Uscito sotto mentite spoglie, il quadro del pittore fiammingo Rubens dal titolo “Cristo risorto appare alla madre” ritorna in Italia e trova ad attenderlo un’amara sorpresa.
Il dipinto, definito dal sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, “simpatico, non bello” è stato sequestrato dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale quale oggetto di una possibile esportazione illecita e riciclaggio, le cui indagini coinvolgerebbero diversi soggetti, tra cui l’Ufficio Esportazione della Soprintendenza che aveva a suo tempo rilasciato l’attestato di libera circolazione per il dipinto.
Secondo quanto sin ora ricostruito, l’opera che raffigura il Cristo risorto in piedi davanti a due donne inginocchiate, originariamente di una famiglia genovese, sarebbe stata venduta dalla stessa nel 2012 a due mercanti per la somma di oltre euro 300.000, restaurata nel 2014 (facendo falsamente l’appartenenza alla scuola Fiamminga e un valore di euro 25.000. Una volta all’estero il quadro è stato autenticato e dopo una serie di passaggi a società estere, prestato per la mostra “Rubens a Genova” (Rubens a Genova – Fondazione Palazzo Ducale) recentemente prorogata sino al 5 febbraio 2023.
Nel nostro ordinamento, infatti, commette il reato di esportazione illecita di beni culturali, disciplinato dall’art. 518-undecies del Codice penale che per tale condotta prevede la reclusione da due a otto anni e la multa fino a 80.000 euro, oltre la confisca del bene, salvo che appartenga a persona estranea al reato, chiunque trasferisca all’estero beni culturali senza le autorizzazioni richieste, o non faccia rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni per i quali siano state autorizzate l’uscita o l’esportazione temporanee e “chiunque renda dichiarazioni mendaci al fine di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all’uscita dal territorio nazionale”, come risulterebbe accaduto nel caso di specie.
Tale ultima condotta è stata aggiunta a seguito di una recente riforma ad opera della l. n. 22 del 9 marzo 2022, che ha modificato la disciplina dei reati contro il patrimonio culturale, sia da un punto di vista sistematico, in quanto diversi delitti sono stati trasferiti all’interno del codice penale, sia da un punto di vista sostanziale.
Il vecchio articolo 174 contenuto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio puniva solo il trasferimento all’estero delle cose di interesse culturale senza le autorizzazioni richieste, come il mancato rientro nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, dei beni per i quali fossero state autorizzate l’uscita o l’esportazione temporanee, senza nulla prevedere nei confronti di chi dichiarasse il falso al fine di ottenere le necessarie dichiarazioni, che rientravano nell’ipotesi delittuosa generale di falsità ideologica commessa dal privato (art. 483 co. 1 c.p.) nei casi in cui il bene fosse esportato a seguito di un’autodichiarazione falsamente attestante la libera esportabilità dello stesso e di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale (art. 479 c.p.) di cui rispondeva ex art. 48 c.p. il soggetto che presentando false dichiarazioni induceva l’Amministrazione a una errata valutazione e al rilascio dell’attestato o della licenza.
Sotto il profilo dell’esportazione, il nostro ordinamento sostanzialmente distingue i beni culturali appartenenti ai privati in:
(a) beni a cui è vietata l’uscita definitiva dal territorio nazionale, che corrispondono ai beni che sono stati dichiarati di interesse culturale ai sensi dell’art. 14 del codice dei beni culturali (di seguito, anche solo “CBC”), i c.d. beni “notificati” (art. 65 co. 1 e 2 CBC);
(b) beni la cui uscita definitiva è soggetta ad autorizzazione, ossia alla concessione dell’attestato di libera circolazione (valido per 5 anni) e della licenza di esportazione (valida per 1 anno e necessaria per l’uscita dal territorio dell’Unione Europea), tra i quali rientrano: (i) le cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni e il cui valore superiore ad euro 13.500; (ii) archivi e documenti di interesse culturale; (iii) fotografie, esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini, documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, beni e strumenti scientifici e tecnici aventi più di cinquanta anni (art. 65 co. 3 CBC); e
(c) beni per cui l’uscita è sostanzialmente libera, in quanto subordinata alla presentazione all’Ufficio di Esportazione competente di un’autocertificazione sulle caratteristiche dei beni da esportare, questi beni sono (i) le opere d’arte il cui autore sia ancora vivo o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni; e (ii) le cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia tuttavia inferiore ad euro 13.500 (art. 65 co. 4 e 5 CBC).
In ogni caso, per tutti i beni culturali, anche quelli a cui è preclusa l’uscita definitiva, può essere richiesta l’uscita temporanea per alcuni scopi espressamente previsti, quali ad esempio la partecipazione a mostre ed esposizioni, purché ne siano garantite l’integrità e la sicurezza, oppure per sottoporli ad analisi o restauri da eseguire necessariamente all’estero (artt. 66 e 67 CBC). L’uscita, anche in questi casi, è comunque subordinata al rilascio dell’attestato di circolazione temporanea secondo i termini previsti dall’articolo 71 del CBC.
