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Gerry Bonetti: “Io colleziono emozioni”

del

Non avevo mai visto Marylin Monroe fotografata mentre legge l’Ulisse di Joyce e mi ha colpito vedere quello scatto all’interno di un’opera di Barbara Bloom che l’ha accostata ad un numero di Playboy in braille.

Quando ho incontrato il collezionista Gerry Bonetti, conosciuto anche, ma non solo, per il suo profilo Instagram, lui ha capito subito che quell’opera mi aveva colpito e mi ha portato all’istante davanti ad un’altra opera di Barbara Bloom con protagoniste le copertine del romanzo Lolita di Nabokov.

Gerry Bonetti sapeva della mia passione per la lettura e per i libri, come io so quanto lui ami l’arte contemporanea. Quando sono andato a trovarlo perdiamo entrambi letteralmente il senso del tempo e lui non riesce a raccontarmi tutto quello che io vorrei mi raccontasse. “Io colleziono emozioni” mi ha detto dopo che abbiamo passato insieme quasi tre ore, al posto del tempo che avevamo preventivato.

Non è una frase fatta la sua perché mi sono accorto che, anche se abbiamo parlato di poche opere rispetto alle duecento che sono presenti in collezione, è innegabile l’intensità con cui Gerry mi ha raccontato dell’arrivo di ogni singolo “bambino”, che è il modo con cui chiama i singoli pezzi che ha acquisito.

Jonny Briggs – Collezione Gerry Bonetti

Gli ho chiesto i nomi degli artisti delle opere che mi hanno colpito ed è venuto fuori una specie di appello che ha richiamato i paesi da cui sono arrivate le opere: dalla Germania all’Iran, dagli USA al Giappone, dall’Italia al Madagascar e altri paesi vicini e lontani. Come possano stare insieme, senza distonie, opere di artisti provenienti da tutto il mondo non è un mistero perché certe collezioni hanno il pregio di apparire subito lo specchio di chi colleziona. È il collezionista il filo che lega una collezione.

Con Gerry Bonetti non abbiamo parlato solo di arte, ma anche di sogni, aspettative, amicizia, amore, figli, fallimenti, paure, insomma tutte quelle cose che in un’unica parola chiamiamo vita.

Chiacchierando ho pensato che per Gerry l’arte è un faro che illumina ogni cosa della sua storia personale in maniera diversa rispetto a quando non era così presente nella sua vita e nella sua casa. Mentre continuava a raccontarmi altri aneddoti sulla sua collezione, ho continuato ad avere la sensazione di parlare con qualcuno che è stato davvero toccato dall’arte.

Non è questione di magia, anche se Gerry ha usato questo termine un paio di volte durante il nostro incontro, è più una ricerca di speciali connessioni con quella parte di noi che nessuno vede: le emozioni del quotidiano.

Gerry Bonetti ha cominciato a collezionare nel 2006, dopo aver studiato e aver guardato anche molte televendite, e mi ricorda di aver subito già a 16 anni, davanti ad un taglio bianco di Fontana, qualcosa che lui stesso ha chiamato sindrome di Stendhal. Tra i suoi grandi ispiratori ci sono Agnes Martin e Donald Judd e infatti mi dice che è attratto da opere che rimandano ad un’estetica pulita e minimalista.

Gli ho confermato che è una delle cose che ho notato subito, poi è stato difficile non concentrarmi sull’aspetto materico di ciascuna opera e sui colori presenti, con quello prediletto da Gerry: un lilla-glicine

Come accade per molti collezionisti penso che la quotidiana lotta di Gerry Bonetti potrebbe essere sia quella contro il tempo, visto che si confronta con opere prodotte da artisti suoi contemporanei, preferibilmente under 35, e che immagino egli senta in qualche modo di salvare dall’oblio e dall’irrilevanza, cui ogni opera è comunque soggetta.

Enzo Cacciola – Collezione Gerry Bonetti

L’altra lotta è con lo spazio a disposizione nel suo appartamento che è sempre limitato. In collezione sono presenti opere su tutti i media: pittura, scultura, video, fotografia, opere su carta e digitali ma l’invasione artistica prodotta dalle opere è comunque ordinata: l’allestimento è la prima cosa per cui mi sono complimentato con Gerry.

