Questa è la stagione degli anemoni, i miei fiori preferiti (meravigliosi nel colore blu violaceo), così mi capita spesso in questo periodo dell’anno di cercarli istintivamente con gli occhi nelle vetrine dei negozi di fiori. L’altro giorno mi aggiravo nei pressi di uno dei fioristi più capaci (a mio parere) di Milano, così mi sono avvicinata per sbirciare se per caso avesse esposta questa varietà. Non ce ne era traccia, ma il mio occhio è stato ugualmente appagato: facevano infatti capolino in vetrina squisite composizioni floreali, equilibrate nell’accostamento dei colori e delle varietà autunnali dei fiori e delle erbe.
Una volta compiaciuto il lato estetico, è entrata in gioco la mia deformazione professionale e mi sono chiesta se un mazzo di fiori potesse o meno essere astrattamente proteggibile dalla Legge Autore. Mi sono così ricordata dell’esistenza di una vecchia sentenza, che mi sono affrettata a reperire. Si tratta della pronuncia del 23 gennaio 1967 del Tribunale di Milano, la prima e (a quanto mi consta) unica sentenza italiana che si sia occupata di questa questione, e che ha dato – in via generale – risposta affermativa alla mia domanda.
In realtà, essa ha più precisamente accordato tutela alle opere di Ikebana, cioè alle “composizioni figurative di fiori, piante, parti di piante, minerali secondo formule costituenti, nella cultura giapponese, regole di un linguaggio in continua evoluzione, mediante le quali l’autore dà forma sensibile alla propria intuizione”.
Si tratta dunque forse di qualcosa di più di un mazzo di fiori, e andrà dunque di volta in volta stabilita la sussistenza del requisito dell’originalità richiesto dalla legge ai fini della tutela, tenendo comunque conto che la giurisprudenza è orientata ad affermare che sia sufficiente un livello “basso”, e che il diritto d’autore proteggerebbe idee e nozioni “semplici”, essendo il requisito soddisfatto ogniqualvolta l’autore abbia operato una scelta discrezionale all’interno di un numero sufficientemente ampio di varianti con cui esprimere una certa idea.
In linea generale, il Tribunale ha comunque affermato che una composizione floreale può rientrare nella tutela autorale, equiparandola a una scultura ai sensi dell’art. 2 n. 4 Legge Autore, che appunto tutela “le opere della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari”.
La sentenza mi è parsa di particolare interesse anche là dove ha espresso un altro principio: quello cioè secondo cui è irrilevante ai fini della protezione “la caducità di taluni materiali compositivi”, i fiori tagliati: come la dottrina ha rilevato infatti “la materia rimane estranea alla protezione … appunto perché la creazione artistica non cade sul soggetto, ma sull’espressione, ed è in questa espressione che si rileva la sua individualità” (Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, citato nella nota a commento della sentenza). Sul punto si potrebbero sprecare fiumi di inchiostro: non è questa la sede per farlo e risparmio così ai lettori elucubrazioni in merito.
La mente di chi sta scrivendo ha vagato ancora e si è ricordata dell’opera esposta qualche mese fa alla mostra Sanguine. Luc Tuymans on Baroque (Fondazione Prada, 18 ottobre 2018 – 25 febbraio 2019): mi riferisco alla prima opera che si incontrava durante il percorso espositivo, vale a dire un grande vaso colmo di dieci tipologie di fiori bianchi freschi. Come si è già capito, quello non era un mazzo di fiori messo lì per dare il benvenuto ai visitatori, ma Bouquet IX (2012), opera dell’artista belga Willem de Rooij, che, come si leggeva nella relativa didascalia, voleva alludere al ruolo dell’Olanda nel mercato internazionale dei fiori e alle nature morte fiamminghe.
La didascalia descriveva l’opera come una “composizione floreale sferica, 10 diversi tipi di fiori bianchi, vaso di ceramica bianca, plinto. Interpretato dalla fioreria di Gigi, Milano” e proseguiva spiegando che la serie di Bouquet iniziata da de Rooij nel 2012, definite espressamente “sculture”, “consistono in testi descrittivi contenenti una lista di fiori”, “la cui realizzazione implica il coinvolgimento di un fiorista nella sua interpretazione”.
Se l’opera sia o meno interessante dal punto di vista del critico d’arte non lo saprei dire. Di certo a mio parere lo è dal punto di vista giuridico. Viene infatti spontaneo chiedersi non solo se essa possa essere protetta dal diritto d’autore, ma esattamente in che cosa consista l’oggetto della tutela.
Ovviamente, il mazzo di fiori freschi che era esposto mesi fa alla Fondazione Prada non esiste più. Come ci ha insegnato però la sentenza del Tribunale di Milano, la caducità dei materiali con cui è composta l’opera non è di ostacolo alla protezione tramite diritto d’autore.
Si pensi ad esempio alle sculture in cera di Urs Fischer, destinata a venir meno in pochi giorni, o alla statua di ghiaccio di Ercole realizzata da Michelangelo nel gennaio del 1494 nel cortile di Palazzo de’ Medici a Firenze. Si parla per questa tipologia di opere di “arte effimera”, definita come “Forma espressiva, elaborato creativo, performance, evento di breve durata esecutiva ed espositiva” (questa la definizione che ho trovato sul sito web Museo delle Arti Effimere di Noto; sull’arte effimera da un punto di vista giuridico, cfr. A. Donati, in La tutela giuridica dell’identità e dell’integrità dell’opera d’arte contemporanea, in Contratto e impresa/Europa, 2017).
Come scritto anche nella didascalia, l’opera Bouquet IX non consiste di per se stessa tuttavia nel mazzo di fiori, ma nel “testo descrittivo contente una lista di fiori”, la cui concreta realizzazione implica il coinvolgimento di un fiorista.
Direi quindi (ma il condizionale è obbligatorio) che un’opera come questa può inserirsi in quella che la dottrina ha definito “opere-istruzioni”, “opere documento”, e, più in generale opere “a carattere contrattuale”, in cui “l’opera non viene materializzata nell’oggetto, ma nel certificato, ove l’artista esprime l’idea attraverso le istruzioni per la sua materiale realizzazione a cura e per atto dell’utente e al rispetto delle quali è condizionato il requisito dell’autenticità” (così A. Donati, La tutela giuridica dell’identità e dell’integrità dell’opera d’arte contemporanea, cit.).
Quando un collezionista compera un’opera del genere, non compra l’installazione materiale, ma il documento contenente le istruzioni per la sua realizzazione. Nel caso dell’opera esposta presso la Fondazione Prada, la Galerie Buchholz, proprietaria dell’opera, ha dunque dato in prestito il testo descrittivo contenente la lista di fiori, che La fioreria di Gigi ha composto/installato.
Se l’opera dunque consiste in un certificato, in un contratto in cui l’artista esprime un’idea, la protezione tramite diritto d’autore mi sembrerebbe piuttosto difficile da poter affermare: come sappiamo infatti (cfr. Le idee e il diritto d’autore. Ibrahim Mahama vs. Christo), il diritto d’autore non protegge le idee. Ma anche a voler dire che una protezione autorale sia ammissibile, come sarebbe possibile stabilire quando un’altra opera costituisca o meno contraffazione: vale a dire, potrei esporre in una galleria un mazzo composto dalla stessa tipologia di fiori bianchi?