La gestione delle procedure di esportazione (e importazione) di beni culturali può essere fatta online tramite il Sistema informativo degli Uffici Esportazione dove, una volta registratisi, è possibile compilare la richiesta per il rilascio dell’autocertificazione, dell’attestato di libera circolazione o circolazione temporanea, della licenza di esportazione definitiva o temporanea, oltre al rinnovo di tali autorizzazioni e altri documenti necessari all’importazione.
La procedura prevede il caricamento, attraverso la compilazione di una scheda, di tutte le informazioni relative al bene oggetto della richiesta (più o meno approfondite a seconda del tipo di richiesta, quali ad es. definizione del bene in questione; quantità di beni eterogenei; descrizione dettagliata del bene; formato; misure; materia e tecnica; valore dichiarato in euro; datazione; stato di conservazione; autore; provenienza; soggetto; principali notizie storico-artistiche riguardanti il bene; numero di catalogo; mostre; bibliografia; ecc.), delle fotografie e allegare tutta la documentazione ulteriore necessaria per avvalorare la richiesta.
La presentazione di tali richieste può esporre al rischio che nei confronti di un bene di proprietà privata venga avviato un procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale, con i conseguenti limiti all’esportazione dello stesso; infatti, il diniego dell’attestato di libera circolazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale (art. 68 co. CBC) così come viene avviato il medesimo procedimento quando, in caso di autocertificazione, l’Ufficio ritenga che le cose oggetto dichiarazione presentino un interesse particolarmente importante o eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione (art. 65 co 4-bis CBC).
Nell’attuale quadro normativo il valore di un’opera incide in modo decisivo sulla libertà o meno di mobilitarla, in quanto le opere d’arte, anche se d’interesse culturale, il cui valore non superi gli euro 13.500 godono un regime di favore che permette al titolare di mobilitare l’opera senza preventive autorizzazioni.
Accertare il valore dell’opera, al fine di non rendere dichiarazioni mendaci e incorrere quindi nelle relative sanzioni, è pertanto fondamentale. A tal fine è possibile ricorrere ad alcune presunzioni indicate con decreto ministeriale 17 maggio 2018 (Comunicazioni, modalità e procedure per la circolazione internazionale dei beni culturali); ovvero
a) nel caso in cui la cosa sia stata oggetto negli ultimi tre anni di una compravendita all’asta o tramite un mercante d’arte, producendo le fotografie della cosa e la fattura da cui risulti il prezzo di aggiudicazione ovvero il prezzo di vendita della cosa, al netto di commissioni (di vendita e di acquisto) e di oneri (ad es. spese di trasporto e di assicurazione;
b) nel caso in cui la cosa sia stata oggetto di cessione fra privati negli ultimi tre anni, producendo le fotografie della cosa e una copia del contratto sottoscritto dalle parti o in mancanza, una dichiarazione congiunta delle parti resa davanti a un pubblico ufficiale abilitato a riceverla da cui risulti il prezzo di acquisto;
c) nel caso in cui la cosa sia destinata all’estero per essere venduta all’asta, producendo una fotocopia della pagina del catalogo d’asta da cui risulti la data dell’asta con le necessarie fotografie ed una stima massima della cosa non superiore a euro 13.500, se disponibile, ovvero del mandato a vendere o del contratto di deposito sottoscritti dalle parti con l’indicazione di una stima massima della cosa non superiore a euro 13.500 o, in alternativa, una valutazione sottoscritta della casa d’aste. In ogni altro caso, il valore dichiarato della cosa potrà essere comprovato, in alternativa dalla stima di un perito iscritto all’albo dei consulenti tecnici di un Tribunale o dall’Ufficio Esportazione su presentazione fisica della cosa.
Nel caso del Rubens in questione, le indagini sono ancora in corso; vedremo quali saranno gli esiti e se sussisteranno gli estremi dei reati ipotizzati (anche alla luce delle norme applicabili al tempo della commissione); o addirittura, come suggerito da Vittorio Sgarbi, se occorrerà ringraziare il proprietario, piuttosto che perseguirlo, “per avere scoperto un Rubens che altrimenti non sarebbe mai stato notificato dallo Stato”. Del resto, come sottolineato da Anna Orlando, curatrice della mostra insieme a Nils Buttner, “uno degli obiettivi della mostra era far rientrare a casa il maggior numero possibile di opere di Rubens dipinte per i genovesi o conservate per secoli nei suoi palazzi”; certo forse l’attuale proprietario si aspettava più una visita temporanea che un ritorno permanente.
Nel frattempo, l’opera, pur sotto sequestro, è tornata a Palazzo Ducale dove resterà esposta con una particolare modalità di visione e fruizione, una sorta di quadro nel quadro che permetterà ai visitatori di goderne sino al termine della mostra.