In quel di Prato esiste un esempio di collezionismo attivissimo che negli ultimi anni si sta dando molto da fare nella diffusione del contemporaneo. Conoscete di certo il suo promotore: è l’irrefrenabile Carlo Palli, che vive dentro al sistema arte da cinquant’anni. Gli ho fatto qualche domanda per capire le origini della sua storia. Curiosi di conoscere le risposte?
[infobox maintitle=”Identikit” subtitle=”Carlo Palli, Prato, 1938 – Attualmente collezionista. In passato gallerista, poi libero professionista come battitore d’asta.” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]
Alice Traforti: Ho letto un tuo racconto di come da ragazzo ti piaceva già collezionare francobolli e di come poi sei finito a lavorare nel mondo dell’arte con una lunga e meritevole carriera: direzione di 3 gallerie, collaborazione con 2 case d’asta e l’organizzazione di un vasto numero di mostre. Per chiudere il cerchio, infine, sei tornato a essere un collezionista. Il passo da addetto ai lavori a collezionista a volte è brevissimo, ma non è mai scontato. Ricordi precisamente quando hai scoperto il tuo animo di collezionista? C’è un episodio particolare che vuoi raccontarci?
Carlo Palli: «Da ragazzo mi piaceva collezionare francobolli di Italia, San Marino e Vaticano. In sintesi posso dire che l’arte è stata per me prima di tutto un mestiere, nel senso che in questo settore ho fatto praticamente di tutto. Ho infatti mosso i primi passi come mercante d’arte a Prato negli anni Sessanta; nel decennio successivo, e fino al ’79, ho gestito due gallerie stagionali, a Lido Degli Estensi in estate e a Roccaraso in inverno, dove mi occupavo di organizzare aste di opere d’arte. Nel 1979, invece, rilevai a Prato la Galleria Metastasio, che tenni fino al 1988. In quegli anni, fui presente alle più importanti fiere d’arte internazionali, ed essendo a così stretto contatto con l’arte contemporanea, avviai a muovermi nel mondo del collezionismo.
Quell’esperienza poi si concluse, perché entrai alla Farsettiarte come libero professionista e, mentre mi occupavo delle aste e dell’organizzazione delle mostre, mi lasciai sempre più trasportare dalla passione per il collezionismo, anche grazie ai tanti artisti che ho potuto conoscere di persona. Dopo la Farsettiarte ho diretto il dipartimento di Arte moderna e contemporanea della Finarte di Venezia fino al 2009, anno del mio pensionamento; da allora, mi occupo a tempo pieno del mio archivio, nato, come si vede, sulla scia della professione.
Oggi, mi diverto a dire che “i’ faccio o’ show!”, come cantava Renzo Arbore alla fine degli anni Ottanta. Mi piace inventare mostre con i materiali presenti nell’Archivio e con tutti gli artisti che frequentano le varie iniziative. Il piccolo formato di Vitamine, Viva Italia (che sta girando in tutta l’Europa dell’Est, rinnovandosi di museo in museo), i rinoceronti, i libri d’artista, le opere su carta, le gioconde, ecc … sono un’ottima occasione per stare insieme (anche organizzando gite per seguire le varie mostre sia in Italia che all’estero) e promuovere il Sistema dell’Arte Contemporanea che ho vissuto e vivo da cinquant’anni».
A.T.: Il contatto più intenso con il contemporaneo è avvenuto nei tuoi anni di gallerista, tra gli anni ’60 e ’80, e questo si rispecchia bene nel tuo Archivio che attraversa molte realtà e movimenti storici, come la Poesia Visiva, il Fluxus o il Nouveaux Réalisme, contenendo tanti nomi illustri dalla Pop Art, Arte Povera e Transavanguardia, nonché temi e tagli particolari, come la collezione di rinoceronti d’arte o quella di riviste d’epoca. Perché hai dato vita a un Archivio per le opere della tua collezione?
C.P.: «Più che una collezione, la mia è una raccolta dentro la quale esistono più collezioni. Comprende soprattutto “Poesia Visiva”, “Fluxus”, “Nouveau Rèalisme”, “Scuola di Pistoia” (Roberto Barni, Umberto Buscioni, Gianni Ruffi), “Musicisti fiorentini d’avanguardia” (Sylvano Bussotti, Giancarlo Cardini, Giuseppe Chiari, Pietro Grossi, Daniele Lombardi, Albert Mayr), “Architettura Radicale”. E ci sono anche opere di Arte Povera (Michelangelo Pistoletto, Alighiero), Hermann Nitsch (Azionismo Viennese), Toxic e Rammellzee (New Graffiti), Maurizio Nannucci, Massimo Nannucci, Paolo Masi, Antonio Catelani e Carlo Guaita (Zona, Base), Massimo Barzagli (anni Novanta), fotografia, libri d’artista e riviste d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta, documenti (cataloghi, libri, manifesti, foto, lettere, cartoline, inviti, ecc …) di tutti i titoli suddetti. Tengo a precisare che non sono un collezionista che guarda al valore economico della sua collezione, bensì un appassionato ricercatore nell’ambito delle discipline collezionate (come le Gioconde, i rinoceronti, i libri d’artista, le riviste d’avanguardie, le vitamine, gli strumenti musicali nell’arte contemporanea, il fascino dell’oggetto, ecc …). Per me un documento può valere assai più di un’opera».
A.T.: Che cosa significa avere la responsabilità e gestione di un Archivio così vasto e culturalmente importante?
C.P.: «Non significa nulla. È un luogo dinamico che cresce di giorno in giorno. È una raccolta viva, costituita da corpi e sottocorpi di cui individuo sempre nuovi volti. Poiché però non lo concepisco come un qualcosa di autoreferenziale, miro a diffondere fra il pubblico le varie collezioni della mia raccolta».
A.T.: Vorrei sapere cosa pensi dell’arte di oggi in qualità di addetto ai lavori…
C.P.: «In realtà non ho opinioni in merito e mi reputo estraneo a conversazioni del genere. Mi diverto solo a portare avanti le mie collezioni».
A.T.: Da collezionista rodato, invece, ti chiedo che cosa consiglieresti a chi decide di iniziare oggi una collezione. Vale ancora la pena di collezionare arte?
C.P.: «Non mi sento di consigliare niente a nessuno, in quanto il collezionismo è un istinto privato e soggettivo. Tutte le collezioni vanno bene e credo che ognuno sia libero nelle proprie scelte».
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Ci sono tanti modi di raccontare una storia. Oggi mi rendo conto che uno di questi consiste proprio nel non raccontarla affatto perché, a volte, puoi capire molto di più dal taciuto. In presenza di un’altissima testimonianza di collezionismo, la dichiarata assenza di opinioni sullo stato attuale delle cose può dirla lunga. Oppure no: può semplicemente essere solo quello che è scritto.
In questo caso, cari signori, credo che non aggiungerò nulla di più. Chi sono io per avere qualcosa da dire, con soli 35 anni sulle spalle?
Continuerò pazientemente a fare le mie indagini, e magari fra una trentina d’anni ne riparliamo. Che ne dite?