I contemporary art addicted italiani probabilmente ricorderanno il duo Allora&Calzadilla come rappresentante gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2011, ove gli artisti presentarono, tra l’altro, l’installazione Track and Field: un (vero) carro armato capovolto su cui era posizionato un tapis roulant da allenamento podistico, con un atleta in maglietta con la scritta USA che, correndo, metteva in moto i cingoli del carro. O forse avranno visitato nel 2013 la prima grande personale tenuta in Italia dal duo a Milano, Palazzo Cusani, per la Fondazione Trussardi. Qualcuno si sarà poi trovato ad assistere a In the midst of things (di cui chi scrive è stato uno degli interpreti), performance replicata quasi 160 volte alla Biennale di Venezia del 2015 come “progetto speciale”. In quest’ultimo lavoro — interamente basato su un brano musicale a otto voci appositamente scritto dal compositore Gene Coleman su indicazioni degli artisti — il gruppo dei cantanti, come una scultura in movimento, in un alternarsi di “espansioni” e “implosioni” attraversava varie fasi di una ipotetica Creazione, ricompattandosi nel finale e percorrendo lentamente all’indietro un lunghissimo corridoio delle Corderie dell’Arsenale. Il corale che concludeva la performance era in realtà il finale dell’oratorio di Haydn The Creation (dal cui libretto erano tratti i testi di tutto il brano) “voltato al contrario” — non semplicemente per moto retrogrado e con parole palindrome: il compositore aveva trascritto fedelmente (con tanto di distorsioni) una registrazione discografica realmente letta al contrario.
Jennifer Allora (Philadelphia, 1974) e Guillermo Calzadilla (L’Avana, 1971) lavorano insieme dal 1995, dopo l’incontro a Firenze ove entrambi si trovavano per studio, e risiedono a San Juan di Puerto Rico. Fin dall’inizio della loro collaborazione hanno utilizzato diversi media: dalla scultura alla fotografia, dalla performance al video. Oltre che alla Biennale di Venezia hanno partecipato a dOCUMENTA (13) nel 2012 e a diverse edizioni delle Biennali di Lione, Gwangju e São Paulo; numerose le mostre personali e collettive presso gallerie e musei di tutto il mondo. Ora è il MAXXI di Roma a dedicare (fino al 30 maggio) una personale dal titolo Blackout — a cura di Hou Hanru e Anne Palopoli — a questo duo dalla poetica peculiare e complessa.
Nelle opere di Allora&Calzadilla il nucleo concettuale trova espressione in azioni o oggetti costruiti sulla base di metafore e analogie sorprendenti, slittamenti di senso e sovvertimento di funzioni, che danno luogo non di rado a risultati paradossali e sconcertanti. Ma le apparenti aporie rappresentate nell’opera fanno spesso riferimento a precise situazioni politiche o sociali, dando vita a una forma di protesta in cui convivono leggerezza e complessità. Il risultato — che vuole essere una sfida alla riflessione su argomenti chiave del nostro presente — è in realtà molto più immediato di quanto la descrizione dei loro lavori possa rendere. «Ci piace il potenziale di trasformazione contenuto nello humor, ci piace che un’opera possa influenzare fisiologicamente così tanto lo spettatore da produrre un’esplosione all’interno del suo corpo in forma di risata», hanno dichiarato gli artisti a Hans Ulrich Obrist in un’intervista del 2007; e in un’altra intervista dello stesso anno: «Siamo interessati a questo tipo di dimensione “politica” nell’arte, che intende l’attivismo come affermazione della vita».
Al MAXXI viene presentato un corpus di lavori legati a due temi centrali, e tra loro interconnessi, nella ricerca di Allora&Calzadilla: l’energia — cardine metaforico di una critica dei rapporti di potere, con una naturale declinazione in chiave ambientalista — e il paradosso politico rappresentato da Puerto Rico, territorio statunitense ma ufficialmente “non incorporato” negli U.S.A., contraddizione in termini sancita da una sentenza della Corte Suprema del 1901, che aprì le porte a uno sfruttamento colonialistico dell’isola.
Il percorso della mostra si apre quindi con Petrified petrol pump (2012) — una pompa di benzina “fossile”, possibile reperto in un futuro imprevedibile (o forse fin troppo prevedibile) — e prosegue con Solar catastrophe (2016): un trittico astratto realizzato con frammenti di pannello fotovoltaico incollati su tela. L’esposizione comprende anche cinque video, tutti legati a Puerto Rico. Tra questi, Returning a sound (2004) in cui un motociclista, con una tromba collegata al tubo di scappamento che emette note di altezza diversa a seconda dell’acceleratore, percorre le strade di Vieques — isola prospiciente Puerto Rico ove era installata una base navale americana usata per test militari, chiusa dopo una campagna di protesta — in una sorta di “rito di riappropriazione” del territorio. In Under discussion (2005) vi è invece un “tavolo di discussione” — nel senso letterale del termine — capovolto e utilizzato come imbarcazione per circumnavigare la stessa Vieques. The Bell, The Digger, and the Tropical Pharmacy (2013) mostra invece la demolizione di un ex stabilimento farmaceutico a Cidra — chiuso dopo un incidente contaminante — ad opera di una scavatrice armata di una grande (e risonante) campana di ghisa al posto della sfera demolitrice.
(Segnalo anche che un ulteriore video di Allora&Calzadilla, a mio parere straordinario, The Great Silence, è parte di un’altra mostra in corso al MAXXI: Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein, aperta fino al 29 aprile).
Il centro “geometrico” del percorso espositivo è costituito da una grande scultura in ferro, rame e ceramica, che ingloba i resti di un trasformatore elettrico esploso, parte del gigantesco blackout avvenuto nel 2016 in tutta Puerto Rico. Blackout è appunto il titolo dell’opera, a sua volta fulcro di una performance presentata per la prima volta nel settembre dell’anno passato alla Lisson Gallery di Londra, e qui riproposta in una nuova versione. La scultura emette un rumore di fondo costante, ovvero la frequenza fondamentale di un trasformatore elettrico, che diventa base armonica di una partitura musicale/rumoristica del compositore americano David Lang, dal titolo Mains hum, per gruppo vocale. Chi scrive è ancora una volta interprete con l’ensemble VoxNova Italia diretto da Nicholas Isherwood, come già alla Biennale di Venezia del 2015. Appunti da un diario di lavorazione, per raccontare “dall’interno” la costruzione della performance, costituiranno un prossimo articolo. Della performance sono previste 28 repliche distribuite in otto weekend all’interno del periodo di mostra (ultima data utile: 27 maggio).