Roger Thérond è stato uno dei primi e più grandi collezionisti di fotografia. Nato nel 1924 a Parigi, come giornalista per Paris Match si è dedicato subito al cinema e alla fotografia. Assieme a Jean-Luc Monterosso, fondatore e attuale direttore della Maison européenne de la photographie, ha creato il Mois de la Photo di Parigi, facendo diventare tale manifestazione una delle più importanti in Europa. Scomparso nel 2001, è stato proprietario, fino alla fine, della rivista francese Photo che aveva fondato. Si era trovato nel momento giusto, raccontava dei capolavori di fotografia dell’Ottocento che riusciva a trovare a poco prezzo nei vari mercatini parigini (cosa assolutamente impensabile adesso, purtroppo), e faceva un lavoro perfetto, che permetteva di seguire i nuovi fotografi e scoprirli prima degli altri, prima che diventassero famosi e corteggiati dai grandi galleristi.
Ma Thérond ha avuto, onore al merito, l’intelligenza e il gusto di cogliere questa occasione e ha creato una collezione fotografica strepitosa che parte dai primissimi fotografi dell’Ottocento, soprattutto francesi, per arrivare ai contemporanei, con un nucleo centrale maggiormente consistente, dedicato alla fotografia surrealista francese. Esistono tre libri bellissimi sulla sua collezione: Une passion française: photographies de la collection Roger Thérond (edizione Filipacchi, 1999); Surréalisme (éditions du Chêne, 2001) e Le nu (éditions du Chêne, 2001).
In un’intervista aveva descritto le tre tappe caratteristiche, secondo lui, della costruzione di una collezione. La prima la chiamava del Cannibalismo, la seconda – quella centrale e più ampia – dell’Aggiustamento e, infine, la terza: quella del Godimento.
La fase del Cannibalismo
Si comincia sempre, come in tutti gli altri generi di collezionismo, con lo scoprire la fotografia, in casa di amici, oppure su qualche rivista o giornale, o in qualche mostra più o meno importante o fiera. La si comincia ad osservare con attenzione e la cosa comincia a farsi strada nei tuoi pensieri. Da lì al voler possedere una prima immagine comporta un passo che è poi breve, magari per appenderla in casa, in studio, in un posto vuoto sulla parete.
La scelta, in questa fase, è istintiva, motivata dal sentito dire, spesso casuale, o dal giornale dove compare un articolo. E’ dettata, sicuramente, da motivi estetici semplici: a volte dalle misure adatte a dove dovrà essere appesa o, perché no, dal colore più o meno in sintonia con l’ambiente.
Questa, credo, è la partenza che, in molti casi, diventa poi una vera e propria passione, una vera e propria mania, la voglia di una raccolta razionale e logica. Si cominciano a frequentare con assiduità le mostre, le gallerie, le fiere; a prendere le poche riviste del settore – ma direi anche pochissime o inesistenti -; si comincia a comperare con una certa regolarità, ma sempre in modo istintivo senza un programma.
Questa è la fase del Cannibalismo, perché in mancanza ancora di un programma lucido si tende ad innamorarsi facilmente di tutto, a voler possedere tutto quello che vedi, ad aver paura di non ritrovare mai più quella data immagine e di perderla per sempre se non la si prende subito.
La cosa, in realtà, succede, per fortuna raramente, ma io credo che ogni collezionista potrebbe scrivere un libro sulle fotografie mai più ritrovate che gli sono state offerte e che ha perso per indecisione o perché convinto di trovare di meglio. Io, ogni sera, quando torno a casa, sbatto per ben tre volte la testa al muro, pensando a quelle foto che potrei avere mentre invece, per indecisione o altro, non ho più. Penso a quella foto di Claude Cahun, in asta a Londra, che ho lasciato andare perché pensavo di poter trovare un’immagine migliore; immagine che sto ancora cercando da molti e molti anni. Oppure alla più famosa foto della contessa di Castiglione, Lo scherzo di follia, apparsa in asta a Parigi e che ho perso perché non potendovi direttamente partecipare avevo lasciato un’offerta che è stata poi superata, e so anche da chi: un caro amico collezionista parigino che non la vende a nessun prezzo. Per fortuna ho poi trovato una sua foto, decisamente meno importante di quella, ma sicuramente molto bella. Mi fermo con gli esempi perché la cosa mi rattrista troppo.
Devo anche dire che in molti altri casi sono stato più deciso e ho preso delle immagini che poi non ho mai più ritrovato. Penso ai due fogli di albumine di Francesco Paolo Michetti, oppure al rarissimo dagherrotipo di Ferdinando Brosy o al vintage di Wolf Strache, Kurfuestendamm nach einem Bombenangriff, una delle più belle e drammatiche foto di guerra. Ma questi sono ovviamente esempi di immagini prese nella seconda fase della mia storia di collezionista, quella che Thérond chiama dell’Aggiustamento e di cui parleremo nella seconda parte di questo articolo.
Quella di cui stiamo parlando adesso, invece, è la fase degli errori. Un passaggio, credo inevitabile, l’importante è cercare di ridurre questi al minimo possibile, o di cercare di avere la possibilità di rimediare. A volte, certi galleristi sono disposti a permutare, in un secondo momento, le foto da loro vendute. Di questa mia fase sono rimaste alcune immagini che avevo preso con convinzione, mi viene in mente Scanno, il capolavoro di Mario Giacomelli, l’unica foto di autore italiano inserita nel mitico libro di John Szarkowski Looking at Photographs: 100 Pictures from the Collection of the MoMa, oppure una bellissima foto acquerellata a mano di Jan Saudek: Sogno fuggente.
Credo che solo attraverso questa prima fase si possa poi decidere di fermarsi a quelle immagini prese e probabilmente appese oppure fare il grande salto e passare alla seconda fase decisamente più complessa.
Continua…
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