L’appuntamento con l’arte del gioco domenica 4 maggio dove Sigalot costruirà un Colosseo nel porto di Napoli
Daniele Sigalot, arista romano classe ’76, famoso per il suo sapersi muovere nell’ambiguità dei materiali, come l’alluminio che lui plasma e trasforma in opere d’arte, torna a Napoli domenica 4 maggio. La città di Partenope è stata per lui, per quattro anni, fonte continua di ispirazione ed è stato il luogo dove ha creato il suo studio “La Pizzeria” nel quartiere di Monte di Dio, alle spalle di Palazzo Reale nel cuore pulsante della città: dove si respira vita tra i vicoli delle sue strade e dove il vento porta l’odore del mare, che ritroviamo anche in alcune sue opere.
Oggi ha uno studio a Roma, sua città natale, ma il legame con la città del sole è rimasto molto forte: lo studio di Roma, un bellissimo loft nel quartiere Ostiense, porta ancora lo stesso nome “La Pizzeria” di quello partenopeo.
E, proprio a Napoli, Sigalot ha scelto di tornare per l’edizione 2025 della Coppa Pizzeria: il torneo di calcio più assurdo che si sia mai visto e che quest’anno si giocherà in una location davvero d’eccezione: un Colosseo alto più di 60 metri, costruito all’interno del porto di Napoli.

Tiziana Morgese: Daniele, come nasce l’idea della Coppa Pizzeria e come farà a costruire un Colosseo all’interno di un porto?
Daniele Sigalot: La Coppa Pizzeria nasce nel 2011 a Berlino, città dove ho vissuto per 10 anni; apparentemente è un torneo di calcio 2 contro 2, giocato in posti strani e con regole ancora più bizzarre. In realtà è una grande scusa per alimentare l’amicizia tra un gruppo di persone, che ogni anno cresce sempre di più e che, edizione dopo edizione, è diventata una piccola tribù. Mi piace ripetere che la Coppa è “un grande gesto collettivo” perché la mia parte è quella di creare un contenitore, ma poi la bellezza e la potente assurdità di questo torneo la fanno le persone che quel contenitore lo riempiono.
Ed i talenti, che vi partecipano, sono tantissimi e davvero poliedrici. L’anno scorso, per esempio, abbiamo letteralmente riempito la piscina vuota del Kursaal, l’iconico stabilimento di Ostia Lido tanto amato da Fellini, con 250 selezionatissimi idioti, ed il risultato è stato meravigliosamente imprevedibile. Quest’anno, invece, come teatro per le nostre partite abbiamo scelto l’arena per eccellenza, il Colosseo. Ma siccome non siamo ancora abbastanza potenti per giocarla in quello vero, abbiamo deciso di costruirne uno tutto nostro, e lo faremo utilizzando 250 container di un deposito adiacente al porto di Napoli.
Un Colosseo di 63 metri di larghezza e alto 15, che esisterà a Napoli solo per 48 ore, visto che finita la Coppa verrà smantellato. Si tratta, a tutti gli effetti, di un Colosseo effimero, e trovo personalmente molto romantica l’idea di costruire qualcosa di così grande e di così complesso, per poi smontarla il giorno dopo. Insomma costruiremo un vero e proprio monumento al nulla”.
T.M.: Lei è famoso per realizzare opere d’arte con l’alluminio, che trasforma completamente, lo utilizzerà anche per realizzare il Colosseo del pallone?
D.S.: Il Colosseo che costruiremo, ed il plurale è davvero un obbligo, sarà realizzato utilizzando 250 container. I container saranno i nostri tasselli della Lego, e il Colosseo sarà lo stadio che costruiremo con questi tasselli, sotto la zelante supervisione di Antonello Colaps che, oltre ad essere il direttore artistico di questa edizione della Coppa Pizzeria, è colui che ha disegnato il progetto del nostro Colosseo effimero. In buona sostanza siamo cresciuti noi, ed è cresciuta la dimensione dei tasselli, ma alla fine della fiera non stiamo facendo altro che continuare, ancora, a giocare.
T.M.: Esattamente un anno fa, la sua opera “Master of Mistakes” è stata installata all’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, accanto alle vetrate di Giotto e all’iconico Uomo Vitruviano in legno di Ceroli. Che effetto fa vedere la sua opera in bella mostra ogni volta che viaggia o che passa da Fiumicino?
D.S.: Non potrei essere più felice di avere un’opera per me così importante, che prima di trovare casa nel Terminal 1 di Fiumicino è stata esposta alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna della mia città. Mi diverte molto ricevere le foto di tutti gli amici che partono davanti alla “palla”. Ho una cartella dove colleziono tutte queste foto, e non escludo un giorno di farne qualcosa di creativo.
Quanto all’opera, Master of Mistakes, è molto semplicemente il mio tentativo di vedere se mettendo insieme tutte le cattive idee che ho avuto, tutti quei fogli che invece di portare un’intuizione sono finiti nel cestino, la loro somma non li trasformava in qualcosa di buono. Così come il metallo diventa carta, in questa scultura, di 3 metri e 700kg, gli errori diventano opera, emancipandosi dalla loro natura di sbagli.
T.M.: Se a sbagliare così si crea arte, c’è da rivedere, allora, il concetto di errore. Lei però non è nuovo alle installazioni in aeroporto: durante la pandemia è stato l’unico artista a non aver chiuso la sua mostra a Milano Malpensa.
D.S.: Esatto, la mostra “Un ritratto di chiunque, ovunque” essendo stata installata poco prima del lockdown all’ingresso dell’aeroporto di Milano Malpensa, durante la pandemia è stata forse l’unica mostra aperta al pubblico visto che l’aeroporto non ha mai chiuso. La mostra consisteva in 12 grandi lastre di acciaio lucido sulle quali erano incise le topografie di 12 città dei 5 continenti. A chi vi si specchiava veniva restituita un’immagine di sé completamente stravolta e rielaborata dalla mappa della città.
Un lavoro che nasce da uno spunto molto autobiografico: avendo vissuto in 8 città europee, avevo notato che non ero solo io a cambiare città, ma erano anche le città dove vivevo a cambiare me. E questa riflessione vale per tutti. Siamo chi siamo in virtù dei posti dove nasciamo e cresciamo. Volendo tradurre questo pensiero in un’opera la cosa più semplice che mi è venuta in mente è stata quella di sovrapporre la mappa di una città ad una superficie riflettente, e l’immagine quasi astratta che si crea dalla somma dei lineamenti e dalle strade di una città è esattamente ciò che speravo di ottenere.

