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Collezione Taurisano: continuità e sostenibilità dell’arte contemporanea

del

La telefonata con Sveva D’Antonio è stata particolarmente gradevole, complice forse il fatto di essere nate nella stessa decade e di avere una visione inaspettatamente allineata. Abbiamo spaziato molto negli argomenti e la conversazione è stata per certi versi liberatoria, ma ovviamente non vi possiamo raccontare proprio tutto.

Qui parliamo di collezionismo e oggi ci dedichiamo quasi esclusivamente alla Collezione Taurisano di Napoli, che gode di rinnovato vigore grazie allo spirito che Sveva e Francesco Taurisano continuano ad alimentare, instaurando un dialogo costante tra passato e presente che tende inevitabilmente al futuro.

Ecco quindi le motivazioni, la visione e l’attività della Collezione Taurisano, con un po’ di storia e un’anteprima del prossimo attesissimo appuntamento.

 

Alice Traforti: Cara Sveva, come hai cominciato a interessarti all’arte contemporanea?

 

Sveva D’Antonio: «Avrò avuto una decina d’anni e mia madre, ogni prima domenica del mese, mi portava a visitare un museo diverso, nella mia bellissima Napoli, con il gruppo degli Amici dei Musei dei Ragazzi. Proprio in quegli anni è nata la mia passione per l’arte a 360°. Negli anni dell’università invece ho scoperto l’arte contemporanea, che poi ho coltivato andando autonomamente nelle gallerie, e che ho approfondito con la frequentazione di mio marito».

Saskia Te Nicklin, Five heads or masks executed while thinking of James Ensor, 2019, Wood glue, marker pen and graphite stick, aluminum tape and silicone, aluminum, plexiglass, 80x60cm

 

A.T.: Insieme a Francesco Taurisano portate avanti quella che era la collezione di famiglia dei suoi genitori. Con che spirito proseguite questa raccolta e qual è il vostro valore aggiunto?  In altre parole: che cosa vi piace collezionare?

 

S.D’A.: «Crediamo fortemente che il dialogo fra le opere storiche e quelle attuali sia necessario per dare una continuità alla collezione e mantenere un livello di contenuto e di formalizzazione di qualità.

Quando abbiamo deciso di iniziare a collezionare di nuovo abbiamo scelto di focalizzarci sugli artisti della nostra generazione con cui avremmo potuto avere un rapporto umano, oltre che legato all’acquisto dell’opera. Gli artisti che ci piace collezionare sono attenti a ciò che succede al di fuori del mondo dell’arte, riescono tramite il lavoro a farci sognare mondi alternativi, raccontandoci l’attualità in maniera profonda.

Non abbiamo restrizioni riguardo il medium, ma se dobbiamo essere sinceri ultimamente prediligiamo la pittura e il colore. Ogni scelta in realtà è sempre molto emotiva e dettata in gran parte dallo stato d’animo del momento. Siamo collezionisti di pancia, collezioniamo con i nostri occhi e cerchiamo di non farci influenzare dai trend passeggeri».

Adelita Husni-Bey, The reading / La Seduta, 2017, single channel 4K video installation, 7.1 Dolby surround, with silicone props, 15:33” on loop

 

A.T.: Siete molto attivi sul fronte internazionale, tra talks, partecipazioni e collaborazioni con enti pubblici e privati. Volevo chiedervi qual è secondo voi il ruolo del collezionista contemporaneo?

 

S.D’A.: «Essere collezionista oggi è una grande responsabilità. In mancanza di un apparato pubblico che sostiene l’arte italiana, le collezioni private si trovano spesso a sostituirsi ai musei. Questo sicuramente vale per i collezionisti più illuminati, che non concepiscono il collezionare come mero accumulo di artefatti, ma sono attenti al processo artistico nel suo divenire».

Jota Castro,China, 2006, shoes, cm 90 x 360

 

A.T.: C’è qualche progetto particolare che vuoi raccontarci?

 

S.D’A.: «Sono felice di presentarvi in anteprima il nostro primo premio di acquisizione con la fiera di Art-O-Rama di Marsiglia dal titolo “BECAUSE OF MANY SUNS”. Nella sua prima edizione il premio ha come obiettivo quello di supportare l’arte emergente che riflette in maniera profonda sulla nostra società contemporanea. Trovandoci in tempi molto incerti di trasformazioni sociali e condizioni politiche che spesso spingono alla divisione, l’arte può risvegliare la società innescando un dialogo fra le persone e fornendo gli strumenti per immaginare nuovi modi di abitare il pianeta.

Non ci sono restrizioni sul medium utilizzato, ma ci si concentrerà sugli artisti che lavorano da non più di dieci anni con un messaggio sociale e politico forte.

