Venezia trampolino internazionale: tutti oggi vogliono esserci, ambiscono a ritagliarsi una vetrina tra calli e campielli, pensando che il passaggio di milioni di turisti sia sinonimo di visibilità mondiale e porti ad un esponenziale giro d’affari. Ma la sua fragilità fatta di equilibri ormai disattesi, ha con l’arte un rapporto simbiotico e contrastante.
L’offerta è enorme, di qualità; propositiva sia a livello istituzionale, con eventi che catalizzano attenzione massiccia, dalla Biennale ai Musei Civici, dalla Fondazione Pinault alla Collezione Guggenheim, sia a livello privato, con gallerie d’arte “storiche” che resistono e combattono la crisi, ed altre, “giovani” che con entusiasmo si affacciano sulla scena del crimine pronte ad infondere nuova linfa culturale.
Ma come è cambiata la città, schiacciata sotto il peso di una moltitudine scomposta di visitatori indifferenti, altrettanto lo è il pubblico, che cerca in essa di arricchirsi intellettualmente o che ambisce all’investimento in arte. Silenziosamente e, quando riesce, a margine della massa, continua a frequentare le mostre, presenzia alle inaugurazioni, lascia trapelare un’immagine di città ancora culturalmente viva, capace di attrarre grazie alla sua duplice anima, attenta al moderno e aperta alle ultime tendenze.
Ma per comprendere quanto anche Venezia rientri nel vortice globalizzato dell’inesorabile cambiamento che ha investito gli operatori del contemporaneo, basta incontrare chi ci vive e nell’arte ancora crede, convinto che sia il salvifico rimedio al kitsch imperante. E noi che combattiamo quotidianamente con l’istinto di chiudere per andare sulla spiaggia del Lido a prendere il sole, siamo tra questi.
Dal 2° dopoguerra, momento forse irripetibile con Peggy attorno cui gravitavano gli artisti all’epoca più innovativi (Santomaso, Vedova, Tancredi, tanto per dire…), i Ristoranti dove gli stessi si ritrovavano a parlare di nuovi “gesti” tra un’”ombra” e un “cicchetto”, o le gallerie dove si scrivevano i manifesti (Naviglio, Cavallino, Galleria del Leone) ad oggi, tanta arte è passata sotto i ponti in Laguna.
Rivendicano con fierezza la loro storica presenza la Galleria Ravagnan, dal lontano 1967 vetrina sulla Piazza San Marco con i suoi “cavalli di battaglia” che ha scelto oggi, per contrastare i cambiamenti, di proiettarsi sulle fiere oltreoceano; la Galleria Bugno inaugurata nel 1991, che si è aperta al mercato globale per combattere la staticità del fruitore locale; la Galleria Contini che invece ha preferito diversificare le piazze con vetrine nei luoghi più di tendenza, da Londra a Cortina, mentre la Prova d’artista, del parigino Hervé Bordas, che si è trasferito 28 anni fa da Parigi per portare in Laguna la sua esperienza nella grafica d’autore, ormai grazie al web si è schiuso al mondo. Mentre L’Occhio che dagli anni ’90 è diventato un punto di riferimento nella zona dell’Accademia, continua a puntare sulle giovani proposte italiane e straniere.
Ognuno ha cercato i propri rimedi per adeguarsi ai tempi mutati, trovando come leitmotiv comune l’amore per la città e l’arte che essa può proporre. Quando noi abbiamo aperto, nell’autunno del 1983, come Galleria Luce Arte Moderna, è sembrata una festa tra amici. In breve quelle vetrine d’angolo sono diventate una luce accesa sul campo e un luogo di passaggio in una Venezia frizzante e sempre più affamata d’arte.
Sebastian Matta è stata la mostra d’inaugurazione, a seguire Schifano, e subito dopo Salvo, per chiudere quel 1984 pieno di aspettative con ospite d’onore Riccardo Licata, artista amico che abitava a due passi da noi e che per la mostra realizzò appositamente dei piccoli gioiellini su tela. Fu un successone, vendemmo quasi tutto!
Allora era molto sentito il desiderio e l’ambizione di appendere a casa l’opera d’arte, per il piacere in sé di ammirarla e goderne. Analizzando a ritroso l’evoluzione del gusto, con gli occhi dell’oggi, si capisce come sia cambiata la mentalità, ma soprattutto la sensibilità.
Adesso per un certo tipo di collezionista il quadro, piuttosto che la scultura, sono considerati un investimento e come tale chi ad esso si rivolge cerca l’affare, la speculazione fine a se stessa. Poi c’è invece un’altra fascia di pubblico, per cui l’arte è puramente decorativa, complemento d’arredo. Per questi non conta tanto l’idea, la creazione, il nome dell’artista, quanto il colore dell’opera da abbinare al divano, insieme al prezzo contenuto, poiché le priorità sono altre.
In questo caso il gallerista diventa una sorta di “personal shopper”. Sembra lo scadimento di un ruolo che nasce da passione, da convinzione in quello che si propone, frutto di amore per quello che l’arte può dare. In realtà non è così svilita la professionalità, perché diventa una contestualizzazione, un avvicinarsi a tuttotondo alla vita del cliente, che va compreso anche nella sua dimensione privata.
Infine, ed oggi sono una grossa fetta, ci sono quanti si rivolgono alla galleria anche solamente in forma virtuale, dopo aver navigato in rete alla ricerca di prezzi al ribasso senza cercare il consiglio o l’approfondimento, la storia o il contatto personale. Sono quelli che “giocano” con le aste, sperando di aggiudicarsi magari all’ultimo minuto di notte, l’opera dell’artista famoso, ad un prezzo stracciato.
Ma Venezia con le sue Gallerie va oltre tutto questo; paga senz’altro questa forma di globalizzazione, però il rimedio potrebbe essere quello di riappropriarsi criticamente del suo passato: è per tradizione e storia città di mercanti che sin dalla sua fondazione, nel V secolo o giù di lì, ha basato la sua crescita sull’arte della compravendita e dello scambio, e che nel dialogo interculturale ha giocato via via le sue fortune.
Rispetto ad altre realtà italiane ed internazionali, magari più propense alla contemporaneità, Venezia dovrebbe proseguire sulla scia di quello che la sua storia secolare le ha insegnato; essere sempre più vetrina sul mondo, senza chiudersi in se stessa e sul suo passato, ma da questo prendere spunto per ripartire. Tenendo al centro l’arte di qualità, come unica ed ultima panacea alla gretta globalizzazione che rischia di inghiottirla.