T.M.: Il metallo torna sempre in quasi tutte le sue opere e le sue sculture, come si plasma questa materia apparentemente così fredda e dove lo reperisce?
D.S.: Nel caso dell’alluminio la lavorazione si fa a mano, usando delle dime e delle leve. Per l’acciaio invece il discorso è completamente diverso, in quel caso c’è bisogno di avere il supporto di una fabbrica metalmeccanica. Io ho avuto la fortuna di collaborare con WEM Gallery, che è una realtà davvero unica, visto che si tratta di uno spazio espositivo di 500 mq all’interno di una fabbrica attiva. Quindi tutte le mie installazioni in acciaio sono state prodotte all’interno della fabbrica dove appunto è nata la Galleria.
T.M.: Sua anche l’opera, del 2021, “ Enough”: il conto alla rovescia che dovrà durare mille anni, spazio e tempo si rincorrono da sempre ma come le è venuto in mente di inglobarli insieme in un unico contatore?
D.S.: Enough è un conto alla rovescia, irreversibile, destinato a contare fino al 5 maggio del 3021. Il contatore, alimentato anche da un sistema di batterie interne, non smette di contare anche quando stacchi la spina. L’opera in pratica è semplicemente la durata di se stessa. Un lavoro che prende in giro l’ambizione di noi artisti, di sopravvivere al tempo.
L’idea è nata proprio passando del tempo nello studio di due talentuosissimi amici pittori, Cristiano Tassinari e Dario Puggioni, che parlavano appunto di quanto potesse durare nei secoli un certo pigmento rispetto a un altro. La cosa mi sorprese, perché la mia progettualità non arrivava al fine settimana, figuriamoci 200 anni in avanti, e tornato nel mio studio mi sono detto “prova anche tu ad affrontare la grande tematica del tempo come i tuoi amici” e poi mi sono posto una semplice domanda “quanto vuoi che duri una tua opera?” Essendo umile, mi sono detto che a me bastano 1000 anni, non voglio l’immortalità, quella la lascio ai pittori.
Ecco quindi che nasce Enough, ovvero un display digitale che mostra il conto alla rovescia di mille anni, ovvero 31.556.908.800secondi. Allo scoccare dei mille anni ci sarà un messaggio. Ma questo lo sappiamo solo io e gli ingegneri che hanno realizzato il conto alla rovescia.

T.M.: E nel futuro, meno remoto, quali sono invece i suoi prossimi progetti?
Superata la Coppa Pizzeria ci sarà un’estate di fuoco, visto che a settembre inauguro una grande personale ad Istanbul, con Anna Laudel Gallery. La mostra si chiamerà “And now for something completely different” e sarà il pretesto per presentare tre cicli di opere inedite, nonché la pubblicazione di un nuovo catalogo. Subito dopo Istanbul ci metteremo a lavorare al documentario dedicato alla Coppa Pizzeria, visto che l’edizione di Napoli sarà l’ultima di questo progetto. L’idea è di vincere il Sundance Festival, ma possiamo “accontentarci” di Venezia.