15 anni ha valorizzato i talenti emergenti e trasformato l’artista vincitore in “immagine di copertina”, offrendogli inoltre la possibilità di avere una mostra monografica a lui dedicata.
Oggi è un momento di riflessione e cambio di passo. Quindi si è deciso il sostegno dei giovani in sinergia con le istituzioni; ad esempio nel 2017 sono stati appoggiati 5 appuntamenti performance nel museo del Novecento di Milano, in simbiosi con gli artisti storicizzati già esposti. Nel 2018 invece alla Triennale si è puntato su un’artista coreana che lavora nel multi-sensoriale.
Ma cosa lega e cosa spinge un imprenditore all’arte? Sempre comunque passione e motivazione personale. Furla ama l’arte; come azienda che fa moda è legata alla creatività. Il suo intento è restituire qualcosa d’altro oltre il marchio. Le opere entrate nella collezione sono esposte nella sede Furla per “ispirare” i creativi, far guardare “oltre”, dove va la società con l’arte.
…e le opportunità offerte dall’Art Bonus
Debora Rossi, dirigente degli Affari Legali della Fondazione La Biennale di Venezia, ha portato invece la testimonianza dall’interno dell’istituzione artistica pluri-disciplinare internazionale più importante al mondo quale è la Biennale. Nella sua storia di 120 anni di attività la Fondazione può e deve operare in equilibrata sinergia tra pubblico e privato. Partendo dal presupposto che a differenza di quanto avviene, per esempio, negli USA, dove vengono offerti grossi incentivi fiscali ai privati che “aiutano” l’arte, in Italia solo dal 2014, grazie all’Art Bonus, si è visto finalmente un maggior coinvolgimento nelle pratiche di intervento a sostegno della cultura e belle arti da parte dei privati.
Il contributo può essere dato in forma di sponsorizzazione, che risulta deducibile, e può essere in denaro o tecnica attraverso beni e/o servizi; oppure come erogazione liberale che consente agevolazioni fiscali attraverso credito d’imposta.
La Biennale, come risulta dal bilancio 2017, ha visto entrate proprie al 56% ottenute attraverso biglietteria, abbonamenti, accrediti e contributi statali, mentre Art Bonus e sponsorizzazioni hanno inciso per ¼ delle entrate. Presupposto fondamentale resta la sua autonomia, nel senso che sia Sponsor che Donor hanno dei vincoli di ingerenza e mai possono interagire nelle scelte artistiche. Perciò la Biennale si muove tra norme di diritto e norme che si dà la stessa Fondazione.
Non possono subentrare operatori commerciali. Tutto ciò grazie a norme di autoregolamentazione. Ne sono una dimostrazione pratica, ha spiegato ancora Debora Rossi, i costi di trasporto che è la stessa Biennale a sostenere per la spedizione delle opere, evitando così che intervengano galleristi con finalità commerciali, nel caso della mostra d’arte.
Le mostre e le cautele nel presisto di opere d’arte
Alvise di Canossa è intervenuto in qualità di Presidente di Arteria, leader mondiale nel campo della logistica e conservazione. Dietro ad una mostra mondiale è curioso, c’è inizialmente un caffè; da lì può nascere un progetto, un tema, un filo logico che lega prestatori pubblici e grandi collezioni private. Obiettivo comune la divulgazione dell’artista e il coinvolgimento di un grande pubblico.
Considerando che una mostra presuppone circa un centinaio di opere, significa concretamente prevedere 200 movimenti. L’Italia è il paese che ovviamente, visto il suo patrimonio, presta di più al mondo e che riceve di più al mondo. Il numero economico che ruota attorno all’arte si aggira sui 12 miliardi di € di valore assicurato.
Però, ci tiene a sottolineare Alvise di Canossa, è fondamentale la cautela. Ad esempio il Giappone pagherebbe qualsiasi cifra per il prestito della Venere del Botticelli, ma, vista la delicatezza della superficie, per la sua salvaguardia, sarebbe stato possibile solo spostarla in una cassa verticale collocabile in un Antonov. Trasporto troppo rischioso che ne avrebbe compromesso la sicurezza.
Interessanti anche le sue valutazioni di fronte ai cambi di interessi e priorità nei passaggi generazionali; riscontrate le nuove dinamiche che rivelano disinteresse di queste ultime nel goderne, si può pensare a soluzioni conservative ad alto livello tecnologico per salvaguardare e valorizzare opere d’arte nel tempo con depositi a visibilità pubblica. E’ necessario improntare un back-stage della cultura che è in continua evoluzione e che necessita di avere alle spalle un’organizzazione per evitare altrimenti danni irreversibili.
Il collezionismo e il diritto dell’arte: tra arbitrato e mediazione
Come il collezionismo possa essere un arricchimento personale ma allo stesso tempo aperto agli altri lo ha spiegato Anna Melgrati portando l’esempio della collezione Giuseppe Iannaccone che in occasione di eventi d’arte contemporanea organizza mostre di giovani emergenti nei propri spazi o in partnership con le istituzioni, prestando la sua collezione che ha una finestra aperta sull’arte tra le due guerre, attualmente esposta a Londra all’Estorick Collection (fino al 23 dicembre).
Il suo intervento si è soffermato in particolare sugli aspetti legali inerenti alle questioni connesse all’arte, che difficilmente possono essere risolte dalla giustizia ordinaria che nel campo dell’arte non funziona. In questo caso arbitrato e mediazione sono guardati con maggior interesse, poiché spesso le transazioni coinvolgono soggetti internazionali, gli interessi sono forti, i temi, spesso ascrivibili all’autenticità delle opere, non sono di competenza prettamente giuridica e richiedono riservatezza e confidenzialità, perché infine, portando un’opera in tribunale e mettendola in discussione, la si compromette, qualsiasi sia l’esito.
Perciò l’arbitrato o la mediazione che garantiscono appunto riservatezza e tempi più rapidi, sono strumenti più opportuni e senz’altro auspicati a livello internazionale, di fronte alle lungaggini dei tribunali italiani.
Gli artisti l’art for charity
Singolare l’azione di “Do ut Do” associazione d’arte “pro bono” illustrata da Nicola Bedogni nata a Bologna per estendere la democraticità nel campo dell’arte: attraverso un progetto inizialmente di donazioni da parte degli stessi artisti coinvolti nell’offrire una loro opera che veniva messa all’asta, e grazie ai loro contatti, l’idea era quella dell’art for benefit. Prima madrina Yoko Ono che ha accolto l’invito con entusiasmo.
Poi però per evitare speculazioni si è deciso nel tempo di dirottare l’asta in una lotteria, assegnando un biglietto per ogni opera, così da mettere ogni artista sullo stesso piano. Gli artisti, donano l’opera pro-charity, ogni opera è bollata e non può essere immessa sul mercato.
Sono state allestite 4 mostre, al MADRE di Napoli, al MART di Rovereto, al MAXXI di Roma e alla Peggy Guggenheim di Venezia, accomunate dal non avere un filo conduttore “estetico” ma di essere in un certo senso DADA, in quando accumulazioni casuali, leitmotiv la donazione fine a se stessa.
Un incontro rivelatore di come l’arte non sia solo speculazione, interessi e mercato, ma come gli stessi relatori hanno svelato, abbia dietro di sé anche tanta passione, entusiasmo, e amore per il bello.