Ieri ha finalmente inaugurato la venticinquesima edizione di Artissima, la fiera torinese dedicata all’arte contemporanea.
Nata nel 1993 in una dimensione completamente differente e decisamente più provinciale, nei 25 anni della sua storia, Artissima ha fatto passi da gigante e si conferma oggi come il gioiellino delle fiere italiane, l’unica completamente dedicata al contemporaneo. Per questo suo venticinquesimo compleanno, quindi, c’è da farle i complimenti.
Ilaria Bonacossa, al suo secondo anno alla guida della fiera e affiancata dal suo team tutto al femminile, ha fatto un ottimo lavoro e non è forse esagerato dire che la sua si conferma una delle migliori direzioni dell’evento da sempre.
L’impressione è infatti ottima. La fiera è elegante, pulita, senza sbavature, di livello. Forse anche perché gli stand sono legati dal fil rouge di un tema comune – il tempo che, come cantava Mick Jagger, is on our side – la fiera snocciola i suoi stand uno dopo l’altro sotto gli occhi curiosi dei visitatori, piacevole da visitare e da fruire.
I lati positivi a cui Artissima ci ha abituati negli ultimi anni sono tutti confermati: l’attenzione all’aspetto internazionale, con presenza di gallerie e artisti provenienti da ogni parte del mondo, la capacità di guardare al futuro e ai nuovi talenti, come di rammemorare il passato e i grandi personaggi ormai storicizzati del contesto contemporaneo.
Ma, pur restando sostanzialmente fedele alla felice tradizione torinese, la presente edizione di Artissima non dimentica di esplorare territori nuovi, puntando a una evoluzione e a una crescita e sviluppando una crescente attenzione all’indotto sul territorio. Tante sono infatti le conferme, così come le nuove scoperte.
Difetti? Nella fiera in sé, quasi nessuno. Nel panorama che ne viene fuori, si nota purtroppo qualche mancanza sul fronte degli italiani emergenti (potrebbe esserci di più e di meglio?). Sarà però interessante tirare le fila alla fine di questi giorni torinesi.
Intanto, se si punta alla qualità e allo spessore culturale, sono da non perdere: lo stand di Franco Noero, con opere di Francesco Vezzoli, di cui si sta svolgendo la personale nella sede della galleria in Piazza Carignano, Jason Dodge e Jim Lambie; quello di Guido Costa, in larga parte dedicato alla recentemente scomparsa Chiara Fumai; le tradizionali imperdibili opere di Paolini, Cragg, Schutte e altri pilastri del contemporaneo italiano e internazionali da Tucci Russo, ma anche le opere tese tra empatia e storia dell’arte del passato di Francesco Barocco da Norma Mangione e i disegni di Raymond Pettibon da In Arco.
Ho amato molto i lavori di Paul Gees, Vadim Fishkin e la giovane Francesca Longhini (ecco, a proposito di giovani italiani in gamba, qui ci siamo!) da Loom Gallery, quelli di Silvia Baechli e di Marcello Maloberti da Raffaella Cortese, lo stand di Minini, ancora Paolini e Darren Almond da Artiaco.
Bello sarebbe organizzare un tour trasversale della fiera, alla ricerca dei vari stimolanti artisti cinesi e africani qua e là.
Interessante la galleria polacca Szydlowski, con uno stando monografico dedicato a Jan Bajtlik, artista che lavora sul mito greco, per la sezione disegni. Da segnalare in modo particolare, poi, la galleria A Gentil Carioca, di Rio de Janeiro, con il suo stand monografico dedicato a Vivian Caccuri, il cui lavoro si muove sul crinale della sperimentazione di colori e tessuti con la sound art.
E proprio al suono è dedicata la parte più innovativa e sperimentale di questa edizione di Artissima.
La sezione dedicata alla Sound art, ospitata alle OGR, è infatti imperdibile. Qui si offre una selezione di sedici gallerie italiane e straniere. Poche ma, come si dice, buone.
Le opere qui sono tutte interessanti e con un altissimo livello di sperimentazione, tra autori storicizzati come Charlemagne Palestine per LevyDeval di Brussels, Charles Stankievech per la canadese Unique Multiples (segnalo qui un lavoro eccezionale tra arte, musica e spazio a partire da un pezzo dei Velvet Underground. Uau!), fino al duo Void, per Massimodeluca, che ricalca su un supporto pietroso le impronte del territorio, per evocarne poi il suono segreto attraverso sorta di grammofoni di carta e legno. Una nota positiva, infine, Marzio Zorio e la sua biblioteca di suoni e testi, per la torinese Raffaella De Chirico.
Ma la novità è soprattutto questa: anche se la qualità dei lavori e degli allestimenti può trarre in inganno, quello alle OGR non è un evento espositivo, ma una sezione vera e propria della fiera. Va dato a Ilaria Bonacossa e al suo team il merito di aver voluto sperimentare in questo senso, osando e regalando ai torinesi un’esperienza artistica appagante, ma anche una parte della fiera decisamente nuova.
Non ricordo, infatti, di altre fiere italiane con una sezione interamente dedicata alla sound art e trovo la cosa molto interessante e innovativa.
Perciò, mi sono incuriosita e ho colto l’occasione per chiedere ad alcune gallerie presenti qualcosa sul collezionismo di sound art qui da noi in Italia. Mi interessava sapere se il collezionista di sound art sia un tipo particolare di collezionista o meno, quali gusti abbia, come si orienti in generale, nelle sue scelte. E soprattutto sapere se la sound art trova una risposta nel mercato o meno.
Il risultato della mia breve indagine dice che, mentre in Italia i collezionisti di sound art sono ancora pochi, prevalentemente istituzionali, o al più grandi mecenati, all’estero la sound art è considerata una tra le molteplici modalità espressive dell’arte contemporanea, così come il video, ma anche la pittura o la fotografia.
Il collezionista, mi racconta la gallerista di Toronto, acquista un’opera perché gli piace, indifferentemente dal linguaggio artistico utilizzato. In Italia invece, dicono gli interessati, c’è ancora diffidenza e, anche se alcuni puntano sulla sperimentazione in modo più convinto e con ottimi risultati, per altri pare che, da parte della loro clientela, ci sia ancora una maggiore attenzione all’aspetto decorativo dell’opera da acquistare – quasi che il fatto di potersi piacevolmente arredare il salotto funga un po’ da premio di consolazione in caso di investimento sbagliato. Tuttavia, il settore appare in crescita anche dalle nostre parti e la cosa è senz’altro degna di attenzione.
Artissima Sound non potrà, perciò, che costituire un incentivo anche per i collezionisti disposti a innamorarsi di questo genere artistico tanto promettente e affascinante.
Insomma, che dire di Artissima 2018? Sperimentazioni, conferme, un’elegante curatela, serietà e coraggio. Per non parlare dei progetti speciali, dei premi e dei vari talk che animeranno la fiera in questi giorni.
Niente male per una fiera per una fiera giunta al suo venticinquesimo anno, e che già nel comunicato stampa rivendica con orgoglio il suo positivo impatto sulla città di Torino, non soltanto dal punto di vista artistico e culturale, ma anche in termini economici e sociali.
Se volete verificare con i vostri occhi, avete tempo fino a domenica.