Come collezionista non si è mai posto limiti geografici e grazie al suo profilo social, che compie dieci anni a maggio, si è connesso con artisti che abitano in tutto il mondo e che gli scrivono, lo consultano e spesso si sono ispirati a lui, anche perché Gerry non ama commissionare per non interferire con il processo creativo.

Tra tutti gli artisti citati, avrei chiesto e riportato i nomi di tutti ma non è stato possibile, mi sono segnato tra le altre e gli altri Enzo Cacciola, Santiago Reyes Villaveces, Hiva Alizadeh, Chiharu Shiota, Tulio Pinto, Cristiano Carotti, Urs Lüthi, Kenji Sugiyama, Inma Femenìa, Asger Dybvad Larsen, Sali Muller, Timothy Schmitz, Vedova Mazzei, Angela Glajcar, Goldschmied & Chiari, Joel Andrianomearisoa, Barbara Bloom, Ivan De Menis, Ruben Brulat, Serena Fineschi, Jonny Briggs, Richie Culver, e in ultimo Bruno Munari che è stato il primo ad entrare in collezione. Chi leggerà l’intervista troverà il credo di Gerry Bonetti, lo statement che funziona come una parola d’ordine per schiudere le porte della sua collezione che è visitabile a Milano. 

SD: Umberto Eco ha scritto “la principale funzione della biblioteca, almeno la funzione della biblioteca di casa mia e di qualsiasi amico che possiamo andare a visitare, è di scoprire dei libri di cui non si sospettava l’esistenza, e che tuttavia si scoprono essere di estrema importanza per noi”. Non è così anche per una collezione d’arte e cioè sorprendere? Cosa potrebbe sorprendere in particolare della tua collezione?  

GB: Forse la cosa più sorprendente è il dialogo che si è creato tra opere di Artisti di generazioni diverse, e che provengono da tutti e cinque i continenti.

Collezione Gerry Bonetti

SD: “La poesia è poesia quando porta in sé un segreto” disse Ungaretti in un’intervista. Potremmo dire che è così per l’arte in generale e per quella contemporanea in particolare? Quale segreto contengono le opere che tu collezioni? 

GB: Se si parla di segreti, probabilmente solo il Poeta o l’Artista possono conoscerli. Per come intendo io la collezione di opere d’arte, parlerei invece di “emozioni”. Ogni opera che arriva in casa di un vero collezionista è il coronamento di un sogno, e porta con sé una nuova e inesauribile fonte di gioia.

Personalmente ritengo che non si possa “comprare” un’opera d’arte (esattamente come non si può comprare un’anima): ciò che si acquista è il privilegio di custodirla, con l’obbligo di far sì che in futuro arrivi nelle mani di persone che la ameranno nello stesso modo, e di condividerla con il più grande numero possibile di persone. Per questo motivo spesso mi definisco un “collezionista di emozioni”.

SD: “Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Le persone hanno sempre fatto regali. Quello che conta è come racconti la loro storia” si legge nel romanzo “Un eredità di avorio e ambra”. C’è una storia che vorresti raccontare legata ad un’opera d’arte della tua collezione?

 GB: Mi riallaccio alla risposta precedente. Ogni opera della collezione ha una storia, anche perché, come regola generale, non acquisto opere di Artisti che non ho conosciuto personalmente, e questo crea ovviamente un legame emotivo e personale molto forte con ogni singolo Artista e con la sua opera presente nella collezione. 

SD: “Ogni immagine più che del soggetto ci parla dello sguardo dell’autore” scrivono Gayford e Hockney. Una collezione ci parla molto anche del collezionista: la tua cosa dice? 

GB: Spero riesca a trasmettere l’amore incondizionato e infinito che nutro per l’Arte in generale, e per le Arti visive contemporanee e gli Artisti in particolare.

Collezione Gerry Bonetti 2

SD: Riprendo Thomas Bernhard che in ‘Antichi Maestri’ scrive “Per quanto ciò sia assurdo, quando leggo un libro ho comunque la sensazione e la convinzione che il libro sia stato scritto solamente per me, se guardo un quadro ho la sensazione e la convinzione che sia stato dipinto solamente per me…”. Come collezionista d’arte hai mai provato la stessa cosa davanti ad un’opera? Hai anche commissionato per te? 

GB: No. Mi capita spesso di entrare da subito in particolare sintonia con un’opera d’arte, ma non ho mai avuto la sensazione che quell’opera fosse stata realizzata solamente per me. Un’altra delle regole inderogabili che mi sono posto da subito è quella di non chiedere mai opere su commissione.

