«Ci sono arrivati 20 metri di raso arancione per il taglio del nastro di stasera alle 20.00… abbastanza ottimisti per il futuro???», posta lo staff di SetUp Contemporary Art Fair sulla pagina facebook della fiera a poche ore dall’inaugurazione dell’edizione 2017. La risposta istintiva che mi viene di dare è “sì”, aggiungendo, dopo quello che ho potuto vedere all’Autostazione di Bologna, che questo ottimismo è decisamente ben riposto. Dopo un’edizione 2015 che non mi aveva convinto, quella di quest’anno è tornata ad essere fresca e frizzante. Ma soprattutto con quella carica di energia che ci si deve giustamente attendere in una fiera indipendente in cui i protagonisti sono i giovani.
Magari si tratta un’energia che non sempre si concretizza di opere mature, ma che ci mostra una nuova generazione di artisti che ha voglia di mettersi in gioco, di accettare le sfide di un mondo che, parafrasando il tema di quest’anno, sembra aver perso l’equilibrio. In un sistema dell’arte dove, da tempo, sembra ormai regnare una sorta di aurea mediocritas, trovare delle punte d’eccellenza – o come dice un mio caro amico, delle opere che abbiano “quel battito d’ala in più” – non è cosa semplice. Il livello medio dei lavori che si possono vedere in una fiera dedicata ai giovani è quasi sempre accettabile, ma la possibilità di essere realmente colpiti è sempre più rara. Ecco perché l’edizione 2017 SetUp mi è piaciuta. Perché al di là di qualche opera più o meno riuscita ho trovato tante idee, ricerca e sperimentazione. Come nel caso di Die Mauer 1961-2016, il Progetto Speciale presentato in fiera dal fotografo bolognese Paolo Balboni (n. 1974). Uno di più interessanti della manifestazione, con la sua capacità di triangolare “cronaca”, “storia” e “memoria”, racchiudendo nel perimetro di 55 anni – dalla costruzione del Muro di Berlino (1961) ad oggi – la metamorfosi del significato del muro stesso, da strumento di divisione a supporto di libera espressione.
Così, nel progetto di Balboni, il Muro di Berlino, uno dei simboli più cupi del XX secolo, da elemento di frattura diviene non solo voce che unisce migliaia di persone, ma si rigenera, cambia natura, per diventare strumento concettuale di equilibrio. E molto forte è anche il progetto War Games. Linea di Confine con cui l’artista napoletano Antonio Conte (n. 1981) affronta il tema del delicato equilibrio tra guerra e pace. Un ciclo di lavori che, pur mantenendo ciacuno la loro autonomia, si completano a vicenda e che visto nel suo complesso si concretizza in una riflessione pungente e sofisticata sul potere e la politica. Offrendoci il punto di vista sia della vittima che del carnefice e mettendoci nella condizione di dover scegliere da che parte stare, perché la resa sarebbe inutile, ma con la consapevolezza che qualunque posizione si prenda questa sarà sempre estremamente scomoda.
Pezzi di un quotidiano doloroso sono, invece, le sculture di Alice Paltrinieri. Realizzati con una particolare fusione di cemento e pigmenti, questi lavori, esposti nello stand della E contemporary, esprimono la consapevolezza dell’artista nel suo confronto diretto con la realtà. “I miei pezzi di cemento – spiega – potrebbero essere i resti di un bombardamento in Siria o di un raid russo o di un drone statunitense o anche di un attacco terroristico. Non importa dove. Questi pilastri che pesantemente cadono a terra sono sparsi negli angoli come fossero feriti. Feriti come noi”. Un lavoro delicato e poetico giustamente vincitore, proprio oggi, del Premio SetUp riservato agli Under 35.
E se Mit Borràs – uno degli artisti portati in fiera dalla spagnola ADDAYA centre d’art contemporani – affronta, con il video Flee o con oggetti come Lunar Flag (2016), il concetto di armonia nella nostra società tecnologica; Flavia Bucci, con i suoi esercizi d’igiene ci porta nella sfera intima delle paure, delle insicurezze e delle angosce: il suo progetto – solo in parte esposto nello spazio della Galleria 33 – si compone di ben 3761 oggetti di uso comune, che quotidianamente la circondano nella sua abitazione, passati allo scanner come in una sorta di rituale guidato da un desiderio spasmodico di controllo che si concretizza, citando la stessa artista, in un “mettere da parte con la certezza di non aver tralasciato nulla”, risolvendo così le nostre “paranoie” quotidiane.
La giovanissima Federica Giulianini (n. 1990) ci porta a riflettere, invece, su un altro tema caldo del nostro secolo. Quello del mantenimento dell’equilibrio dei vari ecosistemi messo a repentaglio dall’eccessiva pressione che l’uomo esercita sull’ambiente. Da sempre attratta dal rapporto Natura/Cultura, Giulinanini, con le sue composizioni su tela, indaga così i processi di crescita e variazione entropica, alla ricerca di un punto di convergenza tra energie, forze e azioni; di un equilibrio etico tra le risorse disponibili e le esigenze della massa.
Se Giulianini ci propone nuove forme di equilibri possibili, è il caos al centro del lavoro dello scozzese Struan Teague (n. 1991). Un caos che, inserendosi nella tradizione dell’Informale, l’artista esprime senza il filtro della forma, riportandolo direttamente nell’opera. Nella sua pittura, infatti, si accostano materiali diversi, come gesso, olio, polvere, sporco. Una ricerca, quella di Teague – portato in fiera da Federico Rui Arte Contemporanea – che dimentica la forma delle cose, ma ne restituisce l’essenza e il suo passaggio. Un disordine, insomma, che è alla ricerca del suo equilibrio.
Ma qui l’elenco delle opere che ho trovato interessanti tra gli stand di SetUp potrebbe proseguire a lungo. Lasciatemi citare, però, un’ultima opera: Candele di Valeria Vaccaro. Un lavoro che gioca sullo spiazzamento tra l’apparente fragilità degli oggetti rappresentati – una serie di candele – e la solidità del materiale con cui sono state realizzate: il marmo. Uno spiazzamento che mi fa tornare in mente il monito di Pirandello: «Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti».
Le maschere, la menzogna, sono in fondo fragili, mentre l’integrità sa essere molto più solida, proprio come il marmo. La combustione fantasma che sembra sciogliere queste candele appare allora un invito a spogliarci delle nostre maschere quotidiane e a mostrarci per come siamo. Queste alcune delle opere che mi hanno colpito in queste due serate di Set Up. Una piccola selezione di quelle che avrei potuto citare, ma che conferma la fiera indipendente bolognese come il più interessante osservatorio sull’arte giovane che ci sia oggi in Italia.