La giuria del premio è composta da noi e dalla curatrice del premio Carolina Ciuti.

Insieme all’acquisizione dell’opera (circa 5,000 €) commissioneremo ad un curatore un testo critico sulla pratica dell’artista vincitore.

Il titolo del premio “BECAUSE OF MANY SUNS” è un’opera donataci dal collettivo rumeno Apparatus22. Nel titolo è racchiuso il significato profondo del premio inteso come un raggio di sole che nutre la giovane arte e che nello stesso tempo chiede a gran voce la costruzione di un ambiente più sostenibile per le arti».

Trey Abdella, Ironing Things Out, 2019, acrylic on canvas / acrilico su tela, 107 × 173 cm

 

A.T.: Sveva, dal 2016 sei partner della Galleria Laveronica di Modica (RG – Sicilia). Che influenza ha avuto questa duplice condizione nel tuo modo di vivere l’arte da collezionista e da gallerista?

 

S.D’A.: «L’una ha nutrito l’altra. Il mio essere gallerista mi ha permesso di entrare velocemente nelle dinamiche del sistema dell’arte, mi ha dato gli strumenti per comprendere le regole non scritte che lo regolano.

Come collezionista quindi mi sono subito imposta un codice etico, da rispettare insieme a mio marito, che ci ha portato ad avere relazioni durature sia con gli artisti che con i galleristi».

Marinella Senatore, GIVE YOUR DAUGHTERS DIFFICULT NAMES 2018, light installation

 

A.T.: Mi hai raccontato che siete spesso a New York per respirare un po’ le nuove tendenze e i fenomeni a venire, ma anche per assecondare liberamente il vostro gusto di collezionisti. Come vivete questo controsenso tra la comune realtà dei fatti e le manovre a tavolino di un’élite del sistema dell’arte?

 

S.D’A.: «Il sistema dell’arte sta vivendo già da un po’ una grave crisi dovuta tra le altre cose alle forti disuguaglianze economiche che viviamo nella società reale. Queste disuguaglianze favoriscono un aumento dei prezzi delle opere non giustificato per artisti spesso molto giovani e con poca esperienza, che però in breve tempo raggiungono un successo di breve durata.

Noi non vogliamo promuovere questo tipo di arte che si consuma velocemente e di cui non ci si ricorda più, vogliamo collezionare un’arte che ci sopravvive e che ci fa sentire giovani sempre.

Per questo cerchiamo di supportare artisti la cui pratica si evolve lentamente nel tempo e rimane stabile, lasciando una traccia significativa del suo passaggio in mostre e nelle collezioni dei musei del mondo».

Apparatus22, To Summon New Horizons… Installation (2019), 
white neon, red neon, black vinyl

 

A.T.: Parlando sempre di luoghi, so che siete affezionati ad alcune località. Quali altre vorresti visitare o in quali vorresti ritornare appena sarà possibile spostarsi di nuovo, dopo l’emergenza sanitaria globale da Covid-19?

 

S.D’A.: «Abbiamo diversi posti del cuore legati all’arte. Uno fra tutti il Louisiana Museum di Copenaghen. Da sempre rappresenta per noi un luogo dell’anima, un momento di godimento dell’arte sospeso, eterno.

Il Louisiana si trova un po’ fuori Copenaghen, si deve prendere un trenino per arrivarci. E già il viaggio in treno rallenta tutto, ti fa entrare in una condizione di sospensione del pensiero, ti permette di guardare veramente alle opere e alla natura insieme con un senso aumentato del tutto.

Quando si arriva, il museo ha una struttura architettonica completamente in armonia con la natura che lo circonda, con il prato verde e l’acqua che si apre davanti ai nostri occhi alla fine della visita della mostra.

Lì si vive il museo come esperienza totale di gioco, di apprendimento, di bellezza e di sogno. Vorremmo tornare lì il prima possibile».

Jana Schröder, Kadlites M8, 2017, graphite and acrylic on canvas / grafite e acrilico su tela, 200 × 160 cm

 

A.T.: Che cosa sogni per il futuro dell’arte contemporanea, soprattutto ora che un cambiamento sembra necessariamente prospettarsi all’orizzonte?

 

S.D’A.: «Che le priorità cambino: che gli artisti vengano messi al centro del sistema, che il mercato non sia padrone e sovrano, ma si cerchi di creare momenti di ricerca con curatori e musei.

Che i musei commissionino progetti agli artisti e che li paghino, che si garantisca una maggiore stabilità economica a tanti operatori della cultura, ora più che mai precari.

Ci auspichiamo un futuro diverso più sostenibile per tutti perché l’arte deve continuare a far parte della nostra vita, anzi, deve esserne la parte migliore!».

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