Penso che la richiesta del collezionista – fatta eccezione per le grandi installazioni site specific o altri casi molto particolari – costituisca un’interferenza inammissibile in quel meraviglioso cortocircuito creativo che dal pensiero dell’Artista porta alla nascita di un’opera d’arte.

SD: Alan Bennett nel suo scritto ‘I quadri che mi piacciono’ confessa: “Il mio criterio di giudizio è piuttosto superficiale, e mi riesce difficile separarlo dall’idea di possesso. Così so che un quadro mi piace solo quando ho la tentazione di portarmelo via nascosto sotto l’impermeabile”. Concordi? 

GB: No. Se credi nell’Arte come valore universale da condividere, e patrimonio dell’umanità, non puoi concordare con un simile criterio, che del resto lo stesso Bennet definisce, giustamente, “superficiale”.

SD: Pierre Le-Tan, parlando dei collezionisti che aveva incontrato, come a voler dare un consiglio, scrive “un collezionista avveduto compra sempre pezzi estranei alle mode”. Ti senti di condividere questo consiglio? E tu che consiglio daresti? 

GB: Non vedo come sarebbe possibile non condividere questo consiglio. Non seguire le mode, ed escludere qualsiasi pensiero legato a possibili rivalutazioni economiche, sono due criteri per me irrinunciabili nella scelta di un Artista e del suo lavoro.

SD: Maurizio Cattelan in un’intervista ha paragonato le sue opere a degli orfani in cerca di una nuova famiglia. Ti piace pensarti nei panni di un genitore adottivo per un’opera d’arte e forse anche per un artista? 

GB: Da sempre mi riferisco alle opere della collezione come i miei “bambini”, e non in senso figurato. Per me sono davvero dei figli adottivi, con i quali tra l’altro parlo quotidianamente. Per quanto riguarda invece gli Artisti, preferisco – anche per ragioni anagrafiche – considerarmi una sorta di fratello maggiore.

Ruben Brulat – Collezione Gerry Bonetti

SD: Raramente c’è un unico motivo che spinge le persone a interessarsi all’acquisto d’arte: me ne potresti dire uno che senti particolarmente tuo? 

GB: Passione, pura e incontenibile passione.

SD: Quando si sceglie un’opera si può seguire il proprio orecchio, e i “cosa si dice” sull’artista, o il proprio cuore e cosa dice. Tu come ti orienti? 

GB: Per quanto mi riguarda, il punto di partenza è sempre un’emozione: senza quella non si va da nessuna parte. A questa prima fase emozionale segue una fase più razionale, che attraverso il dialogo con l’Artista (soprattutto per me, che seguo Artisti giovani o giovanissimi) mi consente di comprendere meglio il pensiero, il concetto o il progetto da cui quell’opera è scaturita, e allo stesso tempo mi dà la possibilità di capire se la persona che mi sta di fronte possiede quelle qualità che, a mio avviso, devono contraddistinguere il percorso di un Artista sin dai primi anni della sua carriera.

Se questo approfondimento conferma il primo impatto “di pancia”, lascio l’ultima parola al mio cuore, per capire se veramente l’opera che sto guardando sarà un nuovo figlio adottivo, destinato a trovare la sua dimora temporanea nella mia casa. Purtroppo, anche quando tutte le risposte sono positive e concordanti non sempre è possibile uscire dalla galleria o dallo studio dell’Artista con il nuovo “bambino”.

Questo è in parte conseguenza di un problema strettamente personale, legato alla disponibilità di un budget annuo molto limitato (direi irrisorio se riferito allo stereotipo del collezionista di opere d’arte), e in parte di un ulteriore problema, molto più diffuso, che è quello legato allo spazio. Molto spesso mi trovo quindi costretto a fare scelte dolorose, privilegiando quegli Artisti che già in giovane età lasciano intendere di possedere le qualità che li porteranno molto lontano nel loro percorso, anche se devo aggiungere che, nel tempo, questi limiti si sono rivelati molto utili, costringendomi a ponderare e approfondire ognuna delle scelte che ho fatto.

Inma Femenìa – Collezione Gerry Bonetti

SD: Gertrude Stein diceva agli amici che per fare una collezione è sufficiente risparmiare sul proprio guardaroba. A cosa rinunceresti o rinunci per un’opera d’arte? 

GB: Rinuncerei, e ho rinunciato, a tante cose, con l’unico limite delle persone che amo e della mia casa.

SD: Potremmo paragonare un collezionista ad un giardiniere che cura il suo giardino, ad un editore che sceglie i libri da pubblicare nel suo catalogo, un padre o ad una madre che adottano, un custode che mette al riparo: a cosa ti paragoneresti come collezionista? 

GB: Mi vedo come un giardiniere che cura con amore il suo giardino, e quando ha finito, e ripone gli attrezzi, si trasforma in un amorevole padre adottivo.

SD: Mark Rothko ha scritto “Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione. È quindi un gesto arrischiato e spietato mandarlo in giro per il mondo”. Le opere d’arte fanno compagnia? 

GB: Dire che fanno compagnia mi sembra molto riduttivo. Anche una sola opera d’arte che entra in una casa cambierà per sempre, in meglio, la vita di chi l’ha acquistata e delle persone che vivono in quella casa. Sono meno d’accordo sulla riluttanza di Rothko a mandare le opere d’arte in giro per il mondo, per quel concetto di universalità e condivisione dell’Arte che ho già espresso prima.

SD: Ci consigli un posto, anche e soprattutto fuori dai soliti giri, che un appassionato di contemporaneo non può non conoscere e frequentare? 

GB: Sicuramente il progetto che negli ultimi anni mi ha maggiormente colpito ed entusiasmato è quello di Platea – Palazzo Galeano, che grazie all’impegno, all’intuizione e alla passione di alcune persone particolarmente illuminate (e disinteressate) si è rapidamente imposto all’attenzione del mondo dell’arte, grazie al livello molto alto dei singoli eventi, alla lungimiranza della programmazione e, non da ultimo, alla grande attenzione riservata ai giovani Artisti di talento. Non a caso Lodi – dove ha sede Platea – è stata nominata città dell’anno nel “Best Of 2024” di Artribune. 

Urs Lüthi Collezione Gerry Bonetti

SD: Elio Fiorucci in un’intervista al Corriere disse che per dormire bene lui pensava ad una donna nuda. A cosa pensa una collezionista prima di dormire? 

GB: Ai “bambini” che non hai potuto portare a casa con te e ai giovani Artisti di cui non hai acquistato un’opera, chiedendoti se davvero non avresti potuto fare di più.

SD: Molti collezionisti prima di cominciare ad acquisire si sono messi a studiare. Hai un libro in particolare che consigli a chi vuole studiare l’arte contemporanea? 

GB: Confermo. Anch’io prima di cominciare ad acquisire ho letto tutto quello su cui sono riuscito a mettere le mani, e a seguire tutte le aste, in Italia e nel resto del mondo. Non credo ci sia un libro in particolare da poter consigliare, ma tra quelli che ho amato di più ci sono sicuramente “Memorie di un mercante di quadri” di Ambroise Vollard (Johan & Levi), “Mario Schifano – Una biografia” di Luca Ronchi (Johan & Levi), “Il capitale ignorante” di Marco Meneguzzo (Johan & Levi), “Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte” di Francesco Bonami (Mondadori) e, più di recente, il “Dizionario Lucio Fontana” a cura di Luca Pietro Nicoletti (Quodlibet).

SD: Prendo in prestito il titolo del libro del collezionista e scrittore Giorgio Soavi “Il quadro che mi manca” e ti chiedo: qual è l’opera che ti manca? Che è andata via per sempre o che ancora deve arrivare? 

GB: Adoro, letteralmente, questo libro! Personalmente non ho rimpianti particolari per opere che non ho potuto acquistare, e non ho limiti (purtroppo solo di immaginazione) per quelle che devono ancora arrivare.

Chiharu Shiota – Collezione Gerry Bonetti

SD: “Rimaniamo, inguaribilmente, creature verbali che amano spiegarsi le cose, formarsi delle opinioni, dibattere. Provate a metterci davanti a un quadro e tutti noi, ciascuno a modo proprio, cominceremo a parlare. Girovagando per le sale, Proust amava raccontare delle persone della vita reale che i personaggi del quadro gli rammentavano; chissà forse un abile strategia per evitare un confronto estetico diretto. Ma rari sono i dipinti che, in virtù della loro bellezza o per capacità di persuasione, ci riducono al silenzio. E quand’anche rimanessimo senza parole, non tarderemmo a voler spiegare e comprendere lo stesso silenzio nel quale siamo piombati” ha scritto Julian Barnes. Spesso si legge che l’arte contemporanea ha bisogno di essere spiegata per essere capita ma, a leggere Barnes, questo potrebbe essere vero per tutta l’arte. Quali parole potrebbero accompagnare la tua collezione o un’opera in particolare? Pensi di possedere opere che zittiscono? 

GB: Sono d’accordo con Barnes, quasi sempre le opere d’arte avrebbero bisogno di essere spiegate, a prescindere dal periodo in cui sono state realizzate, e questo senza nulla togliere alla legittima diversità delle emozioni o sensazioni che ognuno di noi prova di fronte al frutto del lavoro e del genio degli Artisti.

Non credo che nella mia collezione ci siano opere che “zittiscono” (come mi è successo, ad esempio, la prima volta che ho potuto vedere un bacio di Brancusi dal vivo): ci sono alcuni lavori monocromi, che istintivamente (o almeno, è così per me) inducono alla meditazione, e tanti lavori che mi piace pensare siano in grado di sollevare interrogativi e stimolare la curiosità di chi guarda. 

SD: Alcuni collezionisti utilizzano i social network per condividere le opere d’arte che collezionano o quelle degli artisti che seguono e che magari vorrebbero possedere.  È impossibile parlare con te e non citare il tuo profilo Instagram. Personalmente credo che condividere opere e creazioni di artisti sui social sia anche un modo per contaminare il flusso dello scrolling, un modo concreto per far entrare l’arte contemporanea nel quotidiano di altre persone. Concordi? 

GB: Assolutamente, ma con una precisazione: Instagram è oggi uno strumento indispensabile per tutti coloro che, in qualsiasi modo, gravitano all’interno del mondo dell’arte (artisti, galleristi, collezionisti, critici, curatori, musei, fondazioni, etc.), essendo diventato, al contempo, una vetrina e uno strumento di ricerca.

Questo, però, in virtù del fatto che all’inizio era l’unico social network che consentiva il caricamento di immagini di qualità, ed era stato pensato proprio per tutti coloro che si occupavano di creatività. Questo “zoccolo duro” di utenti qualificati è cresciuto a sua volta in modo significativo, e questo fa sì che oggi molte persone lo utilizzino in maniera professionale e ragionata, quindi totalmente immune a quello che chiami il “flusso dello scrolling”, come strumento di ricerca e approfondimento, oltre che per creare un primo contatto con altri utenti i cui profili presentino contenuti di particolare interesse. Non penso si possa dire altrettanto degli altri social network.

Marie Matusz – Collezione Gerry Bonetti

SD: Il tuo profilo compie dieci anni: come è nato tutto e se puoi raccontaci qualcosa di curioso che ti è capitato con questo profilo. 

GB: La creazione del mio profilo è frutto di un clamoroso errore di valutazione. Nel momento forse più buio e difficile della mia esistenza, l’Arte mi ha dato l’opportunità di iniziare una seconda vita, diametralmente opposta a quella che avevo vissuto sino ad allora e straordinariamente felice ed appagante.

Sentendomi in debito per questa straordinaria opportunità che mi era stata offerta, e con l’idea di poter restituire, almeno in parte, quanto avevo ricevuto, ho deciso di creare un profilo gestito in maniera per quanto possibile “professionale”, ma al contempo privo di qualsiasi contaminazione “commerciale” (anche solo indiretta), destinato a promuovere il lavoro dei giovani Artisti di tutto il mondo.

Non potevo immaginare che, così facendo, il mio debito nei confronti dell’Arte sarebbe aumentato in misura esponenziale. In questi dieci anni ho avuto la possibilità di dialogare con migliaia di persone straordinarie, di incontrare e conoscere di persona più di 1.500 artisti provenienti da tutti gli angoli del pianeta, e di creare un numero tale di rapporti di amicizia da farmi sentire spesso sopraffatto e incredulo di fronte a una fortuna che sicuramente non ho fatto nulla per meritare.

Praticamente ogni giorno accadono cose straordinarie, e assolutamente impossibili da spiegare in modo razionale. Per il momento prendo appunti frettolosi, con la speranza un giorno di poter scrivere un libro che spieghi perché l’Arte è come l’aria: non puoi vivere senza.

Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto
Salvatore Ditaranto si occupa di marketing, contenuti e palinsesti televisivi in Rcs. È appassionato di arte, di editoria e di Milano.

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